Le qualità cristiane non dipendono dal genere
Editoriale pubblicato sul sito del settimanale cattolico The tablet (Inghilterra) il 29 gennaio 2015, traduzione di finesettimana.org
Con la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani appena trascorsa, è opportuno rallegrarsi del fatto che le relazioni tra le due maggiori denominazioni in Gran Bretagna non sono mai state migliori, caratterizzate ai vertici dalla sincera amicizia tra papa Francesco e l’arcivescovo di Canterbury. Non è da meno la qualità delle relazioni tra i vescovi diocesani delle due Chiese. Si conoscono e lavorano insieme per cause comuni. Questa buona volontà ecumenica è troppo preziosa per essere messa a rischio da una differenza dottrinale riguardante l’ordinazione di donne.
Perciò l’assenza di qualsiasi rappresentante cattolico alla consacrazione, avvenuta questa settimana, della prima donna vescovo nella Chiesa d’Inghilterra non deve diventare un’abitudine. Prima di quanto probabilmente si aspettino, molti vescovi cattolici scopriranno che il loro corrispettivo collega anglicano è una delle valenti donne anglicane la cui promozione è stata ritardata a causa di disaccordi interni nella loro Chiesa. Ci sono state donne vescovo altrove nella Comunione Anglicana per un certo periodo di tempo, perfino nella Commissione internazionale anglicano-romano-cattolica.
Tuttavia il progresso del clero femminile nella scala della carriera anglicana non dovrebbe nascondere il fatto che, come la Chiesa cattolica, anche l’anglicanesimo continua ad avere un “problema donna”.
In entrambe le Chiese, c’è una tendenza a considerare, in base a stereotipi, le donne come più adatte a determinati ruoli piuttosto che ad altri, e quei ruoli spesso sono meno prestigiosi. Ci sono resistenze in alcuni ambienti cattolici, ad esempio, a permettere alle ragazze di essere chierichette, in quanto questa possibilità viene vista come un’usurpazione di un tradizionale ruolo maschile. Non sorprende che ci sia una carenza di donne in ruoli leader nella Chiesa.
In generale, è più facile che siano le donne ad andare in chiesa la domenica. I ragazzi maschi se ne accorgono presto. Una recente indagine ha mostrato che gli uomini tendono più delle donne a non avere una fede religiosa. Quindi questo è uno stereotipo sessista che si autoperpetua.
Così le Chiese soffrono di questi stereotipi di genere, ma possono anche promuoverli, spesso basandosi sul concetto di “complementarietà”, dicendo cioè che i generi sono uguali ma differenti, in quanto donne e uomini offrono ognuno ciò che manca all’altro. Così il documento preliminare per la conferenza che viene organizzata dal Pontificio Consiglio per la Cultura in Vaticano la settimana prossima su “culture femminili” sostiene che “c’è una prospettiva femminile sul mondo e su ciò che ci circonda, sulla vita e sull’esperienza”. Sostiene che ciò si riscontra in tutte le culture e in tutte le società – nella famiglia e nel lavoro, nella politica e nell’economia, nell’arte e nello sport, e perfino – ignorando qualsiasi evidenza del contrario – nella moda e nella cucina.
Questo promuove la supposizione basata sullo stereotipo che alcuni attributi umani siano per natura maschili e altri per natura femminili.
Ciò rafforza il condizionamento che sia qualcosa di deviante ed effeminato che un maschio mostri qualità che dalla cultura sono etichettate come appartenenti soprattutto alle donne, e viceversa. Per ironia, molte di queste qualità che vengono ritenute femminili – intuizione empatica, gentilezza, compassione, attenzione materna – non sono specifiche di un genere, ma di tutti i cristiani. Il cristianesimo può essere il peggior nemico di se stesso.