La “traditio” tradita cede al padrino gay
Riflessioni di Massimo Battaglio
La prima volta che mi imbattei in una messa “secundum traditionem” fu qualche anno fa in una cittadina emiliana. Mi trovavo lì con due amici; stavamo visitando una bella chiesa; era domenica, si avvicinavano le undici e decidemmo di fermarci a messa. Una di quelle messe in stile “vetus ordo” che tanto piacciono alla Congregazione per il Culto Divino.
Ora: il termine latino “traditio” e il nostro “tradizione” vogliono dire cose diverse: il primo è il tramandare, il secondo è il deposito degli usi antichi. Ma lasciamo correre e concentriamoci su quella domenica.
Che splendore! Figuranti mantellati e con bastoni dalla testa dorata precedevano la processione dei ministranti dai paramenti stravaganti, i quali a loro volta anticipavano il celebrante auricalcato, seguito da ulteriori personaggi in costume. Il tutto accompagnato da squilli d’organo invero un po’ sovradimenzionati. C’era proprio un’atmosfera di fede autentica, quella di una volta, che mi fece domandare se, nelle feste grosse, al posto dell’incenso usassero i petardi o buttassero direttamente giù la chiesa per ricostruirla ancora più autentica.
Tra il pubblico c’eravamo noi, più una dozzina di signore impellicciate e due ragazze che avevano avuto la nostra stessa idea.
In realtà non era il mio primo incontro con l’ala cattolica conservatrice. Ho rapporti dialettici abbastanza frequenti con preti “vecchia maniera” e coi loro gruppi di supporto, che ho spesso affrontato soprattutto sui temi fede/omosessualità. A volte mi chiedo se me le vado cercando. Quella domenica mattina però, ebbi il piacere di confrontarmi con la rappresentazione plastica della loro idea di Chiesa: una chiesa vuota ma molto attenta alla “tradizione”, ai valori non negoziabili e alle relative decorazioni.
Un’ esperienza più significativa fu quest’estate, quando ebbi il privilegio di far da padrino di un ragazzo che abita in una diocesi vicina alla mia. Questa è da raccontare.
Un giovane amico, per un suo percorso personale di riflessione ed esperienze di volontariato, aveva deciso di aderire anche formalmente al Vangelo. Scelse me come persona che lo avrebbe accompagnato al battesimo e alla cresima. Gli feci notare che, secondo i codicilli del diritto canonico, non avevo tutte le carte in regola per accettare il suo stupendo regalo. Replicò che quello era esattamente il motivo per cui si rivolgeva a me. Lo aveva colpito – mi disse – il mio modo di vivere una “fede adulta”. Lo abbracciai.
Così ci trovammo un sabato pomeriggio in una cascina in mezzo alle colline, sede di una comunità di accoglienza. C’era un’umanità varia: ospiti, volontari, pollo al curry che cuoceva sui fornelli, e un prete mio coetaneo che, con semplicità disarmante, celebrò il sacramento. Ciascuno dei presenti pregò a modo suo per augurare buona vita al mio amico, ora nuovo cristiano. Io gli regalai la Bibbia e un piccolo crocino che gli posi al collo. Fu bellissimo.
Ora c’era da passare alla cresima e lì era più complicato. Il vescovo locale era proprio uno di quelli con cui avevo litigato secco, in un passato abbastanza recente. Per diverse settimane, sul giornale diocesano, aveva ospitato articoli deliranti sul fantasma del gender e menzogne correlate. Chiamato in causa, si era esibito in uno di quei “chiedo scusa ma…” ridacchianti, tipici di chi vuol ribadire di avere il coltello dalla parte del manico.
Non importa. Ci presentammo alla chiesa del paesino, il mio amico cresimando col mio braccio gay sulla spalla e, dall’altra parte, il prete in gamba di cui sopra e il vescovo. C’eravamo noi, alcuni parenti e amici, la cantoria, qualche ragazzo della predetta comunità e addirittura tre o quattro altri fedeli. Era la messa di apertura di una Visita Pastorale; sinceramente avevo temuto le folle. E invece, senza la nostra presenza “fuori dai canoni”, sarebbe stata un deserto.
Ho raccontato questa esperienza, la più bella della mia estate, per chiarire quale sia il mio parere sul concetto di tradizione: un apparato che, così com’è, svuota la Chiesa e le chiese sostituendo lo Spirito col nulla. La “traditio”, cari vescovi non negozianti, ha bisogno di testimoni; se no diventa come i vostri vecchi guanti ricamati che nessun altro porta più. Per tramandare un valore, occorrono tre cose: che il valore abbia veramente valore; che qualcuno lo passi con gioia da una mano all’altra; che qualcun altro sia disposto a riceverlo con la stessa gioia nella propria mano. In mancanza degli ultimi due elementi, il valore resterà nei vostri bauli e la “traditio”, cioè il passaggio, non avverrà proprio.
Il che è molto grave. Perché, seppure i venticinque fedeli rimastivi sono molto “a norma”, fuori è pieno di persone che fedeli non sono più, nè secondo le vostre norme, nè secondo altre. E la colpa non è loro.
“Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l’avete impedito” (Lc 11,52)