La crisi dopo il coming out mi ha fatto scoprire figlio amato di Dio
Riflessione di Rich Clark pubblicata su Whosoever (Stati Uniti) il 1 maggio 1998.
Liberamente tradotta dai volontari del Progetto Gionata.
Qualche settimana fa, rileggendo il vangelo … mi sono reso conto che l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme è stato, in un certo senso, il suo “coming out”.
Per molto tempo aveva mantenuto un profilo basso, quasi tenendo segreta la sua identità di Messia, anche se non l’aveva mai negata. Ma quel giorno, entrando nella città di Gerusalemme, decise di dichiararlo apertamente, davanti a tutti.
Mi ha colpito quanto questo gesto assomigli a quello che tante persone LGBT+ vivono quando decidono di dire chi sono davvero. Ogni coming out, infatti, scatena una crisi profonda — spirituale prima, ancora che personale — così come quell’ingresso di Gesù provocò una crisi nella vita del popolo, dei discepoli e nella sua stessa vita.
Gesù, fino a quel momento, era stato molto cauto. Gli studiosi chiamano questo atteggiamento il “segreto messianico”. Non permetteva ai demoni di proclamare chi fosse davvero e chiedeva alle persone guarite di non raccontarlo in giro. Mi sono sempre chiesto perché.
Forse perché sapeva quanto le persone avessero idee sbagliate sul Messia: pensavano a un liberatore politico, a un capo militare, a qualcuno che avrebbe restaurato Israele nella sua gloria. Gesù sapeva che quelle aspettative avrebbero distorto tutto, e voleva essere conosciuto per ciò che era veramente, non per ciò che gli altri si aspettavano da lui.
E infatti, quando dichiarò apertamente di essere il Messia, scoppiò la crisi. Tutti cominciarono ad aspettarsi che agisse come un re vittorioso, pronto a scacciare i Romani. Ma quando non lo fece, la folla gli voltò le spalle: da eroe acclamato diventò, in pochi giorni, un traditore da eliminare. La gente non riuscì ad accettare un Messia diverso da quello che si era immaginata.
Io mi sono riconosciuto molto in quella storia. Come molte persone omosessuali, anch’io desideravo essere accettato per quello che sono, non essere definito solo come “un uomo gay”.
La mia sessualità è una parte importante di me, ma non esaurisce la mia identità. Eppure, so bene quanto sia difficile sfuggire agli stereotipi che la società appiccica addosso a chi è omosessuale: frivolo, effeminato, promiscuo, ipersessualizzato… È come se, appena qualcuno sa che sei una persona LGBT+, questi pregiudizi si risvegliano da soli. E così, per anni, ho tenuto ben chiusa la porta del mio armadio.
Ma il giorno in cui ho deciso di uscire allo scoperto, anche la mia vita è entrata in crisi.
Un terremoto che ha toccato ogni cosa: il lavoro, le relazioni, la famiglia, la fede.
Fare coming out ha significato perdere il mio posto e la mia carriera — ero stato pastore presbiteriano per sedici anni —, affrontare il divorzio da mia moglie, la separazione dai miei figli, trasferirmi dall’altra parte del Paese e cercare di rimettere insieme i pezzi di una vita che non riconoscevo più.
In poco tempo sono passato dall’essere un ministro della Parola, una guida spirituale, a essere visto come un ingannato dal diavolo, un nemico della “verità”, un reietto della Chiesa.
Eppure, paradossalmente, proprio in mezzo a quella crisi è nata la mia rinascita spirituale. Il momento decisivo è arrivato dopo alcuni anni trascorsi in un ministero “ex-gay”. Avevo pregato a lungo perché Dio mi cambiasse, ma la mia sessualità restava la stessa. Invece di “guarirmi”, Dio cominciava a parlarmi attraverso incontri inattesi, libri, testimonianze di persone che avevano fatto la mia stessa strada. Tutto mi conduceva alla stessa verità: si può essere gay e cristiani.
Ho iniziato a leggere interpretazioni bibliche che smontavano con chiarezza i luoghi comuni su ciò che la Scrittura direbbe contro le persone omosessuali. E allora ho capito che per anni avevo letto la Bibbia con occhi chiusi, costringendola dentro le paure e le ideologie di chi crede di sapere esattamente che cosa Dio pensa.
Non era più una questione di accettare o rifiutare la Bibbia, ma di leggerla di nuovo, con occhi diversi, liberandola dalle idee che altri mi avevano imposto.
Da quel momento ho cominciato a vedere il Vangelo in modo nuovo. Ho compreso più profondamente la giustificazione per fede, la libertà dalla Legge, e la radicalità dell’amore di Cristo.
È stato come cambiare lente: tutto quello che credevo di sapere andava ripensato. Mi sono persino chiesto se, prima di allora, fossi stato davvero cristiano, quando avevo frainteso così tanto il cuore del messaggio di Gesù.
Questa crisi spirituale, per quanto dolorosa, si è rivelata una delle esperienze più salutari e feconde della mia vita. Il coming out mi ha costretto ad ascoltare davvero la voce di Dio, in mezzo a tutte le altre voci che pretendevano di parlarmi a suo nome.
Mi ha insegnato a leggere la Scrittura senza paura, ad aprirmi al soffio dello Spirito e a fidarmi del dialogo intimo con Dio più che delle opinioni degli altri.
Certo, questo mi ha posto spesso in contrasto con altri cristiani che non riescono ad accettare l’idea che si possa essere insieme credenti e apertamente gay.
Ma ho imparato che la fede autentica nasce dall’ascolto personale di Dio, non dall’obbedienza cieca alle voci che si ergono a giudici della verità.
Gesù, quando “fece coming out” a Gerusalemme, dovette affrontare la rabbia e la violenza dei suoi oppositori. Sapeva che la via davanti a lui sarebbe stata terribile, ma anche che era la via voluta da Dio.
E così, anche noi, quando decidiamo di dire chi siamo, possiamo incontrare ostilità e crisi profonde. Ma possiamo anche scegliere di viverle come occasioni di crescita, di fede, di libertà.
Perché la crisi del coming out può diventare un passaggio di grazia: un tempo per scoprire nuovi aspetti della verità, per sentirsi tenuti tra le braccia eterne di Dio, e per riscoprirsi come creature amate, così come siamo, da un amore che non conosce misura.
*Rich Clark, originario di Pittsburgh (Pennsylvania, Stati Uniti), ha conseguito la laurea in religione presso il Westminster College e il Master of Divinity al Gordon-Conwell Theological Seminary, con studi post-laurea al Fuller Theological Seminary. È stato pastore in diverse congregazioni presbiteriane in Pennsylvania e Kansas. Dopo il suo coming out nel 1995, è stato rimosso dal ministero e ha trascorso quattro anni in un ministero “ex-gay”. In seguito si è trasferito nell’area di Washington D.C., dove lavora per il governo federale.
Testo originale: The Spiritual Crisis of Coming Out

