La doppia vita di Djamel, un gay magrebino di periferia
Articolo di P. Baverel tratto da Le Parisien del 19 aprile 2001, traduzione di Domenico Afiero
Per i figli dei maghrebini nati o cresciuti in Francia tra i palazzi dei quartieri popolari, dove l’omofobia rimane assai forte, essere additati come ‘froci’ è un insulto terribile.
Cosi vivono una doppia identità per non rischiare di ritrovarsi come Karim, 26 anni, ricoverato in ospedale per le percosse subite dai genitori dopo che avevano scoperto che era gay; oppure di finire come Mourad, ventenne, che è stato portato con la forza in Algeria per ‘guarire’ dopo aver confidato alla madre la sua omosessualità.
Questa è la storia di Djamel, un gay magrebino che si raccontata per infrangere il muro del silenzio.
Djamel ha avuto la bella idea di dire alla sorella che “ è Dio che crea le lesbiche, gli omosessuali, gli eterosessuali e la vita”. Nient’altro.
Salima, 20enne, non rivolge più la parola al fratello, di tre anni più grande di lei, da quando si è impadronita del suo cellulare e ha ascoltato i messaggi in segreteria. Non gli rivolge più la parola perché così ha scoperto la relazione omosessuale del fratello ascoltando la dichiarazione d’amore lasciatagli in segreteria dalla sua dolce metà.
“Queste cose non si dicono affatto tra ragazzi. Dovresti smetterla!”, ha decretato l’indiscreta sorella. “Non ti parlerò più neanche per sogno!” . Un dissapore creatosi tra i due, di cui genitori e fratelli, quattro tra maschi e femmine, non sanno la ragione.
Djamel veste magliette Adidas, jeans Levi’s e calza scarpe da ginnastica. Ha capelli corti e baffi sottili. Conduce la sua doppia vita in maniera schizofrenica: fa l’imbianchino durante la settimana in una grande città dell’Oise (periferia di Parigi), dove è nato e nel fine settimana, da vero modaiolo, se la spassa nei bar e nei locali notturni gay di Parigi.
Non è il caso, ovviamente, di ostentare la propria omosessualità nella sua città di periferia dove condivide un appartamento con suo fratello. “I gay , qui, sono rifiutati. Nei luoghi di rimorchio , capita anche che qualcuno venga pestato. Io non ci vado, perché non ho voglia di farmi notare” spiega Djamel.
A lavoro , il giovane imbianchino gay si diverte, come lui stesso sostiene, a fare il maschio .I colleghi, uomini sposati e padri di famiglia, scherzano spesso sui froci.
Djamel, che non osa dire niente neanche ai suoi compagni, spiega che in quei casi , tergiversa un po’. E quando qualcuno curioso gli chiede se ha la ragazza, lui risponde in maniera affermativa senza esitare, inventando nomi di plausibili conquiste: Isabelle, Estelle e giù di seguito.
Ai genitori, nati in Algeria, mente. Quando vogliono sapere quando si deciderà a prender moglie , lui risponde con filosofia: “Quando incontrerò la donna per me!”. In verità, ha tentato una o due volte , ma “le ragazze”, rivela Djamel, “non mi interessano!”.
Suo padre, un camionista, non dubita di niente: “Se sapesse che non avrò prole e eredi, andrebbe su tutte le furie”, continua il nostro Djamel con un sorriso inquieto sulle labbra. Prima di aggiungere che “avere dei bambini, non è proprio il mio destino!”.
Con la madre che lui ‘adora’, vi sono dei sospetti. Le frequenti chiamate del suo ex ragazzo le avrebbero messo la pulce all’orecchio? Fatto sta che da quando l’ha portata a fare un giro con la nuova Golf a Parigi, Djamel è riuscito ad accontentarla, facendole vedere la Tour Eiffel , la torre Montparnasse e gli Champs–Elyseés. La mamma, però, ha chiesto al figlio di voler vedere i froci nella capitale.
Il giovane Djamel racconta che, per non dare l’impressione di sembrare complessato, l’ha portata al Marais (ndt- quartiere gay ed ebraico di Parigi) e lei era davvero contenta. Quel giro della città, si è concluso andando in un fast-food del XVIII arrondissemen, dove Djamel non ha trovato le parole per parlare alla madre.
Il giovane beur (ndt- figlio di maghrebini nato o cresciuto in Francia) ha concluso: “Forse dubita di me!”. E’ chiaro che l’imbianchino preferisce andare al Marais da solo ed in incognito, in quanto ha successo con gli uomini.
Il giovane, infatti, continua: “Come non vi sono molti beur nei bar del Marais, i ragazzi sbavano per me”. Il week-end in cui l’abbiamo incontrato aveva passato la notte tra il sabato e la domenica in una discoteca alla moda del centro di Parigi prima di andare a prendere il treno, intorno alle sei del mattino, per rientrare a casa.
Una volta risvegliatosi la domenica, verso mezzogiorno, il nostro beur riprende il treno nel primo pomeriggio, “in senso inverso” questa volta , per andare a bere qualcosa nel quartiere gay e andare a ballare alla Folies Pigalle (ndt- discoteca gay parigina molto alla moda) per una serata black-blanc-beur (ndt- serata per gente di colore; bianchi e beur).
Un po’ prima della mezzanotte, danzava sorridente e strafottente a ritmo di una canzone di Khaled. Senza pensare che l’indomani mattina, alle 08.00, sarebbe andato sul cantiere con il rullo da imbianchino tra le mani a recitare di nuovo la parte del “maschio”.
Articolo originale
La double vie de Djamel gay et beur en banlieu