Le cose cambiano. La confessione che mi fece scoprire amato da Dio
Testimonianza di Filippo, del Gruppo Kairos di Firenze per lo speciale “le cose cambiano” pubblicata sul sito di Riforma, settimanale delle chiese evangeliche battiste, metodiste, valdesi, il 26 novembre 2013
Il cortile antistante la basilica della santa casa di Loreto aveva assunto un aspetto insolito, brulicante com’era di divise grigie e blu; in occasione del giubileo del 2000, l’annuale assemblea del movimento aveva radunato da tutta Italia le comunità degli adulti scout proprio in uno dei santuari mariani più cari alla tradizione.
Come magister della mia comunità non mi ero potuto sottrarre ad un impegno che in quel particolare momento della mia vita mi sembrava così gravoso.
In attesa di partecipare alla celebrazione eucaristica domenicale che avrebbe concluso la tre giorni di incontri, discussioni e dibattiti, passeggiavo con la mente assorta in mille pensieri.
Nella tasca del marsupio il telefonino che mio padre aveva insistito portassi con me e tenessi il più possibile acceso.
Conoscevo bene il motivo di quella insolita imposizione così poco coerente con lo spirito scoutistico. I medici non avevano lasciato spazio alla speranza; quelle erano le ultime settimane di vita di mia madre. I fratelli della mia comunità non mi avevano mai lasciato solo nel timore che da un istante all’altro il telefono potesse squillare.
Questo pensiero me lo ero portato dietro per tutta l’assemblea, nonostante gli intensi momenti di raccoglimento e le allegre compagnie serali davanti al fuoco di bivacco. Ma c’era di più; quell’altro peso che mi opprimeva e che mi era diventato impossibile da sopportare. In quel luogo di fede l’insanabile contraddizione tra il mio orientamento sessuale e il mio amore verso Dio e la Chiesa sembrava assumere una dimensione non più conciliabile.
Sotto il portico della basilica alcuni sacerdoti erano a disposizione per le confessioni; ci sono arrivato senza neanche rendermene conto. È il mio turno; mi siedo sulla panca di marmo accanto ad un giovane prete di cui non ricordo nemmeno il viso. Forse perché non lo guardo negli occhi. Con la testa abbassata comincio ad aprirgli il mio cuore.
Gli parlo del mio “problema”, della sofferenza che mi procura l’apparentemente insanabile contrasto tra il desiderio di vivere pienamente la mia affettività e la volontà di restare saldo nella fede.
Gli confesso persino il timore, questa sì una vera bestemmia, che le preghiere per mia madre siano inascoltate a causa della mia condizione. A questo punto il giovane sacerdote mi interrompe quasi bruscamente pronunciando parole che allora mai avrei creduto di sentire.
Dopo avermi confortato mi dice che Dio non fa distinzioni tra i suoi figli e che anche un amore tra due persone dello stesso sesso, se animato da spirito sincero, può essere a Lui gradito. Mi alzo più rasserenato.
Il telefono non squilla per tutto il resto della domenica. Faccio in tempo a tornare a casa e a trascorrere gli ultimi giorni accanto a mia madre. Poi ancora una lunga traversata in un deserto di dubbi e di incertezze; le parole di quel sacerdote avevano acceso in me una speranza che ci ha messo altri dieci anni prima di diventare concreta certezza nell’incontro con gli amici di Kairos (ndr il gruppo di cristiani di Firenze).
Chissà dove sarà oggi quel giovane sacerdote; mi piace pensarlo impegnato in una di quelle periferie del mondo dove c’è veramente bisogno di pastori come lui. Vorrei tanto sapesse che il seme che ha piantato in me quel giorno faticosamente sta dando i suoi frutti.