La compassione, la comunità cristiana e l’omosessualità
Brano tratto dal libro A Sense of Sexuality: Christian Love and Intimacy (1994) di Evelyn e James Whitehead estratto da thewildreed.blogspot, liberamente tradotto da Gianluca Ottavi
Il libro A Sense of Sexuality: Christian Love and Intimacy (Il senso della sessualità: l’amore cristiano e l’intimità) di Evelyn e James Whitehead (editore Crossroad Publishing Company, 1994, pp.329) non è mai stato pubblicato in italiano.
Eppure è stato il vincitore, nel 1989, dell’Human Development Book-of-the-Year Award per il suo “eccezionale contributo alla letteratura sulla sessualità umana” e recensito dal cattolico St. Anthony Messenger (la versione USA de il Messaggero di S. Antonio) come “un sano, olistico e santo tentativo di mostrare in che modo Dio c’incontra facendosi carne”. In questo brano che vi proponiamo Evelyn e James Whitehead riflettono sulla compassione e la comunità cristiana in relazione all’omosessualità.
Potremmo pensare che la compassione e la sessualità siano compagne, dato che entrambe sono risposte passionali che ci legano agli altri. In realtà, invece, la paura della sessualità spesso limita la nostra compassione.
Ogni comunità, religiosa ed etnica, sviluppa regole circa la condotta sessuale. Il gruppo a cui apparteniamo ci insegna l’importanza di sposarci con una persona di sorta simile. Ci vengono insegnati gli stili di compartecipazione sessuale ritenuti accettabili. Apprendiamo che coloro che sono sessualmente “diversi” devono essere evitati, persino temuti.
La paura e l’evitamento sono stati particolarmente evidenti in molte risposte culturali e religiose all’omosessualità. Per fortuna, tuttavia, la situazione inizia a cambiare. Nella comunità cristiana si odono oggi i primi riconoscimenti dell’affinità tra credenti omosessuali ed eterosessuali.
Tradizionalmente le discussioni religiose sull’omosessualità sono spesso degenerate in conversazioni su “loro”, gente estranea le cui vite venivano consumate, si diceva, in comportamenti perversi e promiscui. Questi evanescenti “altri” venivano in modo assai enfatico esclusi dalla nostra sorta. L’atteggiamento di difesa ci distoglieva da una semplice verità, profonda nelle sue implicazioni: siamo il corpo di Cristo, e del nostro corpo fanno parte le lesbiche e i gay.
Chi sono i membri omosessuali del corpo di Cristo? Non sono un “loro”, sono un “noi”. Sono i nostri fratelli e i nostri figli, i nostri amici e i nostri co-parrocchiani. Sono persone come noi, che si sforzano di vivere esistenze generose con una fede che matura. Sono i ministri che vivono in mezzo a noi, preti, religiosi, laici, che sapendo di essere gay e lesbiche si sforzano di servire con integrità in una Chiesa che interpreta il moto dei loro cuori come disordinato e vergognoso.
Quando prestiamo un ascolto attento alle vite di questi membri della comunità, impariamo ciò che non dovrebbe essere una notizia così sorprendente: le persone gay e lesbiche sono spinte dallo stesso tipo di eccitazioni e attrazioni che muovono le persone eterosessuali. Tali sommovimenti, stimolati da un sorriso o da un gesto, sono più che “occasioni prossime di peccato”. Analogamente all’eccitazione che sprona il nostro amare, sono spesso occasioni di grazia.
L’eccitazione è la sorgente della sessualità per tutti noi, eterosessuali e omosessuali. E per tutti noi queste inclinazioni sono piene di promesse e pericoli. Sia per le persone gay che per le persone eterosessuali queste eccitazioni sono soggette a tutte le perversioni concepibili, come attesta l’umana storia dell’egoismo e della violenza sessuale. Per noi tutti, eterosessuali, lesbiche e gay, rimane la domanda di come esprimeremo il nostro affetto e risponderemo all’eccitazione erotica. Ciascuno di noi affronta la sfida di trovare uno stile di vita e di forgiare una fedeltà che siano adulti e cristiani.
L’esperienza che sta alla base dell’eccitazione è familiare a noi tutti, eterosessuali e omosessuali. Abbiamo in comune le stesse passioni. Ma alle lesbiche e ai gay cattolici è stato ripetutamente insegnato nei documenti ufficiali della Chiesa che per loro l’eccitazione erotica è sbagliata. Prescindendo del tutto da decisioni circa l’espressione feconda e l’astinenza responsabile (decisioni che si presentano a ogni adulto), l’inclinazione del loro cuore viene giudicata perversa.
I loro sentimenti, ci viene insegnato, non possono essere in armonia con il godimento del creato di Dio. Le loro emozioni non fanno parte di quell’impeto umano di affetti che ci salva da viaggi solitari. Alcune eccitazioni, ci viene insegnato, non dovrebbero trovare posto nella vita di un cristiano. La sola scelta responsabile è l’astinenza sessuale, nell’ambito di una più profonda negazione di se stessi.
Nella comunità dei credenti sta tuttavia avendo luogo un cambiamento di mentalità, anche se la trasformazione non è ancora evidente in molte dichiarazioni ufficiali. Ne vediamo i frutti nella nuova compassione tra cristiani eterosessuali e omosessuali.
Grazie alla compassione veniamo a sapere che per una lesbica provare piacere erotico in presenza di un’altra donna non è innaturale. Per lei questo piacere è la sensazione più naturalmente immaginabile. Può però negare questi sentimenti, e tale negazione può trasformarsi nell’abitudine all’odio di se stessa. Allora si imbarcherà in una vita davvero disordinata e infedele.
La compassione ci aiuta inoltre a riconoscere che un gay non sceglie di mettere da parte la propria “normale attrazione naturale” per le donne così da poter sperimentare un altro genere perverso di eccitazione sessuale. L’attrazione che avverte è naturale e normale per lui.
Gli impulsi spontanei di eccitazione e affetto sono le radici energetiche dell’amore umano. Sanno spingerci verso la fedeltà e sostenere i nostri sforzi a portare frutto. Ciò avviene che si sia eterosessuali, lesbiche o gay. Se questi moti del cuore sono sordidi, tutti siamo nei guai.
Dove impariamo la compassione? Come inizia a crescere questa virtù nella nostra vita? La risposta a entrambe le domande è, ovviamente, nella comunità cristiana. Nei gruppi di preghiera e nei ministri, nelle comunità di base e in altri piccoli gruppi i credenti sperimentano la comunità in forme pratiche e profonde.
Le nostre vite si intersecano in questi incontri di fede e impariamo a conoscerci l’un l’altro più profondamente. Così iniziamo a conoscere gli uni le tenaci speranze e le persistenti ferite degli altri. Condividendo queste esperienze di grazia e di fallimento partecipiamo alla passione gli uni degli altri. Tocchiamo vite diverse dalle nostre ma, nella loro fragilità e fede, così simili.
Per molti cristiani eterosessuali la compassione mette radici quando condividiamo il viaggio di fede di un amico gay o di una collega lesbica. In tale condivisione impariamo che le loro seduzioni e i loro piaceri sono molti simili ai nostri: conosciamo la stessa eccitazione alla possibilità dell’amore e lo stesso terrore che la dedizione possa non durare. Tutti noi sappiamo che la santità non sta nella negazione della nostra sessualità ma in una disciplina che è più vicina all’aiuto.
La compassione ci protegge dall’equiparare la fecondità alla fertilità biologica. L’incapacità di una coppia omosessuale di generare figli è talvolta considerata un segno certo che il suo amore è egoistico. Le nostre esperienze quotidiane nella comunità di fede ci dicono qualcosa di completamente diverso. Lì incontriamo adulti soli e coppie senza figli le cui vite sono profondamente feconde.
E, tristemente, incontriamo talvolta persone sposate con molti figli ma poca generosità le cui vite sembrano sterili ed egocentriche. Anche nella comunità cristiana possiamo incontrare coppie gay e lesbiche profondamente generose il cui amore condiviso porta frutto per loro e per il mondo.
Nell’interazione pratica della comunità cristiana impariamo a conoscere le fattezze delle speranze e delle passioni gli uni degli altri. Nel dirci la verità l’un l’altro riconosciamo che, nella nostra sessualità come in molto altro, siamo più simili che diversi. Cresce quindi tra di noi la convinzione che il desiderio omosessuale non è innaturale o empio, ma che fa parte del dono della creazione, un segno del diletto di Dio nei nostri corpi.
Questo emergente senso dei fedeli non ignora la responsabilità che tutti condividiamo di dare vita a modi fedeli e fecondi di esprimere il nostro amore. Tuttavia riconosce che, in qualsiasi discussione credibile sulla forma della sessualità cristiana, dobbiamo onorare la solida esperienza degli omosessuali maturi.
Con la compassione impariamo che siamo più simili che diversi. Per la nostra identità cristiana ciò che importa non è l’orientamento sessuale o l’origine etnica o il genere. Quello che ci contraddistingue come seguaci di Gesù è il nostro comportamento.
Dal primo secolo i cristiani hanno suscitato questa reazione: “Guarda come si amano l’un l’altro!” La fecondità di questo amore viene riconosciuta nel suo rispetto, nella sua generosità e nella sua fedeltà. Oggi le Chiese si sforzano di assumere verso gli omosessuali cristiani una posizione plasmata da questa compassione.
Testo originale: Compassion, Christian Community, and Homosexuality