Juana de la Cruz. La monaca che scoprì Dio oltre il genere
Testo di Kevin C.A. Elphick tratto dal libro Trans and Genderqueer Subjects in Medieval Hagiography, Amsterdam University Press (Paesi Bassi), 2021. Liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata.
L’interesse per Madre Juana de la Cruz (1481-1534) è cresciuto negli ultimi decenni, soprattutto dopo la pubblicazione dei suoi sermoni, curata da Inocente García de Andrés nel 1999, e la riapertura della sua causa di canonizzazione da parte del Vaticano nel 2015. In piena epoca inquisitoriale, una donna che predicava dal pulpito rappresentava di per sé un’eccezione. Ma Juana andò oltre: la sua riflessione teologica e la sua stessa vita erano attraversate da una sorprendente consapevolezza della fluidità di genere, che oggi potremmo definire queer.
La sua biografia e i suoi scritti mostrano una tensione costante tra il limite e la trascendenza, tra il maschile e il femminile, tra l’ordine imposto e la libertà dello Spirito. In questo saggio, Elphick analizza la Vida e il sermone sull’Annunciazione, mettendo in luce come Juana, pur inscrivendosi nella mistica e nella tradizione francescana, sviluppi una teologia del genere capace di parlare anche al presente.
La verità di un’identità sacra
Madre Juana de la Cruz offre un modello medievale di straordinaria modernità per le persone LGBTQ+ di oggi. La sua vita fu un atto di fedeltà radicale alla verità più profonda del proprio essere, che lei riconosceva come riflesso del volto di Dio. In sé, Juana armonizzava elementi maschili e femminili, e da questa fusione faceva scaturire un’esperienza del divino che sfidava ogni dualismo.
Nei suoi sermoni, invitava chi l’ascoltava a scoprire Dio nella propria esperienza di genere, qualunque essa fosse. Parlava di un Dio che si manifesta tanto nel corpo di una donna quanto nel corpo di un uomo, e che si rivela in immagini fluide: Dio, i santi, la Vergine e Cristo assumono in lei volti e linguaggi non conformi alle aspettative di genere.
Juana raccontava perfino di essere stata “ri-creata” da Dio al momento del concepimento, trasformata da maschio in femmina per volere della Vergine Maria. Indicava la propria “pomo d’Adamo” come segno visibile di questo miracolo: il simbolo di una voce che era allo stesso tempo la sua e quella di Cristo.
Una predicatrice tra due mondi
Juana nacque nel 1481 da una famiglia di contadini a Numancia, tra Madrid e Toledo. Contro le convenzioni della sua epoca, divenne celebre come predicatrice. Le sue parole risuonarono ben oltre la Spagna: le consorelle del suo ordine portarono le sue reliquie e la sua fama fino alle Americhe. Entrata da giovane in un convento francescano, prese il nome di Juana de la Cruz e, con il tempo, ne divenne badessa.
Per secoli fu venerata come la Santa Juana, ma solo di recente la ricerca teologica ha messo in luce la profondità del suo pensiero sul genere. Nei settantadue sermoni raccolti in El Conhorte (antico termine spagnolo per “conforto”), Juana parla con una voce libera e profetica, capace di cogliere nel Vangelo una promessa di uguaglianza tra uomini e donne che anticipa di secoli le nostre riflessioni contemporanee.
Una teologia dell’uguaglianza
Alla base della sua visione c’è la convinzione che, attraverso il battesimo, uomini e donne siano “resi uguali nella grazia e purificati dal peccato”. Il riferimento è evidente: “Voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo… non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3,26-28).
Juana collega questa uguaglianza al mistero dell’Incarnazione: “Se qualcuno è in Cristo, è una nuova creatura” (2 Corinzi 5,17). Cristo, scrive, è “nuovo uomo, nuova legge, nuova cosa creata sulla terra”. Nella lingua spagnola, la parola “cosa” è femminile, e questa sfumatura grammaticale non è casuale. Per Juana, la nuova creazione è anche femminile: il segno di un Dio che abbraccia entrambi i generi e li trasforma.
In un passaggio potente, Dio Padre parla al Figlio con una serie di affermazioni declinate al femminile: “Io, Dio antico, Io, Tu e lo Spirito Santo siamo una cosa, una maestà, una Trinità, una essenza”. La ripetizione di una imprime un ritmo linguistico che femminilizza la divinità stessa, portando nella lingua ciò che Juana predica nella teologia: la piena inclusione del femminile in Dio.
L’anima, lo spirito e la soglia del genere
Juana rovescia le categorie del suo tempo. Per lei, l’anima e lo spirito non hanno genere: “L’uomo si distingue dalla donna per il corpo; quanto all’anima, sono uguali e compagni. Se la donna ha un’anima chiamata femminile, anche l’uomo ha un’anima con lo stesso nome; e viceversa, entrambi hanno uno spirito vivo ed eterno”.
Nella sua teologia, lo spirito e l’anima convivono, si mescolano e si completano. Nessuno dei due è esclusivo di un genere, perché entrambi appartengono al mistero stesso di Dio. La vera santità, per Juana, è la capacità di vivere in questa zona di confine — in quella liminalità che significa, in latino, “soglia”. [ … ]
Attraversare le soglie
Juana visse davvero su quella soglia. Per fuggire a un matrimonio imposto, si travestì da uomo, prese una spada e camminò da sola per due leghe fino al convento dove avrebbe trovato la propria vocazione. La sua storia si inserisce in quella delle cosiddette “sante travestite”, donne che, nei secoli medievali, vestirono abiti maschili per seguire la loro chiamata.
Probabilmente conosceva la leggenda di Santa Paula Barbada, che pregò Dio di renderla irriconoscibile per sfuggire alle attenzioni di un uomo violento e si ritrovò miracolosamente con la barba. E non è difficile immaginare che le fosse familiare anche la storia di Giovanna d’Arco — “Juana”, in spagnolo — che, come lei, impugnò una spada per difendere la propria vocazione.
Queste storie, ben note nella cultura spagnola del tempo, offrivano modelli di santità che rompevano gli schemi di genere. [ … ]
La traccia francescana
Più ancora, Juana trovò la sua ispirazione nella tradizione francescana, dove la fluidità di genere è più diffusa di quanto si pensi. Santa Chiara fuggì da casa vestita da uomo per raggiungere Francesco, che la tonsurò e le diede un abito identico a quello dei frati. Lo stesso san Francesco, spesso incapace di adattarsi ai ruoli maschili della sua epoca, scrisse al suo compagno Leone: “Ti parlo, figlio mio, come una madre”.
Nella Legenda Maior (1260-1263), san Bonaventura descrive Francesco come una figura che incarna entrambi i generi: concepisce e partorisce figli spirituali, si presenta al papa come “una povera ma bellissima donna” che genera figli per il Re Gesù, e vede la Trinità sotto forma di tre donne povere. Francesco è, insieme, sposo e sposa, padre e madre. [ … ]
Juana conosceva questi testi. Nella sua Vida si dice che le venivano letti I fioretti di san Francesco, dove il beato Giovanni da La Verna prega e scopre Gesù come una Madre che, come una donna, a volte trattiene il latte per stimolare il desiderio del figlio. Quando finalmente Cristo gli appare, Giovanni si prostra, bacia i piedi e le mani di Gesù, e poi lo abbraccia al petto. [ … ]
È un’intimità che intreccia il linguaggio del Cantico dei Cantici e quello della tenerezza materna. In questo racconto, Juana avrebbe trovato una profonda consonanza: Giovanni sperimenta Gesù come madre e amante, mentre egli stesso assume tratti sia femminili sia maschili. Dio, dunque, non solo accoglie ma trasforma, rendendo le persone simili a sé, al di là del genere.
Un Dio oltre il genere
Attraverso queste letture, Juana eredita una visione di Dio che trasforma e ricrea le persone a sua immagine, donando loro tratti del genere opposto e portandole oltre ogni definizione binaria. In questo contesto, si comprende meglio la sua stessa esperienza mistica e il suo linguaggio teologico.
Secondo la Vida, la sua storia comincia già al concepimento: Dio stava creando un maschio, ma la Vergine Maria intercede affinché nasca femmina, perché sarà lei a riformare un convento dedicato a Maria stessa. Dio acconsente e lascia come segno la “pomo d’Adamo” sul suo corpo. [ … ]
Anni dopo, pregando davanti a un’immagine di Santa Veronica, Juana vide il volto della santa trasformarsi in quello di Cristo, che le disse: “Ti sposerò e ti condurrò alla vita religiosa”. Poi l’immagine tornò al suo aspetto originario. È una visione di straordinaria intensità teologica: il volto divino cambia genere, passando dal femminile al maschile e di nuovo al femminile.
La fuggitiva e la Madonna
Dopo quella visione, Juana decise di fuggire da casa. Si vestì da uomo e partì “non come una donna debole, ma come un uomo forte e risoluto”. Giunta al monastero, pregò ancora vestita da uomo, poi si cambiò e si inginocchiò davanti a una statua della Vergine sopra la porta del convento.
“La statua le parlò — racconta la Vida — dicendo: ‘Figlia mia, benvenuta a casa mia. Entra con gioia, perché per questo Dio ti ha creata, e io ti affido la cura di questa casa’.” Juana temeva che la comunità non la accogliesse, ma la Madonna la rassicurò: “Non temere, perché mio Figlio farà in modo che ti ricevano.”
Entrò nel convento, vestì l’abito di san Francesco e trovò il suo posto.
[ … ] Il travestimento, la fuga e la voce della Vergine non furono solo eventi biografici, ma simboli di un percorso spirituale: Juana, passando da un genere all’altro, scopriva la sua vera identità in Dio.
La voce e la parola
Diventata abbadessa, Juana predicò per tredici anni. I suoi sermoni, organizzati secondo il calendario liturgico, affrontavano i temi dell’Incarnazione, della grazia, della maternità divina e della mutabilità dei ruoli di genere.
Nel Sermone sull’Incarnazione, afferma che Dio si rivela nel corpo e nella parola, non per distruggere la differenza, ma per trasfigurarla. L’Incarnazione, per Juana, è il gesto con cui Dio attraversa la soglia del genere, rendendo maschile e femminile parti di un’unica realtà: l’amore che genera vita.
*Kevin C.A. Elphick è teologo e ricercatore statunitense, studioso di mistica francescana, spiritualità femminile e storia della santità queer nella tradizione cristiana.
Testo originale: Juana de la Cruz: Gender-Transcendent Prophetess

