«La Chiesa siamo noi!». Il cammino di suor Derouen con le persone transgender
Reportage di David Van Biema* pubblicato sul sito di Outreach (USA) il 19 agosto 2024 e liberamente tradotto da Diego e Ilaria de La Tenda di Gionata, undicesima e ultima parte
È una giornata di inizio estate grigia e piovigginosa a New York. Suor Derouen, in controtendenza, indossa una vivace tunica turchese con pantaloni neri, ballerine e il ciondolo delle Suore della Pace. Un supporto trasparente le protegge la mandibola.
La sala conferenze del campus Lincoln Center della Fordham University si riempie di partecipanti al convegno Outreach 2023 (un convegno sulla pastorale LGBTQ+ che si svolge ogni anno negli Stati Uniti, N.d.T.).
L’anno precedente, nello stesso convegno, Derouen era stata una dei relatori di un seminario sulla pastorale transgender con quaranta partecipanti. Quest’anno lo conduce lei e il pubblico è quasi il doppio.
Sempre nel 2022 aveva dichiarato che sarebbe stato l’«ultimo giro di giostra». Oggi è più filosofica: «Ho davvero consegnato a Dio un assegno in bianco fin dall’inizio», dice. «Sapevo che la mia fede si sarebbe sviluppata in modi imprevedibili. Modi che non possiamo conoscere e che non dobbiamo conoscere! Grazie a Dio non li conosciamo! Possiamo solo vivere la fede momento per momento, man mano che ci sentiamo pronti».
Secondo le sue stime in America c’erano forse una ventina di vescovi su duecentonovanta aperti verso le persone transgender e i loro diritti. «È triste, in un certo senso» è il suo commento. «Ma altri dicono: ‘Oh wow! Venti!’». E crede che altri «si aggiungeranno». Non si preoccupa più delle possibili ripercussioni della sua opera pastorale. «Prima di decidere di rendere pubblica la mia attività, avevo molta paura. Non so se adesso io sia al sicuro o meno, ma non ho più paura».
Molti nella sala oggi vorrebbero sentirsi altrettanto liberi. I relatori sono Ray Dever, il diacono che ha partecipato all’incontro online coi vescovi; Christine Zuba, una donna transgender ministro della comunione nella sua parrocchia in New Jersey e presidente del gruppo per la pastorale con le persone transgender per Fortunate Families (una associazione cattolica di supporto per i familiari di persone LGBTQ+, N.d.T.); Hilary Howes, fondatrice del sito web TransCatholic e la moglie Celestine, con cui è sposata da decenni, da molto prima del suo percorso di affermazione di genere.
«Benvenuti, benvenuti!» esclama Derouen. Si presenta: «Sono una suora Domenicana della Pace, ho avuto il privilegio di esercitare il mio ministero nella comunità transgender per ventiquattro anni… e ancora lo faccio!». Qualcuno grida «Amen!» e la sala scoppia in un applauso. «E ho quasi ottant’anni!» dice Derouen. Applausi più forti e qualche grido di gioia.
I relatori parlano. La sala sembra un’isoletta in un mare ostile e agitato. Da qualche parte, probabilmente, ci sono campus pieni di studenti della Generazione Z, alcuni dei quali transgender e non binari devono molto alla storica lotta per l’indipendenza giovanile. Questa fascia di età manca sul palco del convegno.
Ci sono invece Hilary e Celestine Howes che parlano di matrimonio. «Fondamentalmente, amavo la persona, non i suoi genitali», dice Celestine. Zuba racconta di aver fatto coming out con la madre ottantottenne («Hai parlato con un prete?» «Sì, mamma, l’ho fatto») ed esorta i suoi ascoltatori ad «aprire le porte» e mostrare al mondo cosa significhi trovarsi improvvisamente «a vivere in prima linea una guerra, mentre stai preparando la cena».
Dever spiega che la sua famiglia trascorrerà il Natale a Washington quest’anno perché sua figlia transgender non si sente più al sicuro in Florida. Bisogna riconoscere che «la nostra Chiesa», anche se involontariamente, ha lasciato spazio a «questo odio rivolto a un gruppo molto piccolo di persone che non rappresentano alcuna minaccia reale e che vogliono vivere con gli stessi diritti garantiti da Dio a chiunque altro… è ora che questa guerra contro le persone transgender finisca. Ed è ora, una volta per tutte, che la Chiesa si faccia avanti e intervenga per permettere che ciò accada».
Amen. Derouen si alza in piedi. «Ed eccoci qui! Non è vero? La Chiesa siamo noi! Grazie diacono!». È il momento delle domande. Fuori ha smesso di piovere, anche se il cielo non si è proprio schiarito. Qualcuno dal fondo della sala parla, ma la sua voce non si sente. Si cerca un microfono. «Vado io», si offre Derouen.
Si affretta da dietro il tavolo dei relatori verso il pubblico. Il suo passo è spedito e i suoi occhi brillano. Non sembra una persona esausta dopo venticinque anni di condivisioni stressanti e cinque anni di faticosa attività di promozione della pastorale LGBTQ+. No, è come se fossimo nel 1961, a Welsh, in Louisiana e Luisa Derouen diciassettenne, stesse lasciando da parte la sua corona di reginetta di bellezza e si stesse dirigendo con gioia verso la sua vita piena e ricca.
Post-scriptum
Dopo la chiusura della fase di editing di questo articolo, il Dicastero per la Dottrina della Fede della Santa Sede ha pubblicato la sua dichiarazione più autorevole finora sulla questione del genere. Dignitas Infinita, scritta dal Cardinale Víctor Manuel Fernández, capo del dicastero, con l’approvazione di papa Francesco, affronta la tematica della necessità di proteggere la dignità umana. La sua sezione finale elenca tredici «violazioni specifiche e gravi» di tale ideale, tra cui la guerra, la tratta di esseri umani e gli abusi sessuali. Poco più sotto si fa riferimento alla «teoria del genere» e al «cambio di sesso».
Il documento ha sancito come dottrina ufficiale della Chiesa delle dichiarazioni che erano già state espresse in documenti meno autorevoli o limitati a specifiche aree del mondo, secondo cui gli studi sul genere promuovono «nuovi diritti» che sono in contrasto con la categoria maschio/femmina definita una volta per tutte da Dio nella Bibbia (Dignitas Infinita non ha tuttavia tenuto conto delle acquisizioni più recenti della scienza, che potrebbero mettere in dubbio questo convincimento). Ha sostenuto – con profonde conseguenze per l’attività degli ospedali cattolici – che «qualsiasi intervento di cambio di sesso… rischia di minacciare l’unica dignità che ogni persona ha ricevuto dal momento del concepimento».
Come già avvenuto in dichiarazioni precedenti, ha evitato di menzionare le persone transgender, che sono quelle maggiormente colpite dalle conseguenze di queste affermazioni, alludendo invece a una generica categoria senza nome di peccatori spirituali.
In un paragrafo si afferma che la teoria sul genere renderebbe lecita «qualsiasi preferenza individuale o desiderio soggettivo», come se essere una persona transgender fosse una scelta filosofica o un entusiasmo transitorio. In un altro passaggio si sostiene che tale «autodefinizione personale» equivale a una resa alla «tentazione primordiale di farsi Dio, entrando in competizione con il vero Dio».
Così, senza usare la parola “transgender” (e, per quel che conta, nemmeno “peccato”), il più autorevole dicastero della Chiesa in tema di dottrina ha consentito a sacerdoti e vescovi inquieti, a politici opportunisti e a oppositori dei diritti delle persone transgender di avere campo libero per negare e condannare i cattolici transgender per anni, se non decenni, a venire.
Nel marzo 2024, sapendo che la dichiarazione stava per essere terminata e resa pubblica, Derouen ha inviato una lettera al Cardinale Fernández implorandolo di considerare le persone transgender per quello che sono realmente e testimoniando che «nessun’altra attività pastorale mi ha mostrato il volto di Dio come hanno fatto le persone transgender».
Esaminando il documento finale del cardinale, la suora sospira. «Anni fa dicevo: ‘La gerarchia ecclesiastica semplicemente non sa chi sono le persone transgender’. Ma adesso le cose sono cambiate. Glielo abbiamo spiegato. Hanno sentito le storie delle persone transgender. E mentre alcuni vescovi si sono resi disponibili ad ascoltare e a imparare, per molti ora si tratta di colpevole ignoranza».
Ha deciso di non scrivere nulla sulla dichiarazione vaticana: «Faccio questo da venticinque anni e ho sprecato un sacco di energia su ciò che i vescovi dichiarano o potrebbero dichiarare, su ciò che non dicono o aspetto che dicano. Sono arrivata al punto in cui sento che non posso più continuare così».
Dopo anni di preghiera ha seguito i suggerimenti allarmati dei suoi amici transgender e ora sembra prossima a concludere il suo ministero. Sempre meno le scrivono per discutere e analizzare le ultime notizie. Ma ci sono eccezioni. Il giorno della promulgazione di Dignitas, Maureen Rasmussen le ha inviato un’e-mail. A differenza del suo primo messaggio di sei anni prima in cui cercava un orientamento, questo non conteneva emoji allegre. Ma ha rassicurato Derouen che sebbene fosse «scoraggiata», non aveva «cambiato i suoi obiettivi».
Ciò che offre un po’ di consolazione a suor Derouen è il fatto che, a eccezione di una parte della gerarchia, il mondo cattolico è molto più consapevole dell’esistenza delle persone transgender rispetto a quando iniziò questo ministero. «I teologi sanno. I genitori di bambini transgender sanno. La gente si sta facendo sentire e si sta ribellando».
Diversi cattolici transgender che ha accompagnato spiritualmente, che svolgono funzioni pastorali nelle loro parrocchie, stanno cominciando a promuovere pubblicamente i diritti dei credenti transgender nella Chiesa.
A luglio 2024 Fra’ Christian Matson, un amico di lunga data Oblato Francescano ed eremita diocesano sotto l’autorità del vescovo Stowe, si è dichiarato transgender pubblicamente. Rivolgendosi a coloro che potrebbero chiedere il suo allontanamento o persino insinuare che non appartenga alla Chiesa, Matson ha dichiarato in un’intervista al Religion News Service (agenzia di stampa americana specializzata in tematiche di fede e religione, N.d.T.): «Dovete avere a che fare con noi perché Dio ci ha chiamati in questa Chiesa», ha detto. «Non è vostra la chiesa da cui volete cacciarci».
Derouen ripensa a una lettera scritta nella prima metà del Novecento dal gesuita e scienziato Pierre Teilhard de Chardin a suo cugino (ai suoi tempi le idee di Chardin furono in gran parte respinte dalla Chiesa). «Lui lo intendeva in modo personale», dice lei, «ma io l’ho applicato in maniera più ampia». «Soprattutto, abbiate fede: Dio opera in maniera lenta e graduale» Derouen legge. «Tendiamo abbastanza per natura a voler raggiungere la fine in ogni cosa senza indugio. Vorremmo saltare le fasi intermedie. Scalpitiamo finché siamo in cammino verso qualcosa di sconosciuto, qualcosa di nuovo. Eppure, la legge di ogni progresso è che il processo si realizzi attraversando alcune fasi di instabilità e questo può richiedere molto tempo».
*David Van Biema è stato il capo redattore della sezione religione per la rivista Time, dove ha lavorato dal 1993 al 2008. I suoi scritti sono apparsi su The Atlantic, America, Religion News Service e altri.
Testo originario: No Body Now But Yours