Riflessioni di Roberto Mancini tratte da Avvenire del 18 novembre 2008
Karl Jaspers ha indicato così il rischio, per ognuno, di sprecare la propria vita: «Io mi consumo nel nulla se vivo senza amore». Ma la filosofia occidentale, che pure si è definita come amicizia per la sapienza, spesso ha giudicato l’amore come irrazionale e inferiore alla ragione o al potere. Perciò ha instaurato una «normalità» metodologica per cui il pensiero si sviluppa senza amare.
Se però si ascoltano le leggi profonde dell’esistenza, si scopre che la verità, la vita e la condizione umana hanno a che fare con l’amore in modo essenziale. Il rischio del pensiero e della parola, del resto, è quello di ridurre l’amore a un mero oggetto di discorso. Più se ne parla e più suona falso.
Di qui la sua scarsa credibilità per gli intellettuali come per tutti. La prospettiva cambia completamente quando l’amore è già nello sguardo con cui cogliamo le cose.
Il contributo della filosofia non sta nel mettere l’amore da parte, ma nel chiarire quale specifico amore sia così essenziale. C’è una tensione nell’amore, per cui esso si dà per noi, in noi, come una lotta tra egoismo e generosità, tra creatività e distruttività. Ma l’amore vero è solo quello che si risolve interamente al bene e diviene generoso, creativo, misericordioso. Amare in modo buono non è immediato; comporta un cammino di apprendimento in cui ci apriamo a un amore più umano della normalità costituita.
Superando la retorica dei buoni sentimenti e il cinismo che crede solo nei sentimenti oscuri, l’apprendimento ha luogo sperimentando le traduzioni reali dell’amore vero. Esso non può che fiorire in comportamenti, forme di esistenza e di convivenza concrete. In questo senso Mohandas Gandhi afferma che, nel rapporto tra fini e mezzi dell’amore politico nonviolento, «il mezzo è tutto».
Se le fonti di luce e di respiro per noi – l’amore stesso, il bene, la giustizia, la bellezza, la mite verità – non sono accolte e «assunte», cioè partecipate e tradotte, ricevute e ricomunicate, siamo preda di forze come la cattiveria, lo scoramento, la prepotenza, il disprezzo per gli altri.
Il sintomo tipico di questa elusione della legge metafisica dell’amore, che sostiene ogni vita, sta non tanto nella normalità filosofica, quanto nella normalità sociale e culturale diffusa oggi. Una «normalità» ipocrita e feroce, per cui i poveri, i mendicanti, i lavavetri, gli «esuberi», gli stranieri, i rom, le prostitute, gli omosessuali e gli «irregolari» di qualsiasi specie vanno perseguitati. Questa normalità non combatte la povertà, ma i poveri, non la marginalità, ma i marginali. Non vede il valore dei giovani, né quello dei vecchi. Gli uni li affronta con la polizia, gli altri li mette negli ospizi.
Proprio perché prescinde da ogni amore autentico, la normalità della società attuale non offre radici alla politica esercitata come arte collettiva di tessere una convivenza giusta per tutti. Come cambiare cuore e mentalità? Imparare a tradurre l’amore vero, disinquinandolo in se stessi, significa scoprirsi capaci di affrontare rischi, conflitti e sofferenze.
Perché questo amore si conferma nel fare fronte agli effetti del male per poterli superare e nella condivisione liberatrice con chi fa più fatica a vivere. Tra le tracce della sapienza dell’amore, ogni volta nuova e antica come le montagne, c’è questo promemoria lasciatoci da Franz Kafka: «Puoi astenerti dalle sofferenze del mondo, sei libero di farlo e risponde alla tua natura, ma forse proprio questo astenersi è la sola sofferenza che potresti evitare».