La fede resta ma anche le ferite. «Escluso dal seminario perché ho detto la verità»
Articolo di Raffaella Troili pubblicato su Il Messaggero del 29 maggio 2024, pag.9
La fede resta, ma anche la ferita. No vabbé è una fake, il Papa non conosce bene l’italiano… All’inizio quel commento offensivo ha lasciato increduli, poi ha riaperto paure e voragini, riavvolto nastri, un passo indietro dopo tante piccole grandi conquiste.
Ha colpito tutti, di più i diretti interessati, le famiglie Lgbt+, i parroci di frontiera che hanno superato anzi doppiato da tempo la realtà fatta di pregiudizi, discriminazioni e inconsistenza.
Innocenzo Pontillo, presidente dell’Associazione nazionale de “La Tenda di Gionata“, un sogno divenuto realtà, quello di accompagnare i cristiani Lgbt+, aiutare i familiari, come anche la formazione di preti e suore, ammette che «quell’uscita involontaria e colorita, il Papa non è nuovo all’uso improprio di termini gergali, ha riaperto ferite, molti genitori cercano di aiutare i figli (LGBT+), ma così rischiano di crollare in un attimo».
Non è stata la novità del messaggio, ma il “modo”. «Sul tema (il Papa) ha già espresso perplessità, non ritenendo che l’ambiente del seminario riesca a formare le persone (omosessuali). La colpa è del seminario che non funziona, non di chi sogna una vita santa come prete». Pontillo va oltre: «è indice della difficoltà della Chiesa di parlare di omosessualità e sessualità, ma intanto c’è gente che chiede risposte».
Da una parte chiese vuote, scarse vocazioni, messaggi equivoci e sfilacciati, dall’altra una rigidità nell’apertura agli omosessuali affermata da Benedetto XVI e confermata da Papa Francesco. Niente di nuovo. Ma questa «bergogliata non ci voleva, ci sono tanti che hanno belle vocazioni. In queste condizioni capiscono che devono vivere di nascosto. Ecco, il messaggio che arriva è questo: se hai la vocazione e sei omosessuale non lo puoi dire a nessuno».
«PORTE CHIUSE»
Non lo ha fatto Lorenzo Michele Noè Caruso, 22 anni. Ma si è dovuto arrendere. Per lui non c’era posto. Anche se gli hanno sempre detto che si comportava e relazionava come un “prete”.
«Nella diocesi di La Spezia ho vissuto la dicotomia tra la mia vita normale dove nella società potevo essere me stesso e la mia vita nella chiesa dove invece non era permesso».
Voleva fare catechismo, niente da fare. In quinta superiore quel sentimento misterioso e unico ha preso corpo, «ma cresceva in me già da piccolo la voglia di fare il prete. Ho iniziato il percorso per entrare in seminario, la mia sessualità era chiara ma anche la mia strada».
Eppure le porte del seminario non si sono aperte, era gay dichiarato. «Non mi hanno giudicato per la mia vocazione. Molte persone per paura tacciono, ho scelto la verità. E non mi arrendo, continuo a combattere per una chiesa più aperta, veramente di tutti. La frase di Papa Francesco mi fa rabbia e tristezza, dopo tanti passi avanti. Assurdo l’uso di quel termine orribile. L’unica fortuna è che la chiesa della persone è diversa dalle idee che escono dal Vaticano».
Parroci di paesi sperduti, ma anche vescovi fuori dal coro sperimentano già i valori dell’accoglienza. Ciò non toglie che il messaggio è stato deflagrante.
IL DOLORE DI UNA MAMMA
Mara Grassi racconta: «Ho un figlio omosessuale e faccio parte dei genitori cattolici che lottano affinché la Chiesa sia la casa di tutti. Sono stata male quando ho letto quelle parole, sentir parlare dei nostri figli così ci ha turbato».
Nel 2020 consegnò a Papa Francesco il libretto dei “Genitori fortunati”, «raccontava la nostra esperienza, dopo lo smarrimento saper vedere il dono. Il Papa mi disse: “Dio ama tutti i vostri figli così come sono perché sono figli di Dio”».
Le famiglie hanno fatto passi da gigante, la Chiesa arranca. «Spero solo che da questa brutta uscita e poi le scuse, possa nascere qualcosa di buono. I seminari non possono diventare il rifugio di persone che non accettano se stessi».
Non smettere di sperare e lavorare all’interno della Chiesa è anche il messaggio di Andrea Rubera, portavoce di “Cammini di Speranza”. «La Chiesa non è un club di cui si richiede la tessera, deve diventare resiliente ma c’è ancora molto da fare».
Non si meraviglia Rosario Salamone, ex direttore della Diocesi di Roma: «Il problema esiste nei seminari, per questo caldeggio l’abolizione del celibato in primis in linea con la chiesa ortodossa. Per fortuna ci sono i preti di frontiera che conoscono la gente vera».
Come don Dino D’Aloia, direttore dell’ufficio di pastorale con le persone Lgbt+ della diocesi di San Severo che ha scritto una lettera aperta a Papa Francesco.
Come pure don Nando Ottaviani, star dei social nella provincia di Lucca. «Sono amareggiato, io parroco non indago su cosa accade nelle camere da letto dei fedeli. Il Vangelo è accoglienza, attenzione, amore. Conosco tanti omosessuali, che faccio li caccio, li mando all’inferno, perché si vogliono bene?». A spaventarlo è il messaggio. «Che passi l’idea, amplificata: se lo dice il Papa, posso offendere anche io».