L’amore al tuo fianco. Tra sacrificio e speranza
Riflessioni di Carlos Osma* pubblicate sul blog Homoprotestantes (Spagna) il 7 luglio 2015, liberamente tradotte da Marco Galvagno
Quando i primi raggi di sole ruppero l’oscurità nella quale viveva iniziò a camminare per soddisfare la volontà di Dio. Era deciso a concedere tutto e a terminare con ciò che voleva maggiormente, ciò che lo rendeva felice. Dio stesso glielo chiedeva e anche se avrebbe potuto dire no, non ebbe il coraggio di farlo. Chi poteva affrontare un Dio che vuole tutto? Chi può fuggire da un Dio assetato di sangue.
Aveva ricevuto un ordine, più che una richiesta e si sentì incapace di fuggire in un altro mondo in cui la divinità rispettasse l’amore che sentiva. Per questo non ci fu fede nella sua decisione, non ci fu una volontà libera che scelse di fidarsi. Si alzò e iniziò il cammino, però rassegnato e intimorito.
Mentre camminava a testa bassa con due servi e un asino carico di speranze infrante, si ricordò il giorno in cui Dio lo aveva invitato a guardare il cielo per raccontare i suoi sogni. Il giorno in cui lo aveva chiamato, perché lasciasse indietro ciò che si aspettava da lui e si dirigesse verso l’impossibile.
Si chiedeva dove aveva perso quel Dio che non voleva sangue, ne sacrifici umani, né dolore, quel Dio che lo chiamava solo ad aver fiducia, a credere, ad aver fede e a camminare verso la terra promessa. Se chiudeva gli occhi e cercava di evadere da ciò che stava vivendo in quel momento ancora risuonavano le parole.
“Benedirò quelli che ti benediranno, maledirò quelli che ti malediranno e saranno benedette in tutte le famiglie della terra”.
Quando il suo desiderio, la sua speranza, la sua vita gli chiese cosa voleva offrire a Dio, alzò la testa e lo guardò negli occhi. E in quello sguardo si vide sconfitto, sottomesso, umiliato, così non seppe che cosa rispondergli e gli mentì: “Dio fornirà l’agnello in olocausto” .
Sapeva che stava per rinunciare all’irrinunciabile, per commettere un atto contro natura, di rinunciare all’amore che sentiva per non disubbidire al comandamento divino. Che dolore profondo seguire un Dio così, però per caso ce n ‘era un altro? Da tanto tempo non camminava verso la terra promessa e si era adattato a vivere sotto la legge del sacrificio. Non voleva pensare, né lasciarsi prendere dalla compassione, dall’amore così mentre si faceva buio, senza titubanze, alzò l’altare del sacrificio e ci mise sopra la legna.
Si guardò attorno e scoprì milioni di altari in più di quelli che ergevano i seguaci del Dio legalista che si oppone alla vita. Poi salì sul proprio, si mise lì, perché quando uno mette i suoi sogni, la sua vita e il suo desiderio d’amore in cima all’altare del sacrificio, sta mettendo tutto a disposizione del coltello che lo abbatterà per sempre. E alzò il braccio distruttore per finirla con se stesso, per strapparsi il cuore che il suo Dio anelava. Però fu il Dio della sua gioventù, il Dio dei suoi sogni e della speranza che gli afferrò il braccio, perché non compisse la promessa.
Notò perfettamente la forza che gli chiedeva la fine del sacrificio e la voce soave che tornava a chiamarlo alla fede e a proseguire la vita. E discese dall’altare, quello non era il suo posto, lo vedeva chiaro adesso. Non era stato scelto per immolarsi in nome di un Dio giustiziere e davvero assetato di sangue, ma per camminare, per cadere e tornarsi a rialzare, per stancarsi e quasi disperare, però con la fiducia e la fede nel Dio dell’improbabile, del diverso, dell’impossibile, della debolezza, di quelli che si mettono al di fuori della legge, di quelli che non fanno ciò che vuole Dio.
Non c’è fede divina nell’essere umano che possa liberarlo completamente dalle convinzioni più profonde e spesso più ingiuste e crudeli nelle quali è stato educato. Non c’è vera fede o se c’è è una fede umana e imperfetta. Per questo non ha tardato a chiedersi cosa doveva sacrificare se non era la sua stessa vita, chi doveva essere la vittima?
Allora cercò un’altra vita che avesse meno valore della propria da consegnare al Dio del sacrificio. E lo fece in fretta senza pensare, senza provare rimorso, ma nemmeno perdono né soddisfazione. Lo fece perché era ciò che andava fatto, le vite che valgono meno della propria sono il sacrificio perfetto per coloro che credono che sia necessario pagare per la salvezza e la liberazione divina. Coloro che non vivono della grazia si nutrono della legge.
E al risveglio senza dolore per il sangue versato sull’altare del sacrificio, discese dalla montagna diretto alla sua casa, al suo focolare. Portava l ‘amore al suo fianco, sull’asino che tirava a testa alta guardando le ultime stelle che ancora si scorgevano nel cielo. E le contava e guardava la promessa e tornava a sentirsi felice con una fede indistruttibile.
Non sapeva ancora che la fede va distrutta ogni giorno per poi ricostruirla in forma più umana, non sapeva nemmeno che la fede a volte si perde e poi la si ritrova in modo totalmente nuovo. Era ancora molto presto per capire che la fede può morire e resuscitare al terzo giorno.
Però ora tutto questo non importava più, aveva l’amore al proprio fianco, poteva toccarlo, abbracciarlo, baciarlo. E quando hai l’amore al tuo fianco, la fede è indistruttibile e la speranza è capace di aprirsi all’impossibile.
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* Carlos Osma vive a Barcellona (Spagna) e fa parte della Comunidad Protestants Inclusius (Comunità protestante Inclusius). Si è laureato in Matematica, Diplomato in Scienze e ha studiato il dialogo ecumenico interreligioso e culturale. Alcuni dei suoi articoli sono stati pubblicati in riviste come Lupa Protestante, Cristianos Gays o Cristianismo Protestante. E’ sposato con un uomo e ha due figlie.
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Testo originale: Entre el sacrificio y la esperanza