“Le Iene” al Giubileo. Quando la fede arcobaleno attraversa la Porta Santa

Domenica 15 ottobre 2025 accendo la televisione pensando di vedere il solito servizio de Le Iene sulle truffe o sugli influencer, e invece no. Ma questa volta la redazione di Italia 1 spiazza tutti e ci porta dritti a Roma, dentro il primo pellegrinaggio giubilare dei cristiani LGBTQIA+ (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali), che sabato 6 settembre hanno attraversato la Porta Santa della Basilica di San Pietro per dire, a voce alta e col cuore in mano: “Siamo parte della Chiesa, anche noi!”.
La voce della giornalista Nina Palmieri introduce la scena come in un film di supereroi del cuore: “Si può essere cattolici e omosessuali, credenti e trans, non binari e devoti?”. E già lì capisci che la puntata promette bene. Perché, di solito, la risposta è un timido “dipende da chi chiedi”.
Poi arrivano loro, i protagonisti veri: Daniela ed Elisa, Paolo e Domenico, Andrea e suo marito con i loro tre figli, Tiziano, Gianni, Alessia, mamma Mara e papà Agostino. Tutti diversi, ma uniti da una fede testarda, di quelle che non si lasciano spegnere nemmeno da un’omelia storta. Persone che non protestano: testimoniano. E lo fanno con i sorrisi, le lacrime e quella frase che ti spiazza e ti rimane addosso: “Non vogliamo cambiare la Chiesa cattolica, vogliamo restarci dentro.”
C’è chi è stato messo alla porta dal seminario perché omosessuale e chi ha scoperto l’amore di Dio proprio innamorandosi di una persona dello stesso sesso. E qui il servizio delle Iene sorprende davvero, perché lascia parlare i protagonisti, senza tagli ironici, senza ammiccamenti, senza risatine di fondo. Finalmente la televisione racconta la fede senza Photoshop.
Così vediamo Paolo, ex seminarista, che dopo aver attraversato il deserto ti spacca il cuore e te lo ricuce in un colpo solo dicendo: “Dio mi voleva felice, e mi ha fatto incontrare Domenico”. E lì ti viene spontaneo pensare che, alla fine, Dio fa le cose a modo suo: spesso non lo trovi nei corridoi del seminario, ma in un abbraccio che profuma di casa.
Poi arriva Elisa, che con la voce tranquilla di chi ha fatto pace con se stessa racconta: “L’amore per Daniela mi è arrivato addosso come una rivelazione, e ho capito che l’amore vero non può contraddire Dio.” E ti chiedi se forse il Vangelo non inizi proprio così: con qualcuno che scopre che l’amore non è un errore, ma un sacramento quotidiano, anche se non c’è scritto nel messale.
E infine c’è Alessia, donna trans, che racconta il giorno in cui Papa Francesco l’ha accolta durante un’udienza del mercoledì e le ha detto: “Mostrati per quella che sei.” E lì, davanti alla televisione, pensi: ecco, questo è Vangelo, non teoria. È la Parola che si fa carne, che guarda negli occhi e accoglie.
Il momento più tenero arriva con mamma Mara e papà Agostino. Due credenti “molto praticanti” che, davanti al coming out del figlio, hanno reagito con la frase peggiore del mondo: “Ti guariremo.” Ma poi hanno capito, hanno chiesto scusa, e oggi sono lì, davanti alla Porta Santa, con un sorriso che vale più di cento catechismi. “Dio non guarisce dall’amore,” dicono, “ci guarisce solo dall’odio.”
Certo, non mancano i momenti surreali, quelli in cui ti verrebbe da ridere per non piangere. Come quando Nina legge il Catechismo della Chiesa cattolica, che recita: “Devono essere accolti con rispetto, compassione e delicatezza… ma gli atti omosessuali sono peccato.” E a quel punto ti scappa la battuta: deciditi, Santa Madre Chiesa — o li abbracci, o li spingi via!”.
E poi arriva il cameo del cardinale Gerhard Ludwig Müller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (quella che un tempo si chiamava Santa Inquisizione), che dal suo ufficio sembra uscito da un film di Fantozzi versione teologica che, con voce solenne e accento tedesco dichiara: “Gli atti omosessuali sono un peccato mortale”. Ma i protagonisti del servizio rispondono con le loro vite, semplicemente, con la calma di chi ha fatto pace con Dio: “Noi siamo a casa.” Fine del dibattito.
Il servizio si chiude con un gesto simbolico che vale più di mille prediche: Nina Palmieri consegna ad alcuni sacerdoti una chiavetta USB con tutte le storie raccolte durante il pellegrinaggio. Come dire: “Adesso tocca a voi. Ascoltate, non giudicate.”
E mentre scorrono i titoli di coda, pensi che, per una volta, la televisione italiana ha fatto davvero servizio pubblico nel senso più vero: ha raccontato la vita, la fede e l’amore di chi la Chiesa spesso non vede, ma Dio sì. E tu, spettatore con il telecomando in mano e un nodo in gola, pensi che magari, se il cristianesimo tornasse a essere questo — carne, voce e libertà — forse la Chiesa cattolica non avrebbe più paura dei colori dell’arcobaleno.
Per vedere il servizio “essere gay e cattolici”

