Le cose cambiano. Scoprirsi gay e cattolico senza nascondersi
Testimonianza di Emanuele Macca per lo speciale “le cose cambiano” pubblicata sul sito di Riforma, settimanale delle chiese evangeliche battiste, metodiste, valdesi, il 26 novembre 2013
Sono Emanuele, 37 anni, vivo a Pavia e sono – tra le altre cose – un omosessuale cristiano. Le classificazioni hanno un valore relativo perché prima di tutto ci sono “io nella complessità della mia storia”; indubbiamente però l’omosessualità è uno degli aspetti che più mi ha influenzato nella lenta e costante sofferenza di adolescente e di giovane.
Le “difficoltà” che essa procura sono individuabili nella sfera più intima di una persona a partire dalla relazione con i propri creatori sin dalla più tenera infanzia.
La prima ferita nasce dall’introiettare la paura di non corrispondere alle aspettative basilari dei genitori, a cui susseguono i timori in ambito scolastico e lavorativo; in età adulta si corre il pericolo di non vedere socialmente considerate le proprie relazioni affettive, tanto da essere esortati a non dare alcuna visibilità a questo aspetto della propria vita.
Si vive insomma con la paura di essere allontanati in qualsiasi forma qualora ci si confidi e si renda visibile questo aspetto di sé. Il rischio di convivere tanto a lungo con questa paura (che magari nel vissuto vede delle conferme esperienziali) è quello di anestetizzare la volontà e la capacità di costruire legami trasparenti e profondi per prevenire delusioni già fatte proprie nell’intimo.
Nella mia vita, quando questa situazione si stava somatizzando in modo ingestibile, ho capito che dovevo fare qualcosa e che era mia precisa responsabilità cercare una soluzione per uscire dal tunnel.
Tutti i passaggi che da allora ho compiuto nascondevano sempre il desiderio di presentarmi nella mia identità completa, senza dover celare nulla e stringere le mani dei miei genitori, dei miei colleghi di lavoro, dei parrocchiani, di quegli amici che si sentono a loro agio a parlare con me di omosessualità ma che non hanno mai voluto mettere piede in un contesto diverso da quello a loro abituale, e del mio vescovo e del papa.
Senza ricerca non si trova. Ho cercato con caparbietà e la Provvidenza mi ha aiutato a trovare esperienze di vita che mi permettono di non sentirmi solo anche nell’ambito delle comunità cattoliche.
Non vivo più con la pretesa che tutti siano in piena sintonia con me, neppure le gerarchie, ma con la volontà che ci si preoccupi gli uni degli altri – senza imporsi e senza soffocarsi – qualsiasi ruolo si copra nella nostra società (operaio, impiegato, medico o vescovo). Questo che mi ha permesso di sentirmi “unito con altre persone” cioè in una vera e propria “com-unità”.