La storia nascosta: la vita queer di Eleonore Behar durante l’olocausto nazista

Testo di Anna Hájková*, pubblicato sul sito web LSBTTIQ in Baden und Württemberg (Germania) il 27 gennaio 2017. Liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata.
Il 19 aprile 1945, nel ghetto di Theresienstadt (Repubblica Ceca), arrivò un trasporto di ebrei ungheresi provenienti dal campo di lavoro forzato di Immendorf, nella regione della Bassa Austria. Tra questi c’erano la ventitreenne Anna Lenji, originaria di Budapest, e suo marito Loránd.
I nuovi prigionieri furono sistemati nella caserma di Dresda. Qui, la salute di Anna fu controllata da un’infermiera, Eleonore Behar, una donna di Stoccarda. Behar e Lenji divennero presto amiche intime, ma Anna intuì che i sentimenti di Eleonore per lei avevano un significato diverso: Eleonore era lesbica.
Behar propose ai Lenji di trasferirsi con lei a Stoccarda dopo la guerra, ma Loránd, essendo sionista, desiderava andare in Palestina. Oggi, Anna Lenji, che vive a Haifa, ricorda ancora quell’amicizia con affetto: “Lotte – così la chiamavo – era fantastica. Mi sono innamorata… insomma, le volevo un gran bene.”
Eleonore Behar: una storia rara nella memoria queer dell’Olocausto
Perché dovremmo ricordare questa donna tra i 140.000 prigionieri di Theresienstadt (Repubblica Ceca)? Eleonore Behar è una delle pochissime persone queer di cui conosciamo il nome tra i detenuti del ghetto. È stata la prima donna identificata come tale, seguita solo successivamente da altre figure come Margot Heuman.
Nei ghetti e nei campi di concentramento, i desideri sessuali non conformi erano fortemente stigmatizzati, e coloro che si impegnavano in attività omosessuali venivano spesso cancellati dalla memoria collettiva o descritti come mostri perversi.
Nei campi di concentramento, caratterizzati da una rigida separazione di genere, le persone avevano come uniche opzioni la masturbazione o i rapporti con persone dello stesso sesso.
Tuttavia, molti di coloro che ebbero rapporti omosessuali non si identificavano come tali né prima né dopo la prigionia: la loro sessualità era spesso determinata dalle circostanze. Questi prigionieri non possono essere definiti “omosessuali” nel senso moderno del termine, ma sono indubbiamente parte della storia queer.
Theresienstadt (Repubblica Ceca), dove uomini e donne erano detenuti insieme, offriva un contesto diverso rispetto ai campi monogenere. Alcuni prigionieri, come il sionista Fredy Hirsch, il giornalista danese Ralph Oppenhejm o l’imitatore berlinese Harry “Hambo” Heymann, rimasero legati al proprio orientamento queer anche dopo la guerra.
L’omofobia nei campi e nella memoria collettiva
Ulrike Janz, Cathy Gelbin e altre studiose hanno evidenziato come l’omofobia nei campi fosse un fenomeno specifico e non semplicemente un’estensione di quella tra le due guerre o dell’ideologia nazista.
Nei campi, i comportamenti sessuali e di genere erano rigidamente sorvegliati e spesso puniti, specialmente per le donne coinvolte in scambi sessuali. Questa stigmatizzazione ha avuto conseguenze profonde sulla memoria: le vittime queer dell’Olocausto non hanno avuto la possibilità di testimoniare le proprie esperienze.
Gayatri Spivak ha definito questa esclusione “violenza epistemica”: il silenzio forzato equivale a negare l’esistenza stessa di queste persone, privandole di dignità e umanità. Le donne lesbiche, in particolare, sono state doppiamente invisibilizzate: come donne e come persone queer.
La storia di Eleonore Behar
Eleonore Behar nacque il 9 maggio 1922 a Stoccarda. Suo padre, Abraham Behar, era un commerciante ebreo di origine turca; sua madre, Anna Oberthan, non era ebrea. Eleonore aveva una sorella maggiore, Victoria, che emigrò in Cile prima della guerra.
Abraham fu arrestato durante la Notte dei Cristalli e deportato a Dachau, dove morì nel 1944. Eleonore, protetta inizialmente dal suo status di “Geltungsjüdin”,** (ebrea considerata tale per la legge nazista), fu deportata a Theresienstadt (Repubblica Ceca) nel febbraio 1945.
Nel ghetto, Eleonore lavorò prima come spaccatrice di mica e poi come infermiera. Il 9 maggio 1945, giorno del suo 23° compleanno, Theresienstadt (Repubblica Ceca) fu liberata dall’Armata Rossa. Dopo la guerra, Eleonore e sua madre emigrarono in Cile, dove vissero con Victoria. Eleonore morì a Santiago nel 2011, in totale anonimato.
Ricostruire la memoria queer
Grazie alla genealogia digitale, sono riuscita a rintracciare fotografie, documenti e familiari di Eleonore. Tra questi, suo pronipote Tomas, che mi ha aiutata a ricostruire dettagli della sua vita. Sebbene la sua famiglia non sapesse della sua omosessualità, Eleonore è rimasta viva nei ricordi come una donna forte e generosa.
Non abbiamo una testimonianza diretta di Eleonore Behar, ma grazie alla ricerca possiamo restituirle un posto nella storia. Come storica dell’Olocausto e delle esperienze queer, considero questo il massimo riconoscimento possibile.
* Anna Hájková è professore associato di Storia Europea Moderna presso l’Università di Warwick (Regno Unito)
** I Geltungsjuden erano persone considerate ebree secondo le leggi razziali naziste, in base all’origine etnica dei genitori e dei nonni, anche se non praticavano l’ebraismo. Includevano individui con almeno due nonni ebrei o sposati con ebrei. Erano soggetti a discriminazioni e persecuzioni, ma alcuni inizialmente beneficiarono di una temporanea protezione, ad esempio in caso di matrimonio misto.
Testo originale: Das verborgene Leben der Eleonore Behar
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