La Croce nell’Armadio. La confessione di Lizzy
Brano tratto da “The Cross in the Closet” (La croce nell’Armadio) di Timothy Kurek (Green Bridge Press, 2012, USA), liberamente tradotto da Alberto F.
Passarono due anni da quella prima volta in cui mi ero trovato in quel piccolo bar e trascorsi quei due anni frequentandolo con maggiore assiduità, addirittura, della chiesa. Avevo trovato una nuova casa, dove tutti erano la quintessenza dell’amore e dove la voce dentro di me fu costretta al silenzio.
I frequentatori regolari di quel bar divennero una specie di famiglia, legati assieme da qualcosa di più forte del sangue: una combinazione di birra scadente e di canzoni rock degli anni ’70, ’80 e ’90. E mentre quelli furono due degli anni migliori della mia vita, furono anche due dei più difficili. Nella nostra bettola, divenni testimone di innumerevoli vittime della mia religione (Cristiana). Nessuno di loro parlò di Dio in modo negativo; erano sempre i cristiani che parlavano male di loro. Non fui più un cristiano senza peli sulla lingua come lo ero stato in passato, almeno non al karaoke, e gli esempi di sofferenza di cui fui testimone mi fecero sentire colpevole e non sapevo perché.
“Tim, possiamo parlare un minuto?” lo strattone alla manica fu leggero e delicato. Elisabeth, una ragazza venuta di recente, sembrava turbata, e io feci di sì con la testa e la seguii su un terrazzo coperto sul retro.
“Che succede?”
Aveva la faccia fluida, come fosse stata una mutante, quasi incapace di mantenere la sua forma.
“Come fai ad essere cristiano?” La voce era malferma e vidi che stava cadendo a pezzi. “Come puoi esserlo e ancora essere felice di trovarti qui? Non conosco nessun cristiano che sarebbe contento di venire in questo posto, lo evitano come se fosse contaminato. Fanculo!” Batté forte un piede per terra e abbassò gli occhi.
“Sono loro a rimetterci”, dissi. “Lizzy, cos’è che non va?”
Alzò lo sguardo verso di me e aveva gli occhi umidi, disse: “Ho fatto coming out con la mia famiglia ieri …”. E le lacrime cominciarono a scorrerle lungo le guance morbide. Sapevo che era sull’orlo di un crollo di nervi. “Cosa? Cosa è successo?”
Allungò la mano per asciugarsi gli occhi e la manica della felpa le scivolò lungo il polso. Vidi che aveva la sua bella mano bianca e vellutata macchiata di qualcosa che immaginai fosse matita per gli occhi. Aveva pianto molto, a quanto pare.
“Papà mi ha detto di prendere le mie cose e di andarmene da casa e che non avrebbe pagato un altro centesimo per la scuola di una ‘figlia lesbica’! E mamma mi ha detto di tornare quando sarei ‘guarita’ …” il suo viso trovò la mia spalla e le mie braccia avvolsero quel corpo piuttosto minuscolo. La sentii fragile, come di cartapesta che non si era completamente asciugata e che era ancora soffice a toccarla. E poi la tradii. Senza neppure pensarci, tradii quella fragile creatura che piangeva incessantemente sulla mia spalla. Fu un tradimento sottile, ma ugualmente crudele: non aprii bocca.
Fece del suo meglio per ricomporsi. “Ora devo andare. Mi trasferisco da un’amica. È l’unica amica sulla quale papà non ha alcun controllo. Vado in Texas domani …”. E la sua voce svanì.
Dille ciò che il Levitico afferma riguardo all’omosessualità. Leggile Romani 1! Muoviti, Tim, è tua responsabilità in quanto seguace di Cristo. Aiutarla a vedere l’errore di questa sua scelta.
La voce dentro di me ebbe un tono molto distinto. Ma non sembrava la mia voce. Sembrava che nemmeno mi conoscesse, eppure era potente e opportunistica. Era una voce che esprimeva rifiuto, che mi diceva di respingere Elisabeth. Mi resi conto di odiare Lizzy. Non perché era una cattiva persona, ma perché le piacevano le altre donne. Quell’unico aspetto di lei era sufficiente per far esplodere in me la più grande ostilità nei suoi confronti, ostilità che non riuscivo a comprendere.
La Bibbia ci dice di amarci l’un l’altro come noi stessi. Come poteva essere Gesù quella voce? E se quella voce non era Gesù, che voce era? Qualsiasi cosa stesse parlando con me, sapevo che non mi stava guidando nell’amore, e che poteva significare solo una cosa. Quella voce doveva essere messa a tacere.
Elisabeth se ne andò dal bar ancora con le lacrime agli occhi, ma erano lacrime di commiato, non di collera per la mia mancanza di comprensione. Si era forse accorta del mio tumulto interiore? Rimasi in silenzio, fissando con espressione assente la porta da cui era appena uscita. Il suono forte di una canzone di Styx attirò il mio orecchio ma non la mia attenzione. Nulla poteva distogliere la mia attenzione; sentimenti di vergogna da rivoltarti lo stomaco mi fecero venire le lacrime agli angoli degli occhi. Trovai la strada verso un separé e mi sedetti.
E fu allora che lo vidi per la prima volta, seduto al tavolo di fronte al mio, con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra, simile a un bulletto di scuola. Mi assomigliava, con indosso pantaloni kaki e camicia nera, ma sembrava trasudare arroganza. Mi asciugai gli occhi ed ebbi un brivido.
“Chi sei?”
Perché non hai detto a Liz la verità? Perché hai sprecato l’occasione per aiutarla a considerare la sua scelta per quello che è: un peccato?
Ebbi una sensazione di caldo soffocante. Cominciò nella punta dei piedi e lentamente salì lungo tutto il corpo.
Il gatto ti ha mangiato la lingua?
“Non puoi parlare seriamente. Le ho già fatto del male abbastanza con il mio silenzio! Avrei dovuto sostenerla, piangere con lei, amarla, ma non l’ho fatto. Quello non era Gesù”.
Come fai a sapere che non era Gesù? Sicuro, Gesù è morto per i suoi peccati proprio come per quelli di tutti gli altri, ma lei non è figlia Sua. Hai avuto ragione a pensare a ciò che stavi pensando. Va a prendere la tua Bibbia – sei ancora in tempo a raggiungerla.
Sentii le sue parole nelle ossa, proprio nel midollo delle mie ossa. Lui sì che era il tipo cha sa come manipolare gli altri. Che sa cosa è giusto. Mi sentii come mi ero sentito quel giorno alla (Univesità della) Liberty, quando mi ero scontrato con Soulforce.
Qualcuno doveva pur dire ciò che Patrik non aveva saputo dire.
Quel giorno mi si spezzò il cuore. Dovevo essere io quello che sapeva amare, non quello che respingeva un gruppo di persone solo perché erano gay. Avevo sbagliato ad accampare una simile vuota condanna. Avrei dovuto dissentire in modo diverso.
No, non hai sbagliato. Semplicemente non ti sei impegnato abbastanza.
Scossi la testa e mi asciugai il sudore dalla fronte. No, non avevo ragione. Non avevo avuto ragione allora, e nemmeno il mio silenzio di condanna nei confronti di Liz era giusto. I ricordi della mia istruzione teologica passarono come un lampo nella mia mente, simili alle immagini di una televisione. Ma non vidi me stesso in quelle immagini; vidi la creatura che sa solo condannare, il Fariseo, che stava seduto di fronte a me.
E in quel momento me ne resi conto completamente, e un peso si sollevò dalle mie spalle: avrei potuto aver torto sin dal principio.
Quella figura di fronte a me scosse la testa, aveva giudicato i miei pensieri tanto velocemente quanto io li avevo concepiti. Ma il sosia del Fariseo stava immobile, puntando crudelmente il dito contro di me. Mi alzai, ma lui rimase seduto, con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra. Ero rifiutato. Dovevo disfarmi di lui.
No, non puoi.
Dovevo farlo! Qualcosa di radicale doveva succedere, qualcosa che mettesse alla prova le cose in cui credevo fin dalle fondamenta … E allora mi venne in mente: Cammina nelle scarpe di Liz – le scarpe delle stesse persone che mi è stato insegnato a odiare. Vivi con indosso l’etichetta di gay.
Le implicazione di una simile idea erano sconvolgenti. Farlo voleva dire rovinare la mia vita. Ma che tipo di vita avevo mai, se tra me e le persone che sapevo che dovevo amare c’era una simile barriera? Sentii l’idea crescere dentro di me, mettere radici dentro di me, come se la decisione fosse stata già presa e riuscivo quasi a vedere la strada che mi si apriva davanti. Ero destinato a tanto. Era una chiamata che non volevo e non comprendevo, ma non potevo ignorare la percezione fortissima che avevo che Dio stava ratificando tale decisione.
Dovevo uscire dall’armadio come gay.