La Chiesa cattolica vuole accogliere le persone LGBTQ+ e offrirgli l’annuncio del Vangelo?
Testo di Alexander M. Santora*, pubblicato su North Jersey Media Group (Stati Uniti) il 26 giugno 2025. Liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata.
All’inizio del mio ministero come parroco, c’erano due uomini che venivano sempre insieme alla Messa domenicale nella mia parrocchia. Erano entrambi anziani e sedevano sempre nello stesso banco. Li vedevo ogni settimana, puntuali e riservati. Dopo circa un anno, mi accorsi che uno dei due non c’era più. Passarono alcune domeniche, e alla fine chiesi che fine avesse fatto. “È malato, è a casa”, mi dissero.
Quando andai a trovarlo, scoprii che viveva con la demenza. La malattia lo stava lentamente consumando, e nei due anni successivi peggiorò sempre di più.
In quel periodo, mi rivolsi a una coppia di mezza età che frequentava regolarmente la parrocchia. Anche loro erano sempre presenti alla Messa e prestavano servizio come ministri straordinari dell’Eucaristia. Chiesi se fossero disposti a fare visita a quei due uomini, a portare loro la Comunione e a offrire un po’ di vicinanza in un momento tanto difficile.
Nessuna delle due coppie ha mai detto nulla sul tipo di relazione che avevano. Non so se fossero solo coinquilini o se vivessero un’unione affettiva. E non era compito mio chiederlo.
Penso che in ogni parrocchia ci siano storie simili: persone che forse fanno parte della comunità LGBTQ+ e che non vogliono parlare della loro vita privata. Non cercano etichette, né spiegazioni. Vogliono solo vivere la propria fede in pace. Hanno fatto pace con la propria coscienza, e nessuno mette in discussione il loro rapporto con Dio.
Eppure, un libro pubblicato quest’anno, The Sacrament of Same-Sex Marriage (“Il sacramento del matrimonio tra persone dello stesso sesso”), edito da Rowman & Littlefield, solleva una questione importante rispetto a questo tipo di silenzio. L’autrice, Bridget Burke Ravizza, ritiene che se più persone religiose omosessuali avessero fatto coming out apertamente, l’accoglienza nelle chiese avrebbe potuto avanzare molto prima — se mai sia davvero arrivata oggi.
Ravizza ha intervistato 22 coppie, dai 29 ai 79 anni, la maggior parte cattoliche, alcune interconfessionali. Le loro relazioni duravano da tre fino a trentanove anni. “Ho cercato di ascoltare queste coppie gay e lesbiche con rispetto e compassione — scrive — impegnandomi a riconoscere ciò che di buono e vero c’è nelle loro esperienze di matrimonio e di famiglia.”
E il punto centrale è proprio questo: le coppie dello stesso sesso che si uniscono civilmente affrontano le stesse difficoltà delle coppie eterosessuali. Vivono le stesse dinamiche d’amore, lo stesso desiderio di crescere insieme e approfondire il legame che le unisce.
Una Chiesa cattolica più inclusiva è possibile
Papa Francesco, a mio parere, ha aperto la strada per un nuovo passo verso una Chiesa più inclusiva. Ha invitato ad accogliere le persone LGBTQ+, a riconoscere la bellezza delle loro vite, soprattutto di chi vive un amore di coppia, spesso con figli.
“Solo attraverso un ascolto rispettoso e compassionevole possiamo metterci sulla via della vera crescita — scriveva il papa nell’enciclica Fratelli tutti (Fratelli e sorelle tutti) — e risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano: rispondere all’amore di Dio e portare a compimento ciò che Egli ha seminato nelle nostre vite.”
Negli ultimi cinquant’anni, il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso ha compiuto un’evoluzione straordinaria, ben più rapida dei secoli in cui l’omosessualità è stata condannata come peccato.
Ai tempi della Bibbia, non si aveva alcuna comprensione dell’omosessualità come orientamento stabile e non scelto. Le condanne presenti nelle Scritture spesso confondevano i rapporti tra persone dello stesso sesso con peccati come l’inospitalità o la prostituzione nei templi.
Una svolta avvenne nel 1969 con le rivolte di Stonewall, quando lesbiche e persone gay reagirono alle discriminazioni sistematiche che causavano emarginazione, solitudine e rifiuto.
Ma il cambiamento decisivo arrivò nel 1973, quando l’American Psychological Association (Associazione Americana di Psicologia) eliminò l’omosessualità dall’elenco dei disturbi mentali.
Le scienze comportamentali si sono adeguate, ma la Chiesa continua a descrivere gli atti omosessuali come “disordinati”. Ma nessuno nasce disordinato. L’orientamento sessuale non è una scelta, anche se si può scegliere se e come viverlo.
La Chiesa continua a proporre il matrimonio eterosessuale come il modello di riferimento — e Papa Francesco stesso lo ha confermato. Ma allora, quale posto resta per le persone omosessuali?
Molti di loro non si sentono chiamati alla castità. Come chiunque altro, desiderano vivere una relazione stabile, intima, piena d’amore.
È proprio qui che Papa Leone XIV potrebbe iniziare a riflettere seriamente sulla dimensione teologica del matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Finora, le sue dichiarazioni — da vescovo, da cardinale e da Papa — non sembrano incoraggianti in questo senso.
Un esempio da ascoltare: padre Paul Morrissey
Un altro libro importante, pubblicato quest’anno, potrebbe offrire una via da seguire: Why I Remain a Gay Catholic: A Spiritual-Sexual Journey (“Perché resto un cattolico omosessuale: un cammino spirituale e sessuale”), edito da Paulist Press. Manca solo una parola nel titolo: “prete”.
Il reverendo Paul Morrissey, secondo di quattordici figli di una famiglia di Upper Darby, in Pennsylvania, racconta la sua esperienza di sacerdote che ha convissuto per anni con sentimenti omosessuali, ben prima che se ne potesse parlare apertamente nella Chiesa.
Oggi ha 85 anni. Racconta in tempo reale come i cambiamenti della società e della Chiesa abbiano inciso sul suo ministero e sulla sua vita. È attento, lucido, e profondamente coinvolto nel cercare una via nuova per accogliere davvero le persone LGBTQ+ nella vita ecclesiale.
È interessante sapere che Morrissey è un agostiniano, lo stesso ordine religioso di Papa Leone. Ha sedici anni in più di lui. Quando l’attuale papa era ancora padre Robert Prevost, superiore degli Agostiniani, non poteva non conoscere Morrissey, soprattutto per il suo impegno coraggioso come sacerdote dichiaratamente gay. Il libro era già in preparazione prima dell’elezione del nuovo pontefice.
Scrive Morrissey: “Il matrimonio tra persone dello stesso sesso può essere compreso, col tempo, non come una minaccia al matrimonio come lo abbiamo conosciuto e amato, ma come una benedizione per la Chiesa: un segno dell’amore fedele di Dio per ciascuno di noi, che siamo eterosessuali o omosessuali.”
La sfida per la nostra Chiesa è chiara: vogliamo continuare a ripetere pregiudizi che non stanno più in piedi, oppure siamo pronti ad offrire alle persone LGBTQ+ una speranza vera, concreta, che nasce dal Vangelo?
Alexander M. Santora è parroco della Chiesa di Our Lady of Grace & St. Joseph a Hoboken (New Jersey) e decano delle parrocchie cattoliche della zona.
Testo originale: “The Roman Catholic Church must embrace LGBTQ+ people — and arm them with hope”