La questione. La pastorale inclusiva con le persone LGBT può negare la loro vita affettiva e sessuale?
Lettera di don Ennio con risposta del direttore Antonio Rizzolo, pubblicata sul mensile Jesus di agosto 2020, pag.6
Caro direttore, ho letto sul numero di giugno l’inchiesta “Cattolici Lgbt+, la mano tesa verso la Chiesa“. Già nella formulazione del titolo, per quanto capisco, viene detto già dove vuole arrivare tutta l’argomentazione. Ma già nel titolo non si è attenti alla verità delle cose. Non esistono i cattolici Lgbt. Esiste per esempio «Maurizio che ha una attrazione omosessuale». Come esiste «Franca che ha una attrazione verso lo stesso sesso». Etichettare con la parola gay o Lgbt è voler ridurre ciò che è più complesso. E non si fa del bene alle persone.
Sono un sacerdote di 78 anni della diocesi di Milano. Non ho la preparazione teologica né morale né altro per essere all’altezza di parlare con precisione su questo tema. Eppure mi sono fatto “sul campo “chiarezza su alcuni punti della questione. L’attrazione omosessuale non è peccaminosa.
Sono gli alti che possono essere peccaminosi. Questo lo dice la Chiesa. E non è cambiato nulla della dottrina neppure con l’Amoris laetitia; è cambiato il modo con cui ci si avvicina a questo mondo e non solo a questa realtà. Ma è sempre amare nella verità. C’è da avere un grande rispetto per tutti e purtroppo non è sempre stato così. Non si può però non dire che in una attrazione così c’è qualcosa che non va”. Per l’Oms oggi questa tendenza non è più considerata malattia. Va bene. Ma cos’è allora ? Si può dire certamente che Dio mi ama per quello che sono e mi aiuta a convivere con quel pezzo di me che non va.
Ma è diverso dire: «Lui mi ha fatto cosi» dal dire: «Io sono così». È un’altra cosa. Dire che mi ha fatto così, come l’ho sentito con le mie orecchie da un giovane, potrà allora voler dire che «tutto va bene»: tu sei giusto così. Vorrà dire che ci si può fidanzare e sposare ed è un bene.
Nell’inchiesta si fa cenno a «45 gruppi cristiani Lgbt presenti in Italia» ma nel mondo Lgbt, siccome «tutto va bene», non ci può essere l’attenzione alla sofferenza che prova chi vive l’attrazione verso lo stesso sesso e sente che dentro ha qualcosa che non va. La Chiesa propone invece la castità come possibilità per una vita accolta, vissuta e pacificata. Come rivista cattolica non aveva senso pubblicare un servizio così chiaramente all’insegna del “politicamente corretto”. Mi spiace.
Don Ennio Campoleoni Luino (Varese)
La risposta….
Le delicate questioni poste da don Campoleoni nella sua lunga lettera (che ho dovuto tagliare cercando però di conservare integralmente il suo pensiero) meritano attenzione e aprono un interessante dibattito. Come premessa va ricordato che la nostra inchiesta giornalistica non aveva per obiettivo la trattazione dell’articolato dibattito teologico sull’omosessualità ma il racconto delle esperienze pastorali messe in atto – in modo per lo più ufficioso – in diversi contesti della Chiesa italiana. Un racconto che non voleva offrire “soluzioni” ma dare conto di una “ricerca”.
La dottrina considera superata la visione patologizzante o «contro natura» sull’omosessualità ma nella prassi resta ancora molto da fare se, come hanno raccontato i protagonisti dell’inchiesta, ci sono persone omosessuali che si sentono dire che la loro condizione «non è gradita a Dio» e c’è chi caldeggia percorsi di «cura e guarigione».
Non è questione di “politicamente corretto”. Sappiamo bene cosa dice il Catechismo ma sappiamo anche che l’accoglienza nei confronti delle persone Lgbt+ e la negazione di una loro vita affettiva e sessuale possono apparire contraddittorie (o per lo meno così sono percepite da tanti credenti, in particolare quelli più giovani) e meriterebbero ulteriore ricerca teologica e pastorale che tenga conto anche delle acquisizioni delle scienze umane.
Per esempio: castità e continenza sono la stessa cosa? Effettivamente c’è dibattito sull’opportunità di una pastorale per le persone Lgbt+- in quanto tali. Per esempio, nella prefazione al recente volume di Luciano Moia Chiesa e omosessualità. Un’inchiesta alla luce del magistero di papa Francesco (Edizioni San Paolo 2020, pp. 208, euro 18), il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, sostiene che non vi sia bisogno di una pastorale specifica bensì «di uno specifico sguardo sulle persone; su ogni persona prima delle categorie».
È una posizione, autorevole, ma non tutti la pensano così. Il cardinale sostiene anche che: «Quella di Dio è una Volontà incarnata nella storia della persona, è la Sua volontà che compie la nostra. Non dobbiamo relativizzare la legge, ma renderla relativa alla persona concreta, con le sue specificità. La pienezza della volontà di Dio per una persona non è la stessa per altre».
La questione c’è e non si può eludere.
Antonio Rizzolo, direttore del mensile Jesus