La gerarchia cattolica davanti ai gay e alle lesbiche
Riflessioni di José Carlos Garcia Fajardo* tratte da Diario Universal (Spagna) del 17 agosto 2010, liberamente tradotte da Dino
E’ curiosa e rivelatrice l’omofobia della gerarchia cattolica. Se calcoliamo il tempo e lo spazio dedicati ad argomenti di natura sessuale in confronto a quelli dedicati a temi sociali ed economici, che opprimono la gran parte delle persone, proviamo una vergogna che avrebbe scandalizzato Gesù di Nazareth, del cui messaggio si sono appropriati e l’hanno distorto.
Senza dubbio non esiste nessuna istituzione, da almeno dodici secoli, che abbia al suo interno un numero così grande di omosessuali repressi quanto il clero cattolico.
Era il canale di sfogo di coloro che temevano la loro naturale inclinazione sessuale, soprattutto in tempi in cui essa era perseguita e punita anche con la morte sul rogo e con la confisca dei beni. Adesso invece ciò le dà fastidio.
Molti incanalavano le loro tendenze in lavori caritatevoli, o nell’insegnamento a ragazzi e giovani, e così nel frattempo potevano vivere in un ambiente di maschi con le gonne.
Nella maggior parte dei casi non avvenivano aggressioni fisiche perché erano in grado di controllare o sublimare le loro pulsioni.
Siamo onesti, non tutti gli eterosessuali aggrediscono il sesso opposto che gli si presenta davanti per strada o sul lavoro.
Ma per molti è stato un inferno e per altri un terreno di caccia impunito a causa della cattiva coscienza dei loro superiori che hanno avuto il coraggio di emanare una Ordinanza, da Roma, con la quale veniva imposto il più assoluto silenzio sui casi di omosessualità tra adulti, di pedofilia o di attenzioni morbose dal confessionale.
I vescovi dovevano cambiare quello che avrebbe dovuto essere il giusto destino del colpevole e chiudere il caso con ogni mezzo possibile.
Così è avvenuto da quando hanno dato priorità al celibato obbligatorio rispetto al matrimonio, che invece era stato la realtà prevalente in tutta la storia di Israele, della Grecia, di Roma e anche dell’Islam, delle nostre radici, e nei primi secoli del cristianesimo.
Ma da alcuni anni non è stato più possibile coprire i crimini, gli abusi e gli attacchi ad esseri innocenti.
Quello che avviene tra persone adulte, purché non comportasse molestie, restava un loro fatto privato.
La maggioranza di queste persone riuscivano a trasferire o sublimare le loro pulsioni.
Anticamente c’erano molti omosessuali che entravano nei seminari e nei conventi per inclinazione o per un miglioramento sociale o in seguito a pressioni familiari.
Gli omosessuali trovavano in quel luogo un ambiente favorevole per vivere a modo loro, non pativano violenze, vivevano tra uomini e potevano praticare tutti i lavori che allora erano ritenuti esclusivi delle donne.
Il fatto di non poter generare figli lo compensavano con la cura dei bambini dei postulanti.
Non dobbiamo scordare che nei monasteri, nei seminari e nei conventi venivano accolti bambini fin dall’età di sette anni, le cui cure erano compito soltanto di uomini.
Viene affermato che i bambini necessitano “assolutamente” di una coppia formata da un uomo e da una donna come indispensabile punto di riferimento. Povere vedove e vedovi, madri sole o coppie separate.
Il problema si è poi aggravato con l’evangelizzazione nelle missioni. Molti fuggivano da se stessi ma portavano con sé le loro passioni.
Svolgevano un meritorio lavoro di carità e di servizio, e nello stesso tempo avvertivano una minor pressione sociale riguardo all’ esprimere i loro affetti.
Con l’emergere delle libertà fu più difficile mantenere i segreti “abominevoli”, come li definiscono, ma che molti di essi mettevano in pratica.
Hanno cercato di coprire gli scandali nelle diocesi degli Stati Uniti e dell’Europa con ingenti somme di denaro.
Ma non è stato sufficiente, date le dimensioni del fenomeno e lo sfruttamento di ciò da parte di alcune persone senza scrupoli che in questo videro una miniera.
Da Roma partì un Decreto-segreto che riservava alla Santa Sede tutti i casi di omosessualità scoperta e raccomandavano di “cambiare destino” al responsabile.
Ma nei casi di pedofilia e di abusi all’interno di seminari, sagrestie, conventi e movimenti giovanili, veniva ordinato di serbare il più stretto segreto, pena la scomunica.
Quello che è inammissibile è l’accanimento contro cittadini liberi che hanno deciso di vivere la loro scelta sessuale con libertà e responsabilità.
Non possono perseguire coloro che cercano di vivere con normalità quello che essi hanno messo in pratica con paura e in segreto.
Nei seminari e nei noviziati allontanavano coloro che non riuscivano a mantenere la necessaria discrezione o che passavano a mettere in pratica quello che doveva rimanere teorico. L’ipocrisia è stata per secoli la loro regola di vita.
La soluzione del problema sta nel riconoscimento di un celibato volontario e temporaneo e anche della validità incontestabile del matrimonio di sacerdoti e vescovi, come avveniva nei primi secoli.
E anche tra gli apostoli e forse anche per lo stesso Gesù.
Il celibato dovrebbe essere riservato a coloro che lo scelgono volontariamente e sanno conservarlo senza che serva da copertura per abusi inammissibili.
Se alcuni possono controllare la loro tendenza, buon per loro, ma non possiamo immaginare un magistrato, un rettore, un ambasciatore, un ministro, un dirigente, un arcivescovo con mitra e pastorale che si comportano da checche isteriche nel Giorno dell’orgoglio gay.
Semplicità e senso comune, raccomandava Cervantes, poiché ogni finzione è vana.
* José Carlos Garcia Fajardo è Professore Emerito dell’Università Complutense di Madrid e direttore del Centro di Collaborazioni Solidali (CCS) di Spagna
Tesato originale: Católicos ante gays y lesbianas