La strana forma delle verità dello Spirito
Riflessioni del pastore Alessandro Falasca* pubblicate sul sito della Comunione Unitariana Italiana il 18 novembre 2018
Sorelle e fratelli carissimi, due citazioni mi sono balzate agli occhi in questi ultimi giorni. La prima è di Ferenc Dávid, ci cui proprio in questi giorni festeggiamo il memoriale: “Non c’è più grande insensatezza ed assurdità che forzare la coscienza e lo spirito con poteri esterni, quando solo il Creatore ha autorità su di essi”. L’altra, invece, è di Rumi: “La ferità è il luogo in cui la luce entra in te”. Insomma, citazioni da due importanti riferimenti per la nostra congregazione, su due temi piuttosto diversi: da un lato l’indipendenza della coscienza, dall’altro la sofferenza come doloroso momento di crescita. Ma non è di questi due temi in sé che vorrei parlarvi. Perché a volte il flusso di coscienza dei nostri pensieri ci fa degli scherzi, ed in questo caso ha voluto disturbarmi con l’inciampo di un dubbio: e se queste due belle proposizioni di due saggi maestri del passato fossero sbagliate? (In realtà il mio flusso di coscienza era stato molto meno educato nel pormi questo quesito, ricorrendo ad una citazione del sanguigno Rino Gattuso, che qui non ripeterò.) Perché, dài, dalle nostre ferite interiori non entra spesso la luce, ma anzi, ben più di frequente, il buio dell’astio e del rancore. Le sofferenze spesso minano la stima che nutriamo verso noi stessi e la fiducia che riponiamo negli altri e ci rendono gretti, chiusi ed intolleranti. Per non parlare dell’autonomia della coscienza! Quanto spesso abbiamo avuto l’impressione, ancor più negli ultimi anni, che la coscienza, priva della guida della morale e della conoscenza, dell’educazione e della cultura, facesse delle pessime scelte, cedendo agli umori della pancia o lasciandosi irretire dalle illusioni? Di fronte a queste evidenze dovremmo concluderne che Dávid e Rumi si sbagliavano entrambi, e che due dei nostri più stimati riferimenti erano o degli illusi, o dei millantatori.
E invece no! Quelle che essi pronunciano sono parole di profezia, non semplici descrizioni della realtà. Quelle che essi proclamano sono sì verità, ma verità dello Spirito. E una verità dello Spirito ha una forma ben diversa dalle verità della materia: queste ultime attengono a ciò che accade, mentre le verità dello Spirito attengono a ciò che DEVE ACCADERE, perché inscritto nel Senso Profondo di ogni cosa. Il sostrato fattuale delle verità dello Spirito è nella natura dell’Universo, da cui esse non ne derivano mere descrizioni, ma propositi che guidino l’animo umano. Esse non trovano il loro processo di validazione nelle conferme o nelle confutazioni degli accadimenti esteriori, ma piuttosto negli eventi intimi della coscienza. Di conseguenza, ciò a cui esse guardano non è l’essere umano per quello che è, ma per quello che non è ancora, che però dentro sente di dover essere, in accordo alla sua più intima natura. Non si tratta, dunque, di verità auto-evidenti, ma che si svelano progressivamente attraverso le esperienze interiori.
Ecco che, dunque, sul piano fattuale esteriore possono convivere in contraddizione le verità di una sofferenza che ci introduce alla luce, come di una sofferenza che ci precipita nel buio. Ma nella prospettiva dello Spirito, la sola verità è nella luce, perché è nella luce che lo Spirito ci chiama ad essere, ed in essa ci fa rileggere e trovare un senso alle nostre esperienze, anche le più negative. Allo stesso modo, sul piano degli eventi esteriori la coscienza libera può tanto esaltare le capacità dell’individuo, quanto mostrarne l’ottusa dabbenaggine. Ma dalla prospettiva dello Spirito, la coscienza è pienamente libera solo se si lascia illuminare dallo Spirito, dalla sua consapevolezza dei legami in cui siamo immersi o che siamo chiamati a costruire, come dalla sua chiarezza sulle prospettive e le speranze dell’essere umano.
Rispetto a questo tipo bizzarro di verità, che si spinge oltre i fatti ma che pur si radica nella concretezza delle esperienze e delle esigenze più profonde, noi siamo chiamati ad essere come il girasole, che si volge all’astro da cui riceve il nutrimento ed il nome. Dobbiamo volerci girare; dobbiamo volerci aprire ad esperienze che ci mettono in discussione; dobbiamo permettere alle nostre ferite di insegnarci i nostri errori, piuttosto che suturarle frettolosamente con le piastrine delle nostre scuse; dobbiamo permettere alla confusione della nostra ignoranza di insegnarci i nostri limiti e l’umiltà per superarli, piuttosto che gloriarci delle nostre granitiche convinzioni.
Finché resteremo girati dalla parte sbagliata continueremo a pensare che le verità dello Spirito altro non sono che fantasie, buone giusto per qualche pastore UU della domenica, e così ci negheremo a noi stessi, a quello che non siamo ancora, ma che è anche quello che siamo davvero.
Nella Via verso l’Uno,
Alessandro
* Laureato in Economia, ma da sempre interessato a filosofia e spiritualità, Alessandro Falasca è UU dal 2008 ed ha partecipato attivamente alla formazione della Comunione Unitariana Italiana. Particolarmente legato al trascendentalismo unitariano e all’universalismo emergente, la sua ricerca spirituale è ispirata al Taoismo e al Cristianesimo, ritrovando nella “teologia del processo” la base ideale per una loro sintesi. Negli ultimi tempi si è avvicinato all’I Kuan Tao, tradizione sincretica cinese.