La percezione sociale dell’omosessualità nella storia, dall’antica Grecia al XVII secolo
Testo tratto da “Combattre l’homophobie, pour une école ouverte à la diversité” (Combattere l’omofobia, per una scuola aperta alla diversità) pubblicato dal Governo della Comunità Francese (Belgio), pp. 29-30, liberamente tradotto da Francesca Macilletti
L’amore e la sessualità tra uomini e tra donne esiste probabilmente dappertutto e da sempre. Le uniche cose che sono cambiate nel corso della storia sono le condizioni nelle quali queste relazione si forgiano e le forme che prendono. Diverse fonti confermano che, nel corso della storia europea, ci sono stati uomini e donne che avevano rapporti sessuali esclusivamente con persone del loro stesso sesso; ma questo non significa che tutte le culture avessero a disposizione un concetto specifico che identificasse “l’omosessualità” (la quale si sarebbe dovuta opporre all’”eterosessualità”), né che considerassero gli “omosessuali” come facenti parte di una distinta categoria.
In alcuni casi, risultava determinante sapere chi avesse un ruolo “attivo” e chi uno “passivo” all’interno delle relazioni sessuali, anche se, molto spesso, questi ruoli erano intercambiabili. In molti paesi, le relazioni tra persone dello stesso sesso erano considerate un peccato o un crimine punito – a volte – con la morte. Oggi, la depenalizzazione degli atti omosessuali, messa in atto in Francia e Belgio dalla fine del XX secolo, l’emancipazione della donna, l’espansione dei movimenti gay e lesbico e la liberazione della sessualità in generale hanno permesso ad alcuni omosessuali di sviluppare un’identità gay o lesbica sempre più positiva [3].
I periodi storici presentati di seguito non hanno l’obiettivo di essere esaustivi ma sono destinati a informare sul fatto che la repressione delle persone di orientamento omosessuale non è sempre stata generalizzata in occidente (F. Tamagne, 2001; D. Eribon, 2003; L.G. Tin, 2003). Ai periodi di repressione sono succeduti periodi di accettazione dell’omosessualità. D’altronde, la negazione dell’esistenza dell’omosessualità è sempre stata uno dei più efficaci processi per “dimenticare” i diritti delle persone omosessuali. Questo è particolarmente vero per le lesbiche. Se la storia delle donne è spesso stata minimizzata, quella delle lesbiche è stata ignorata ovvero deliberatamente occultata (M. J. Bonnet, 2001).
L’Europa antica e medievale
La Grecia antica (e, in modo meno massiccio, la Roma imperiale) ha fatto riferimento molte volte agli omosessuali e alle lesbiche che, così come Renée Vivien (Sapho, traduction nouvelle, “Saffo, nuova traduzione” 1903), André Gide (Corydon, 1924) o Marguerite Yourcenar (Memorie di Adriano, 1951) volevano vedere in questo un modello di tolleranza dell’amore tra persone dello stesso sesso. Questi riferimenti rimangono comunque estremamente codificati. Così, in Grecia, “l’omosessualità” era definita, in maniera restrittiva, nel contesto iniziatico e pedagogico che unisce l’erastes (l’uomo adulto) all’eromenos (il suo amato, di età compresa tra i 12 e i 18 anni).
L’amore maschile viene celebrato nell’arte (vasi e statue) e nella letteratura (Il simposio di Platone) come una delle più alte forme d’amore e maggiormente valorizzata rispetto alle relazioni eterosessuali, mentre l’omosessualità femminile è raramente menzionata. Non tutti i comportamenti sono tollerati: gli “effeminati” sono oggetto di sarcasmo in quanto testimoniano, una volta raggiunta l’età adulta, una condotta passiva considerata disonorevole (K. J. Dover, 1982; B. Sergent, 1996; D. Halperin, 2000; J. Winkler, 2005). Allo stesso modo, a Roma – altra società patriarcale segnata dalla valorizzazione della virilità, dalla sottomissione della donna e dalla schiavitù – il partner passivo, se adulto e uomo libero, è oggetto di un profondo disprezzo (F. Dupont e T. Eloi, 2001).
La tradizione cristiana, sotto l’influenza di san Paolo prima e di sant’Agostino e san Tommaso d’Aquino dopo, guarda con rimprovero il “sodomita”[4], considerato colpevole di un “crimine contro natura” in quanto mette in causa l’ordine divino della differenza dei sessi. Tuttavia, “il sodomita” e “l’omosessuale” non si confondono completamente, perché l’accusa di sodomia poteva ricoprire tanto pratiche omosessuali quanto quelle eterosessuali e la brutalità.
Al contrario, l’omosessualità femminile rimaneva nell’ombra, tranne quando la donna rivendicava i privilegi maschili, per esempio travestendosi o utilizzando dei dildo, oppure quando cercava di contrarre matrimonio con un’altra donna. Le persecuzioni legate alla repressione dell’omosessualità sono documentate dal IV secolo dell’era cristiana.
Le leggi applicate sotto i regni di Teodosio e di Giustiniano sono le prime a prevedere il rogo per gli atti omosessuali. Successivamente, a partire dal V fino al XIII secolo, la repressione è stata presente ma irregolare in Occidente. Durante l’Alto Medioevo possiamo parlare di un certo riconoscimento dell’omosessualità attraverso alcuni riti certificati dalla Chiesa.
A partire dal IV fino al XII secolo, in particolar modo in Oriente, ci sono stati numerosi esempi di cerimonie che solennizzavano una relazione affettiva stabile tra due persone dello stesso sesso riconosciuta dalla collettività e ufficializzata dalle autorità religiose (J. Boswell, 1996).
Nei secoli XI e XII l’amore cortese esisteva anche tra uomini, come viene testimoniato dalla letteratura cristiana dell’epoca (per esempio sant’Anselmo, san Bernardo di Clairvaux o il vescovo Marbod di Rennes della scuola di Chartres, i cui poemi esaltanti l’amore tra uomini sono diffusi in Europa), e diversi papi e uomini di potere rinunciarono a perseguire le pratiche omosessuali.
Durante il Rinascimento, sotto l’influenza del pensiero umanista, questa corrente detta neo-platonica, riferendosi all’antichità, ha conosciuto un rinnovamento, sia nella letteratura (Dialogo sull’amore di Plutarco, sensibilità “omosessuale” in Montaigne, Marlowe o Shakespeare) sia nell’arte (temi di San Sebastiano o Ganimede, ispirazione omoerotica di Michelangelo, Leonardo da Vinci, il Caravaggio…). Si osserva, allora, una disparità crescente tra il discorso ufficiale – molto colpevolizzante – e la complessità delle pratiche e dei modi di pensiero.
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[3] Ci sono, oggi, diverse identificazioni possibili in funzione della sessualità, che non sempre corrispondono a un termine o a «un’etichetta» generica come lesbica, gay, bisessuale o transessuale. Dagli anni ’90, il termine queer (termine inizialmente ingiurioso, che significa «strano», «bizzarro» ma anche «finocchio») è utilizzato da coloro i quali vogliono resistere alle norme di sesso e di genere e non si riconoscono nelle identità «gay» o «lesbica», considerate come portatrici di nuove esclusioni (legate all’età, al fisico, alla «razza»…).
[4] In riferimento all’episodio di Sodoma e Gomorra presente nella Genesi (XIX 1-23).
Testo originale (PDF): Combattre l’homophobie, pour une école ouverte à la diversité