La chiesa cattolica e la discussione tra i due sinodi
Articolo di Andreas R. Batlogg pubblicato sul sito Stimmen der zeit (Germania) il 2 aprile 2015 , traduzione di www.finesettimana.org
Il tempo scorre veloce: metà dell’anno è già trascorsa: sei mesi fa, il 19 ottobre 2014, terminava l’assemblea generale del sinodo dei vescovi straordinario (“Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”): tra altri sei mesi, il 4 ottobre 2015, comincerà il sinodo dei vescovi ordinario (“Vocazione e missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo di oggi”).
Che i vescovi – incoraggiati in questo dal papa – discutessero liberamente (“senza rispetto umano, senza pavidità”) e non dicessero solo quello che altri (presumibilmente) volevano sentire, era già un progresso enorme: la Chiesa alla ricerca di una nuova cultura del dibattito, una via faticosa di costruzione collettiva del consenso e del modo di giungere ad una decisione, con tutte le diverse socializzazioni sia culturali che teologiche. Che la Relatio Synodi sia peggiorata rispetto alla relazione intermedia, non solo nel tono, ma anche contenutisticamente, è stato attentamente registrato. Per papa Francesco le tensioni erano normali: “Questa è la Chiesa […]. Non guarda l’umanità da un castello di vetro per giudicare o classificare le persone”.
In una conferenza stampa, il cardinale Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca, ha dichiarato: “Il papa vuole che le chiese locali si occupino di questi temi”. Quest’ultimo aveva detto: “Ora abbiamo ancora un anno per maturare, con vero discernimento spirituale, le idee proposte e trovare soluzioni concrete a tante difficoltà e innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare; a dare risposte ai tanti scoraggiamenti che circondano e soffocano le famiglie”.
Il sinodo dello scorso anno è quindi un compito da svolgere in un “cammino sinodale” – un’impresa nella quale non possono meravigliare deviazioni e derive. La pura ingiunzione di prese di posizione dottrinali-disciplinari come Humanae Vitae (1968) o Familiaris consortio (1981) non basta più. Non rende giustizia alla realtà dei mondi relazionali e familiari plurali di oggi e aumenta semplicemente il drammatico divario tra dottrina e vita. Tanto sono buoni dei principi come la paternità e maternità responsabile, quanto deplorevole il fatto che la questione del metodo diventi una questione tabù.
Si tratta di un fondamentale cambiamento di prospettiva per la Chiesa, già profeticamente indicato nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium (novembre 2013), come ha espresso anche la consulente matrimoniale Ute Eberl, seconda partecipante tedesca al sinodo: “Una Chiesa che vuole essere per gli uomini si china. Si china per rendersi conto delle realtà della vita – e non guarda in primo luogo con le lenti del diritto canonico. Non si tratta di adeguarsi al mondo, ma di essere insieme alla gente”.
Come vengono sfruttati i mesi che rimangono per un “discernimento spirituale”? È realistico pensare che non ci dovranno essere “perdenti” e “vincenti”, quando abbiamo davanti agli occhi svariate azioni e battaglie? Le diocesi tedesche hanno reso accessibile sui loro siti il nuovo questionario romano solo all’inizio di febbraio: una partecipazione tardiva, piuttosto formale? Si chiedeva di rispondere entro l’inizio, la metà o la fine di marzo, e le risposte sarebbero poi state inviate insieme a Roma, dove sarà elaborato l’Instrumentum laboris.
Chi perde di vista le persone concrete, si concentra solo su se stesso (“l’autoreferenzialità”), e si nasconde dietro una dottrina che non serve alla vita, o dietro alle parole di Gesù, che, come si sa, non si trovano protocollate negli archivi vaticani. Qui ci sono e ci sono state delle insinuazioni, che mostrano quanto fino ad ora dominino tra i vescovi paura e sottomissione, quanto poco sia stata praticata la collegialità, quanto pesi negativamente il centralismo romano. Il sinodo ha rivelato che c’è anche un problema vescovi.
In un’intervista alla rivista gesuita “America”, il cardinal Marx ha sottolineato che si tratta di una questione di aggiornamento, di esprimere le richieste della Chiesa in una lingua che possa essere compresa. La Chiesa è stata troppo spesso sentita come giudicante. Considerare l’uomo nella sua completezza esclude svalutazione ed esclusione, ma anche una attenzione esclusivamente pastorale.
Le persone non vogliono essere trattate come oggetti, ma essere prese sul serio nella loro complessa realtà di vita – anche nella molteplicità delle possibilità sessuali che non devono essere apostrofate come “varianti della creazione” semplicemente da tollerare, ma in definitiva deficitarie. La sessualità non può essere ridotta a riproduzione. Sentimenti, affetto, decisioni di vita sono altrettanto importanti – altrimenti perché ci sarebbero così tante separazioni? L’attenersi alla definizione di famiglia come padre-madre-figli/o come unico modello, corrisponde alla realtà della famiglia oggi?
L’ostinata difesa della “dottrina immutabile” non vede che c’è anche uno storia dello sviluppo dei dogmi. Non si tratta di “nascondigli pastorali” o di cavillose costruzioni teologiche, ma di aiutare le persone ad essere abilitate a condurre una “buona vita” come cristiani. Un sinodo non deve prendere in considerazione soltanto il modello di una “famiglia ideale”. Altrimenti non tiene conto o rimuove altri problemi, proprio dei figli: orfani da divorzio, bambini lavoratori, bambini fatti prostituire o bambini schiavi. Per quanto dolorosa sia nel nostro paese la problematica dei divorziati risposati o della omosessualità, transessualità o intersessualità, il limitarsi a “problemi scottanti” nasconde tali ambiti tematici che sono angoscianti non soltanto al di fuori dell’Europa. Il papa ha messo in guardia a questo proposito da una “colonizzazione ideologica”.
In generale, l’obiettivo deve essere, come sottolineato, aprire delle porte, per aiutare delle persone che a causa del diritto canonico, certo non formalmente, ma de facto sono escluse. Altrimenti la Chiesa spreca il resto della credibilità in problemi di famiglia – pur avendo molto da dire come in difesa della vita.