“La Chiesa riapra le porte agli ultimi”
Intervista a Frei Betto a cura di Maurizio Chierici pubblicata su Il Fatto Quotidiano” del 7 gennaio 2013
A volte la malinconia accompagna i preti anche la notte di Natale. È l’ultimo racconto di Frey Betto: storia di un sacerdote che accorcia la messa, taglia l’omelia, stringe le letture respirando l’impazienza dei fedeli che hanno fretta di tornare a casa per la sorpresa dei regali ai figli.
“Quella sera il prete resta solo, miserabilmente solo. Il celibato è un dono che sa di aver onorato. Nei 25 anni dedicati al Signore non si era arreso alle tentazioni ma la solitudine gli stringe il cuore nelle ore della cena quando immagina di accomodarsi a tavola assieme ai bambini che non ha avuto. Nella notte dell’attesa nessuno dei fedeli lo ha invitato…”.
Esce nelle strade vuote. Incontra una ragazza che aspetta clienti: i debiti non le danno respiro. La segue nella camera dalle pareti scrostate. “Mentre la ragazza libera il primo bottone del vestito, il prete si avvicina per spiegarle che non è lì per fare l’amore. Non se la sentiva di restare solo. Avrebbe pagato il dovuto; voleva parlare.
Lei si piega sul letto col viso le mani. Racconta abbandoni, violenze. Il prete prova a consolarla come sa fare un prete: preghiamo assieme. Recita il Vangelo di Luca. “ Vuoi fare la comunione ? “. “ La comunione ? Io, prostituta …”. Le risponde con le parole di Matteo: le prostitute ci precederanno nel regno di Dio.
Chiedo a Frey Betto se qualche volta le vigilie dei suoi Natali sono state accompagnate dalla stessa disperazione. “Notti felici, notti di tormenti. Da bambino aiutavo a preparare il presepio. Cominciavo quando cominciava dicembre. Gesù veniva arrivava nella paglia appena suonava mezzanotte.
La vocazione.
“Non eravamo né ricchi né poveri…”. Il padre scriveva articoli per un piccolo giornale: feroce con le gerarchie della Chiesa. La madre frequentava l’Azione Cattolica nel paese di montagna sopra Belo Horizonte. “La vita correva serena. I bastoni diventavano spade, le scope cavalli. Non volevo giocattoli. Volevo essere come gli altri e gli altri si divertivano così. I regali che scoprivo attorno al presepio non mi davano allegria. Li regalavo ai bambini poveri dell’ospedale.
Che felicità la loro meraviglia. Più tardi la mamma mi ha chiesto cosa ho provato a incontrare il Signore. Ma non l’ho incontrato: la mia sorpresa. L’hai anche abbracciato: il suo sorriso. L’hai abbracciato abbracciando quei bambini di nessuno”.
Betto immagina di fare il giornalista ma la vocazione cambia: frate dominicano negli anni della dittatura militare. Vive mescolato ai poveri e finisce in galera assieme ad altri domenicani: sovversivo.
“Ho passato quattro Natali in prigione, dal 1969 al 1973. Lo celebravo assieme agli altri prigionieri politici sfiniti dalla tortura. Nella veglia ricordavamo chi era stato assassinato. Cantavamo tenendoci per mano, quasi tutti atei o comunisti eppure partecipavano col trasporto di chi aspetta la speranza. Brindisi con succo d’uva, il vino era proibito”.
Le favelas abbandonate
Nel ’73 le catene si sciolgono, Frey Betto non si arrende: va ad abitare nella favela Vitoria, baracche che sfiorano palazzi e giardini di San Paolo. A Medellin era nata la Teologia della Liberazione, Chiesa popolare che si mescola ai diseredati. Fra le lamiera della sua favela Frey Betto diventa un teologo fra i più ascoltati. Ma il Vaticano di Giovanni Paolo II non sopporta la convivenza che minacciava eresie “insopportabili”.
Frey Betto e Leonardo Boff vengono emarginati: lasciano la Chiesa, non l’impegno. “Nella favela festeggiavamo il Natale con la celebrazione della parola. Poi il teatro con attori ragazzi. Avevo scritto “La visita di Gesù”, storia di una famiglia borghese: nella Notte di Natale non sente che Gesù sta bussando alla porta. Come mi era successo da bambino non lo riconoscono nei senza niente che allungano la mano”.
La Chiesa ha abbandonato le favelas e le sette pentecostali hanno preso il posto dei preti di Roma: per lei cosa è cambiato?
“Non mi piace la parola “sette”, c’è un senso di disprezzo. Non sono loro la tragedia per il mondo cristiano. Contribuiscono a mantenere acceso lo spiritualismo della povera gente. I problemi restano drammatici nel Brasile dall’economia che corre: 40 milioni di poveri.
I pentecostali stanno dominando un settore fondamentale della modernità: i mezzi di comunicazione. Sette che comprano spazi quotidiani nelle Tv, parlano da ogni radio mentre gli schermi nei quali si affacciano i cattolici di San Paolo si illuminano via cavo nei quartieri di lusso. E’ il meccanismo delle parrocchie che va aggiornato per ricostruire lo spirito delle comunità di base.
Se un fedele bussa ad una chiesa cattolica alle tre del pomeriggio, la chiesa è chiusa. Per parlare al parroco bisogna rintracciare una segretaria. Ma se un fedele arriva alle tre di notte in un tempio pentecostale c’è chi lo accoglie, ascolta le pene, dà conforto.
Intere famiglie si riconoscono in queste chiese, pagano con piccole offerte gli spazi televisivi. Briciole che escono da ogni tasca. Ma il numero degli adepti li trasforma in capitali. Nelle nostre comunità purtroppo non succede”.