La preghiera di un cattolico LGBTQ in attesa del Conclave
Riflessioni di Christopher Vella*, pubblicato su Outreach (Stati Uniti) il 2 maggio 2025.
Liberamente tradotte dai volontari del Progetto Gionata
È passata solo una settimana da quando il mondo si è fermato per piangere la perdita del nostro caro parroco universale, il nostro pastore buono e santo: Papa Francesco. Ora che il suo corpo riposa nella Basilica di Santa Maria Maggiore, nel cuore di Roma, i riflettori si sono spostati sul futuro. È iniziata la corsa al soglio pontificio.
E come già accaduto in altri conclavi, tornano le manovre, le previsioni, le scommesse sui papabili. Ma, in tutto questo frastuono, molti si domandano: dove andrà la Chiesa adesso?
La sensazione è quella di trovarsi a un bivio. Alcuni temono che il prossimo Papa possa imprimere una svolta decisa verso una visione liturgica o sociale piuttosto che un’altra. Ma se ci fermiamo a guardare con occhi di fede, ci accorgiamo che tutto questo, agli occhi di Dio, ha un peso relativo.
Dio non si schiera con nessuna fazione. Dio è più grande delle nostre contrapposizioni. È l’Amore stesso, e tutto ciò che desidera è che l’intera creazione si incammini verso la fraternità, la giustizia e la pace. Verso di Lui.
Il vero interrogativo, allora, non è quale visione di Chiesa prevarrà. Il nodo, profondo e fragile, è come noi esseri umani, con i nostri limiti e le nostre paure, possiamo incamminarci verso quel sogno senza distruggere ciò che ci è stato affidato. Non conta tanto l’ideologia a cui aderiamo. Conta piuttosto quanto, giorno dopo giorno, impariamo a somigliare a Cristo.
Eppure, la tensione tra opposti attraversa la storia della Chiesa fin dai suoi primi passi. Dobbiamo davvero affidarci a regole rigide, bianche o nere, come fossero bussola della verità? O non è forse più fedele al Vangelo cercare un sentiero che sappia leggere i segni del tempo, con discernimento e cuore aperto?
Chi sceglie il rigore mette in guardia contro il pericolo del relativismo: quando tutto diventa opinabile, anche la verità rischia di svanire. Temono che, senza punti fermi, ciascuno finisca per costruirsi una verità su misura, comoda e autoreferenziale. Per loro, l’unica difesa è restare saldi in ciò che non cambia.
Dall’altra parte, però, ci sono voci che chiedono di non dimenticare le storie delle persone. Che denunciano come certe verità, quando imposte senza ascolto, diventano pesi insopportabili, ferite profonde. E si domandano: davvero il Dio dell’amore può chiederci questo?
Gesù, nel Vangelo, non si è mai lasciato imprigionare da ideologie. Papa Francesco ce lo ricordava spesso, mettendoci in guardia da quella “guerra di trincea” spirituale che ci separa anziché unirci.
Gesù ha criticato i farisei perché, pur difendendo la dottrina, avevano smarrito la compassione. Ma non era nemmeno un relativista: non ha mai avuto paura di dire la verità. Solo che la sua verità era sempre attraversata dalla misericordia.
La via di Cristo è un’altra: Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Perché sono mite e umile di cuore. Una via che non chiede appartenenza a una fazione, ma abbraccia chi è piccolo, chi ha fame di giustizia, chi costruisce la pace, chi ha un cuore puro.
Essere discepoli di Gesù significa camminare nella mitezza, con libertà interiore, cercando la verità con umiltà. Significa cercare chi è stato messo ai margini, chi è stato scartato, chi ha vissuto nella vergogna. Perché è in loro che abita il mistero di Dio.
Eppure, quante volte, anche noi cristiani, ci lasciamo prendere dall’arroganza, ci sentiamo migliori, indispensabili, e smettiamo di ascoltare il grido dei poveri. Quel grido che è Cristo tra noi, in incognito.
Aprire gli occhi sulla nostra ipocrisia, sui nostri doppi standard, è doloroso. Ma è anche il primo passo verso la luce. Non ci salverà una legge inflessibile. E neppure un accomodamento che evita il conflitto. La via è il discernimento dello Spirito.
Papa Francesco ci ha mostrato questa via. Non si è mai lasciato incatenare dalla rigidità, né ha ceduto ai compromessi facili. È stato l’apostolo della misericordia, un pastore mite e libero, che ha saputo farsi servo. Come il Buon Pastore, ha cercato la pecora smarrita.
Come il Padre misericordioso, ha aperto le braccia al figlio ribelle e al fratello invidioso. Ha creduto nel discernimento. Ci ha insegnato a vedere la luce di Dio e la sua rugiada di tenerezza.
Ha parlato alla creazione. Ha teso la mano a ogni uomo e donna di buona volontà. È stato luce nel buio, in mezzo a pistoleri da Far West, politici corrotti, ecclesiastici senza pietà. È stato, come Francesco d’Assisi, un alter Christus, un altro Cristo.
L’identità del vero discepolo è quella: mitezza, umiltà, sete di giustizia. E ora, nel silenzio carico di attesa che precede il conclave, tocca ai cardinali cercare non un vincitore, non un portabandiera ideologico, ma un autentico pastore.
Uno che ascolti Dio nel profondo del proprio cuore. Uno che cammini con il popolo, che soffra con esso, che consoli chi è stanco e piegato. Uno disposto, come scriveva Henri Nouwen, a essere un guaritore ferito.
La mia preghiera, in questa settimana, è che tutta la Chiesa—e in particolare i cardinali—resti aperta alla voce dello Spirito. Che possano scegliere un cuore che somigli profondamente al Cuore di Gesù. Ti invito a pregare con me. Che colui scelto da Dio si faccia avanti. Amen!
*Christopher Vella è co-presidente della Global Network of Rainbow Catholics. È coordinatore del gruppo Drachma LGBTI di Malta e segretario generale aggiunto del sindacato degli insegnanti maltesi (Malta Union of Teachers).
Testo originale: An LGBTQ Catholic’s prayer for the conclave