Le risposte alle domande del Sinodo dei cristiani omosessuali de La Fonte
Le risposte alle domande del sinodo ordinario sulla famiglia 2015 de La Fonte, gruppo di cristiani omosessuali di Milano
Diversi maestri del pensiero e della fede ci hanno insegnato come le parole che noi scegliamo e utilizziamo per comunicare gli uni con gli altri sono in qualche modo la nostra casa perché attraverso di esse veniamo introdotti gli uni agli altri ma anche separati e conosciuti nelle reciproche individualità. La sensazione però che abbiamo avuto è che le parole scelte e utilizzate per formulare le domande alle quali stiamo tentando di dare una risposta o un umile contributo, tendano più ad escludere che ad includere, più a stereotipare che a conoscere la realtà della quale si presume di voler parlare. Parole che sembrano non desiderare di accogliere e di conoscere per capire, come più volte auspicato da Papa Francesco.Siamo consapevoli, come ci insegnate in qualità di padri nella fede, di come lo Spirito abbia stabilito diversi incarichi e talenti e che a Voi, e a Voi soltanto, spetti il dovere del discernimento per il bene della Chiesa. Siamo anche però consapevoli che lo stesso Spirito, che abita anche il nostro cuore, è libero dagli schemi e, pur nel rispetto dei ruoli assegnati, parla al suo popolo nei modi in cui Egli ritiene più opportuno. Inoltre il Sinodo, che come ci ha ricordato Papa Francesco, è un “camminare insieme”, è anche per noi credenti omosessuali un momento della fede, che non può lasciarci indifferenti, né darci la sensazione di esserne esclusi. In quest’ottica di obbedienza alla fede, nello Spirito santo, e nei confronti delle persone, che Egli ha designato a rappresentarLo, abbiamo deciso, poiché né sentiamo l’intimo invito, il dovere profondo, nonché il desiderio, di scrivere questo contributo e di farlo quale narrazione di noi, delle nostre vite, del nostro incontro vero e vivificante con Cristo.
“ Se uno vedesse da lontano la patria e ci fosse di mezzo il mare, egli vedrebbe dove arrivare, ma non avrebbe come arrivarvi. Così è di noi… Scorgiamo la meta da raggiungere, tuttavia c’è di mezzo il mare di questo secolo… Ora, affinché avessimo anche il mezzo per andare, è venuto di là colui al quale noi volevamo andare… e ci ha procurato il legno con cui attraversare il mare. Nessuno, infatti, può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo… Non abbandonare dunque la croce, e la croce ti porterà.” (Sant’Agostino)
“In ogni relazione, quelle armoniose e gioiose, come anche quelle misteriose nell’elemento del dolore e del sacrificio, Dio mi tocca come vergine, come consacrata che è solo per Lui, senza escludermi da fratelli e sorelle, in ricerca, in cammino come mi sento io”. (Marina, vergine consacrata diocesana”)
“Un giorno ci accorgemmo di essere soli io e Ale. Non solo non avevamo grandi amici ma avevamo cominciato a intuire una sorta di ostilità infantilizzante anche da parte dei reciproci genitori e parenti. Uscii di casa come sempre per andare al lavoro ma quella mattina piansi perché temevo che Ale potesse andarsene. Mi sembrava che la luce del sole si fosse affievolita e che una nebbia avesse improvvisamente avvolto tutto di me. Piansi copiosamente. Da solo. Mi dissi “…ma dove sei finito Signore?””. (William, gruppo La Fonte di Milano)
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Come la comunità cristiana rivolge la sua attenzione pastorale alle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale?
Premessa. Nel presente momento storico è difficile parlare di accoglienza; spesso le famiglie con un figlio omosessuale si sentono “culturalmente e umanamente” ferite, perché questo figlio sembra tradire ogni loro aspettativa e il risultato è che esse vengono rimpallate tra sacerdoti e/o psicologi sull’argomento improvvisati finendo all’interno di dinamiche che vanno dalla presunta possibilità di guarigione, suggerita dalle teorie riparative, a proposte così disarmoniche e relativiste che spesso ottengono solamente il risultato di aumentare il dolore e la sofferenza degli interessati e di allontanarle con rancore profondo dalla proposta della fede e dalla vita della comunità cristiana. Non sono rare le testimonianze di cristiani omosessuali, ai quali sono stati negati immotivatamente i sacramenti, come ci racconta G.:
“In precedenza feci parte di un movimento cattolico e quando dissi di essere omosessuale mi venne vietato di fare la comunione, al che me ne andai. Naturalmente mi arrabbiai molto con Dio, dicendoGli pressapoco: “Ma come, ci fai storti e poi t’arrabbi con noi? Allora sei uno …”. Poco a poco, cominciai a capire che Dio ci ama così come siamo (Sap 11,24-25 ; 1 Tm 4,3-5) e cominciai anche a vedere alcune cose nella Scrittura che prima non avevo mai notato”.
Non è chiaro se con il termine membro si intenda, come nella comune accezione, il figlio; l’esperienza concreta non contempla solo famiglie con figli omosessuali. Può capitare che ad essere omosessuale (e non in modo così infrequente, considerando che metà degli omosessuali italiani ha figli) sia un genitore, un fratello, una sorella, quando magari ormai i genitori sono morti o, in un contesto di famiglia allargata, un parente. Andrea (omosessuale) ci ricorda come lui, oltre ad essere figlio sia anche padre:
“…nato 46 anni fa da una normale famiglia cristiana e praticante, educato nella fede da una mamma che negli anni (spesso carichi di fatiche, problemi, pianti, delusioni) ha testimoniato la sua relazione con Cristo più nei fatti che nelle parole; vissuto “all’ombra del campanile”, impegnato in oratorio, educatore e catechista; all’età di 26 anni mi sposo amando sinceramente; nascono due splendidi figli”.
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…per quanto riguarda l’accoglienza in questo momento storico…
Nella concreta esperienza delle famiglie con un membro omosessuale in generale è difficile parlare di una vera accoglienza. Spesso a fronte di una dichiarata necessità del Vangelo di essere accoglienti, si accompagna la prassi di un’emarginazione compatente e colpevolizzante che non fa neppure la fatica di conoscere e di farsi conoscere, di proporre e di condividere esperienza di umanità prima che di fede. Secondo G. “..il continuamente sbandierato rispetto per le persone omosessuali è solo formale, non sostanziale. Ancora oggi, ci sono persone omosessuali prese in giro, cacciate dalle parrocchie o silenziosamente emarginate, facendo il vuoto attorno a loro, per poi dire ipocritamente che sono state loro a volersene andare…”.
Nell’esperienza delle famiglie e delle persone che incontriamo e abbiamo incontrato lo stile con il quale le parrocchie rivolgono la loro attenzione pastorale alle famiglie con un membro omosessuale si può suddividere così:
a) Accoglienza negata ufficialmente o di fatto, tipica di quelle parrocchie connotate dalla presenza di movimenti.
b) Accoglienza parziale e condizionata con la raccomandazione/esortazione a far rivedere il proprio stile di vita al figlio con l’obiettivo dichiarato di una continenza totale e di un progressivo sincero pentimento, altrimenti espulsione di fatto con un graduale isolamento.
c) Accoglienza prudentemente aperta anche ad una eventuale vita di coppia sotto la condizione di non dare eccessiva visibilità o scandalo, di vivere un po’ nell’ombra per evitare di apparire quale modello possibile (probabilmente la tipologia più diffusa).
d) Accoglienza aperta e includente dove le persone omosessuali sono fedeli come gli altri, e dove è possibile trovare spazi veri (fisici e umani) di attenzione pastorale.
Crediamo che sia importante che la comunità parrocchiale esprima una sana maturità umana e nella fede, che la porti a non scandalizzarsi “… di fronte a qualsiasi apertura, a qualsiasi passo che non entri nei loro schemi mentali e spirituali, a qualsiasi carezza o tenerezza che non corrisponda alle loro abitudini di pensiero e alla loro purità ritualistica…” . Gesù “… ha voluto integrare gli emarginati, salvare coloro che sono fuori dall’accampamento (cfr Gv 10)”.(1)
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Evitando ogni ingiusta discriminazione, in che modo prendersi cura delle persone in tali situazioni alla luce del Vangelo? (Con quale stile rivolgere attenzioni pastorali?)
Accogliere. Spesso alle persone omosessuali non è permesso fare esperienza di Cristo nella Chiesa, sperimentare il suo sguardo di tenerezza e amore, che, come per ogni uomo, desidera accompagnarli con pazienza e misericordia, in un cammino verso la verità, che è la conoscenza di Dio e di Gesù Cristo. Le parrocchie sono molto spesso non capaci di accogliere le persone omosessuali e di conseguenza le loro famiglie, perché vi sono radicati pregiudizi, risultato purtroppo di una mancata conoscenza, di un dialogo che non è mai stato veramente capace di realizzarsi.
Purtroppo oggi, a causa del comportamento “escludente” e non accogliente di molti cristiani, nonostante l’insegnamento del Magistero, molte persone omosessuali, pur facendo parte di famiglie cristiane praticanti, e pur vivendo in parrocchia, maturano la convinzione che Dio faccia differenze di persone e che esse sono escluse dalla
Benedizione. Le famiglie cristiane con al loro interno un membro omosessuale si sentono come improvvisamente messe ai margini, se non espulse di fatto. Vivono momenti di disorientamento e di sconforto. Perdono improvvisamente le misure della relazione con il figlio o con i genitori.
L’accoglienza è compito principalmente della parrocchia, perchè è un ambiente umanamente più ampio e articolato, e privo di quegli elementi emotivi che a volte rendono troppo intenso il discuterne in famiglia, soprattutto se la materia riguarda la conciliazione della condizione omosessuale e della fede cristiana cattolica. Questo comporta anche un contesto ordinario di accoglienza: ad esempio al catechismo quando si affronta la sessualità, ci dovrebbe essere uno spazio per un discorso sull’omosessualità, semplicemente perchè è una condizione che esiste, che ha una sua dignità, un suo percorso vocazionale, semplicemente perché interpella un’umanità, cioè persone giovani e meno giovani, e perchè è anche probabile che tra i ragazzi e le ragazze in età da catechesi ci sia qualcuno che è omosessuale, e che non deve essere costretto ad andar via per la mancanza di formazione del prete o del catechista o per il linguaggio e uno stile volto alla derisione. Nella vita dei gruppi familiari dovrebbe esserci un analogo spazio sufficientemente protetto da moralismi e “bigotterie” per i loro genitori. Accogliere vuol dire, in casi come questi, banalmente avere uno spazio, dedicare del tempo, non temere di “andare incontro”. La comunità parrocchiale dovrebbe elaborare una “spiritualità delle frontiere” per maturare uno sguardo evangelico sulle situazioni esistenziali, ecclesiali, sociali “limite”.
Ascoltare (il dolore e il desiderio del futuro). Ascoltare ogni membro della famiglia nella sua specifica identità di ruolo. Le reazioni più normali davanti a un figlio che comunica in casa la propria omosessualità sono il panico e il rifiuto, lo smarrimento dei riferimenti affettivi ed educativi, il senso di colpa davanti a quello che si tende a leggere come fallimento educativo, e il conseguente tentativo di correre ai ripari, chiamando lo psicologo o il prete, o chiudendo al ragazzo tutte le uscite. Occorre innanzitutto tranquillizzare, lasciando perdere la ricerca del “dove ho sbagliato” o l’atteggiamento di chi fa finta di non vedere. Bisogna comunicare che non si deve cercare alcuna colpa. Bisogna ascoltare soprattutto inizialmente la sofferenza di tutti.
Sia la famiglia che la parrocchia vanno aiutate a comprendere quanta sofferenza e quanta vergogna prova un figlio omosessuale credente, all’inizio del suo cammino di scoperta e accettazione; egli si sente fisicamente, socialmente, psicologicamente e spiritualmente colpevole e inadeguato! Si immagina punito per la sua condizione! “È un morto vivente, “come uno a cui suo padre ha sputato in faccia” (cfr Nm 12,14)”, perché, in un’ottica di fede, non ha prospettive, né futuro.
“…Tutto quanto descritto, in evidente sintesi, è stato ( ed è tutt’ora ) carico ed intriso di grande dolore e sofferenze sia per chi scrive che per i propri cari e amici…”.
“…avevo come la sensazione, quando frequentavo gli amici dell’oratorio, di essere più uno spettatore che un protagonista, e che il cammino formativo umano e di fede che vivevamo insieme fosse per loro un andare verso pienezza, gioia e riconoscimento mentre nel mio caso la meta era una solitudine profonda, una lenta totale e inesorabile emarginazione da ogni forma di felicità e soddisfazione; inoltre la situazione diventava progressivamente insostenibile perché nessuno mi ascoltava, non c’era modo di parlarne se non attraverso vergogna e sensi di colpa devastanti. Ero un giovane cristiano innamorato di Cristo e della vita, che voleva vivere autenticamente la Sua proposta, ma per me non c’era futuro possibile. Fu inevitabile, per sopravvivere, andarmene…”.
Rispettare. Il rispetto è spesso solo formale perché in molti casi si assiste a una lenta emarginazione, dalla vita parrocchiale e nei gruppi vari, delle famiglie con un membro omosessuale e soprattutto del loro figlio. Tuttavia nel “popolo di Dio”, nei contesti concreti ci si sta accorgendo che le persone omosessuali hanno doti e carismi per l’utilità comune e viene chiesto loro di partecipare attivamente alle attività parrocchiali.
“Come già accennato, tutte queste realtà sono da me vissute talvolta nel dubbio, non senza sofferenze, con attenzione verso i più “piccoli” ma con convinzione nei confronti di taluni inclini alla derisione e all’emarginazione dei ‘diversi’ ”.
Accettare. “La riprova di questo Amore (N.d.R. di Cristo) per un figlio divorziato, padre, omosessuale impegnato in una relazione stabile con un uomo, è la richiesta (e la mia gioiosa risposta) del proprio parroco e della suora – entrambi al corrente della mia condizione – ad intraprendere un cammino di impegno in parrocchia come lettore ed educatore dei giovani”.
“…un giorno all’Esselunga incontrai Giovanni, un amico della comunità parrocchiale, che era stato mio catechista. Non so come ma probabilmente aveva capito chi è Alessandro e anche della nostra convivenza. Aveva naturalmente bisogno di conferme e non nascondo che ne fui un po’ infastidito perché in fondo mi dicevo “almeno la dimensione privata è nostra – stavamo facendo la spesa – e tu la stai violando arbitrariamente” ma mi accorsi che fondamentalmente aveva l’urgenza, non so quanto consapevole, di farmi sentire accettato se non dalla comunità, quantomeno dalla comunità che lui rappresentava in quel momento. Di questo ebbi riprova qualche giorno dopo quando incontrai Alessandra, sua moglie, che con grande naturalezza, usò il plurale rivolgendosi a me e Alessandro. Evidentemente ne avevano parlato in casa”.
“…fui molto colpito da una coppia di nostri amici etero, sposati e catechisti. Ci accorgemmo che, in qualche modo, cercavano un’intimità amicale con noi perché, rispetto alle altre coppie di amici che avevano, noi condividevamo seriamente, interrogandoci su di essa, la proposta della fede. Cominciarono a invitarci agli spettacoli del gruppo parrocchiale, a casa loro per cene e serate passate a giocare con giochi in scatola. Furono gli unici a farci un regalo quando decidemmo di sancire formalmente il nostro vincolo”.
“Auguro a Voi Padri della nostra Chiesa un Sinodo nel quale la prima preoccupazione sia quella di “includere“, di far sentire ogni uomo e ogni donna Figlio amato dal Padre di Gesù Cristo pienamente rivelato nella Sua Parola!”.
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Bisogna porre attenzione al linguaggio. Affinché l’azione pastorale del prendersi cura non si riduca a un tamponare una situazione/condizione considerata “intrinsecamente” compromessa, è necessario recuperare la pratica della carità e della verità a partire proprio dalle parole utilizzate. Molte reciproche non comprensioni nascono anche dall’utilizzo improprio di parole e termini che hanno una densità storica di significati ed esperienze ormai consolidate. Porre attenzione al linguaggio aiuterebbe il reciproco ascolto e la reciproca comprensione. La cura del linguaggio è un segno serio di considerazione quando si parla e si comunica con le famiglie che hanno al loro interno una persona omosessuale. Come passare da un linguaggio che sembra non conoscere le persone delle quali si sta dicendo, e che sembra escludere più che includere ad un linguaggio che sappia accogliere, guarire ed avvicinare a Dio anche i figli omosessuali delle famiglie cristiane? La carità è creativa nel trovare il linguaggio giusto per comunicare con tutti coloro che vengono ritenuti intoccabili.
Le persone omosessuali, e nelle dinamiche psicologiche sottese anche le loro famiglie di origine o elezione, non amano particolarmente essere “compatite” come individui di una specie inferiore. Le famiglie credenti con figli omosessuali si rattristano quando, nel linguaggio e nel pensiero, li sentono accomunati a coloro che, non credenti per convinzione o ripiego, utilizzano la questione omosessuale per attaccare la Chiesa e la gerarchia.
E’ necessario, con urgenza, un sano distinguo, anche perché un vero ed efficace accompagnamento pastorale alle famiglie con al loro interno un membro omosessuale, non può prescindere da pensieri e da parole, anche non necessariamente espressi, che non siano nella forma e nell’intenzione, autenticamente accoglienti e come tali percepiti.
“Ricordo bene quel periodo, dovetti scontrarmi tutto ad un tratto con quel linguaggio di incomprensione e malcelata condanna che risuonava con forza dai documenti ufficiali della Chiesa, dai suoi rappresentanti che apparivano in tv, dai siti internet di gruppi e associazioni di ispirazione cattolica. Io, che non ero mai stato dentro la parrocchia, che non avevo mai frequentato l’oratorio perché non mi ero mai sentito a mio agio. Continuavo a credere in Dio solo perché mio padre mi portava con sé a messa tutte le domeniche, per ringraziare il Signore di quanto avuto (come mi ripeteva sempre). Ed ora, gay, fidanzato, convivente, appena affacciatomi ad una dimensione un po’ più profonda della fede, mi sentivo ributtato indietro senza scampo”.
Il coraggio della chiarezza e della Verità che si esprime nel:
a) Guardare a Cristo come modello concreto di umanità e di relazione autentica. Spesso le persone omosessuali fanno esperienza di una delle più grandi povertà della società attuale ovvero la solitudine, anche quando sono cresciute in oratorio e provengono da una famiglia cristiana credente e praticante, la progressiva emarginazione alla quale vanno incontro, nella comunità parrocchiale o nei movimenti che frequentano, non fanno che accuire e cronicizzare questa esperienza disumanizzante. Le loro famiglie spesso non comprendono e assistono impotenti al malessere del figlio.
E’ importante pertanto adoperarsi per invertire questa dinamica, non avendo paura di proporre cammini impegnativi verso Cristo (anche di consacrazione quando se ne ravvisano gli estremi), trasmettendo, con amore attento, la consapevolezza che lo sguardo rivolto costantemente verso di Lui, apre nuove possibilità nella vita dei singoli e delle comunità. «Infatti, ogni volta che torniamo alla fonte dell’esperienza cristiana si aprono strade nuove e possibilità impensate», come ci ha ricordato Papa Francesco.
b) Dichiarare con fermezza la falsità e la dannosità della proposta riparativa. Ai genitori e ai figli omosessuali va presentata con chiarezza l’ascientificità e l’illusione di guarigione indotta e generata delle “teorie riparative dell’omosessualità”. Esse, oltre a essere inefficaci e frustranti, oltre ad essere state formalmente sconfessate dalle autorità nazionali e internazionali degli ordini degli psicologi, hanno l’effetto devastante di creare e amplificare attriti tra il figlio che si sente non compreso, e i genitori che vedono insanata la loro ferita narcisistica. Bisogna evitare di trasmettere l’idea che la condizione omosessuale sia una colpa, qualcosa di patologico o una situazione intrinsecamente peccaminosa e senza futuro. Bisogna, piuttosto, aiutare i genitori a riconoscere nei loro figli dei figli di Dio, amati e voluti dal Signore; spiegare con delicatezza che le persone omosessuali sono chiamate a una vita di relazione con Dio e con gli altri, piena e arricchente; far comprendere come tale condizione sia semplicemente un punto di partenza e come nulla sia compromesso.
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Cosa proporre concretamente?
I gruppi (2). Nei gruppi si fa esperienza vera della serietà della fede. Nei gruppi di credenti omosessuali s’incontra realmente Cristo, si fa esperienza di Chiesa come comunità dello Spirito. Questi gruppi, meglio se inseriti in un ambiente parrocchiale, sono una risposta pastorale seria, adatta e che permette una crescita umana nello sperimentare sane relazioni e nella conoscenza di Cristo.
“Infiniti doni ho ricevuto da Dio: una famiglia mai invadente eppur vicina e presente nel bisogno; una moglie, madre dei miei figli (il dono più grande!), per la quale nutro sempre sincero affetto; numerosi sacerdoti e consacrate che hanno saputo farmi sentire accolto in quanto figlio di Dio amato e desiderato e, soprattutto, in riferimento alla mia condizione di omosessuale, tanti amici riuniti nel gruppo “ La Fonte di Milano “ che mi hanno restituito la gioia di un cristianesimo basato sull’accoglienza nella relazione; una realtà capace di ridare la pace nel cuore di molti omosessuali credenti ancor oggi spesso ai margini se non rifiutati dalle proprie comunità”.
“Dopo qualche anno di “deserto” incontrai il gruppo La Fonte e capii che il Signore voleva che vi partecipassi, come se mi avesse detto : “Vai lì e stacci!”. Certo, dopo così tanti anni, si può anche affievolire l’entusiasmo delle prime volte e anche io ho sentito la voglia di andarmene, ma ugualmente vi sono rimasto, anche perché per me è diventato importante il contatto con gli amici presenti. Per me è importante che il gruppo abbia una connotazione di gruppo credente, cosa che mi fa sentire maggiormente partecipe e mi piace pregare e partecipare alla Messa tutti assieme ed è pure importante che la mia preghiera personale sia preghiera di intercessione per le persone del gruppo, le relazioni e per le persone omosessuali in generale”.
“Nel gruppo ci si confronta con le Scritture, si vive la preghiera liturgica e si frequentano i sacramenti; si fa catechesi; si fa l’esperienza dell’ accoglienza e si può essere se stessi senza sentire la necessità di negarsi o nascondersi. Nel gruppo si parla anche di omosessualità e al riguardo ci s’interroga, ma la centralità del gruppo riguarda la possibilità di sperimentare la comunità quale espressione della Chiesa, per diventare cristiani migliori, e dove la caratteristica dell’orientamento sessuale è una tra le tante altre che concorrono a formare l’identità di ogni persona”.
“Sono una vergine consacrata di una diocesi. Ho sempre cercato di vivere la mia vocazione nella Chiesa, non come una bella statuina, cioè integra nel corpo ma gelida nel cuore, paurosa dell’umanità nelle sue molteplici forme, distante per non rischiare troppo, falsa con se stessa e con le sue umanissime personali miserie. Tutt’altro! Dal gruppo della Fonte, che frequento dal 30 novembre 1996, ho imparato a toccare e ad essere toccata, a crescere in amicizie concrete e insieme sempre incomplete, che non escludono cocenti delusioni. Dando ascolto alla mia naturale fiducia verso il prossimo continuo ad entusiasmarmi delle relazioni, che sono l’invenzione con cui Dio Amore ci insegna l’amore.
Per me gli amici, di qualsiasi condizione e in ogni momento della vita che si debba affrontare, sono un continuo invito a richiamare a me stessa e a proporre agli altri il primato del Signore. Con molti, con tutti, ma per Uno solo”.
“Carissimi “ Papà nella Fede “ – questa è la relazione che desidero avere con i Vescovi della mia Chiesa – con rispetto ma contestualmente con deciso vigore, Vi esorto a conoscere senza pregiudizi le nostre realtà nella quali si cerca di vivere seriamente la fede, realmente s’incontra Cristo e si fa esperienza di Chiesa come comunità dello Spirito”.
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La partecipazione alla vita parrocchiale in tutti i suoi aspetti e ai sacramenti
“La forza nell’affrontare queste situazioni mi deriva dalla partecipazione ai sacramenti, doni di Dio alla sua Chiesa, e dalla frequentazione del Gruppo La Fonte dove il confronto, il dialogo e la preghiera con amici sinceri, mi spronano ogni volta ad essere un cristiano serio, consapevole delle proprie responsabilità e convinto di essere amato…quindi capace di amare!”.
La catechesi. “Nella mia comunità esiste anche un nutrito “ gruppo famiglie “ che s’incontra nella catechesi organizzando numerose iniziative, dalle vacanze comunitarie estive ai ritiri nei tempi di avvento e quaresima: anche qui sono presente nell’impegno con la “mia famiglia” ”.
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Come proporre loro le esigenze della volontà di Dio sulla loro situazione?
Bisogna premettere che tutte le persone – omosessuali compresi – vanno aiutate a comprendere la volontà di Dio su di loro, non in quanto “categoria” ma persone, amate e chiamate, ognuna delle quali riceve una chiamata speciale e diversa da Dio, ognuna delle quali realizza la propria identità di figlio di Dio, ognuna delle quali sente pronunciare il proprio nome da Cristo stesso, vero amico.
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Proporre cammini seri e concreti di vita vocazionale adulta che, nel rispetto della storia e dell’identità personale, prevedano:
a) Assunzione di responsabilità. Quali sono le forme legittime e benedette attraverso le quali una persona omosessuale può maturare pienamente la propria adultità, che non può prescindere dal prendersi cura di altri? La volontà di Dio passa inevitabilmente attraverso questa dinamica. E’ una consapevolezza che nasce in contesti relazionali e non grazie a percorsi intellettuali. La comunità cristiana si è mai chiesta come gli omosessuali cristiani maturino un percorso che ne fa cristiani adulti oltre che persone nella loro pienezza o vi è un radicato pregiudizio che le vuole immature a vita e strutturalmente incapaci di una vera e piena maturità umana?
“Alessandro ha sempre avuto paura dei temporali. Ricordo una notte, o forse già stava albeggiando, (era estate e faceva parecchio caldo) che scoppiò un temporale veramente forte. La finestra era aperta e lampi e tuoni sembravano voler entrare in casa. Mi svegliai ma il sonno era tanto. Però il mio primo pensiero fu per Ale. Sapevo che in quei momenti provava una paura atavica fortissima. Istintivamente lo abbracciai e gli feci scudo con il mio corpo. Avevo già percepito il suo nervosimo per il temporale. Subito si rilasso e si addormentò. Fu questa la logica che mi guidò quando, dopo cinque Presidenti del Consiglio, molte campagne elettorali che promettevano ogni promettibile sulle esigenze civili delle persone omosessuali e tre pontificati, per proteggerlo dallo spettro di una vita che fosse percepita come parodia di una vita sociale adulta, gli chiesi, con molta paura, di poterlo sposare. Lo facemmo civilmente in Portogallo. Forse lo strumento poteva non essere quello giusto ma era importante per la nostra crescita e anche per quella dei nostri amici e parenti, poterci assumere pubblicamente una responsabilità”.
b) Crescita affettiva. Alla luce di quanto afferma il Concilio Vaticano II, come proporre ai figli omosessuali e più in generale alle persone omosessuali credenti, cammini di crescita affettiva seri, integrali e integrati? Percorsi che sappiano conciliare la centralità della vita di relazione affettiva, privilegiata e non, la dimensione sessuale (ricordando che la relazione s’instaura tra due persone e non tra due genitalità), la progettualità di vità e la sana tensione verso il futuro guardando a Cristo, modello dell’Umanità tutta? L’amore umano genera armonia, unità e realizzazione. Ogni amore umano è un riflesso dell’amore di Dio che è la vita della Trinità. L’amore tra gli esseri umani è essenzialmente un desiderio di unione totale con Dio a cui è invitata ogni persona, anche quella omosessuale. Amare un’altra persona significa entrare nell’area della più ricca esperienza umana; essere amati permette di sperimentare l’amore incondizionato di Dio:
“…mi scopro attratto dagli uomini, inizialmente a livello “cerebrale”, ma con il passare dei mesi ammetto a me stesso il desiderio e il bisogno di una relazione affettiva con un altro uomo che non esclude, anzi contempla, affinchè sia per me vera e profonda, la dimensione sessuale. Da 7 anni il nostro rispettarci, aiutarci, condividendo gioie e fatiche, speranze e dubbi, accoglienza e chiusure, mi fa crescere come uomo, come cristiano, come padre e come omosessuale”.
“…la mia vuole essere solo un’umile, piccola testimonianza di come la condizione omosessuale vissuta anche in una relazione affettiva concreta e profonda, possa essere pienamente inclusa nell’amore di un Dio che ci ha amato dal principio così come siamo; un Amore fatto a sua volta Uomo in Gesù che ha amato ed ama ognuno, quindi anche me!”.
“…quando incontrai Alessandro, avevo in cuor mio già deciso di vivere una vita di ombra e solitudine. Forse inconsciamente speravo di realizzarmi nel lavoro perché, all’epoca, ero educatore professionale. Gli amici mi avevano anche regalato un gatto, che quantomeno mi obbligava a dovermi occupare di qualcuno. Alessandro era bello ma giovane. Ha otto anni in meno rispetto a me. Era bello e pacato e lo notai subito ma lo tenni a distanza e lo ignorai perché temevo di fargli del male con le mie incertezze, le mie paure e le mie ansie. Tutto volevo tranne che nuocere a qualcuno. Fu lui a fare la prima mossa: mi sorrise (anche se lui afferma il contrario). Cominciammo a frequentarci, a condividere tempo e interessi, cercando di incastrarci tra gli impegni lavorativi (i miei) e quelli dello studio (i suoi). Passò del tempo prima che vivessimo momenti d’intimità fisica e complicità. La tenerezza era un linguaggio nuovo per entrambi ma ci mancava l’alfabeto. Temevo di mancargli di rispetto e così facendo di perderlo; poi le cose vennero da sé e lentamente crebbero. Ci accorgemmo, con il tempo, di essere diventate persone più serene, più solide, meno piene di sé, perché io facevo spazio a lui e lui faceva spazio a me e insieme eravamo aperti agli altri. Ci venne voglia di progettualità e di futuro”.
c) Esperienza di fecondità. Esiste una fecondità che nasce all’interno delle relazioni omosessuali e questa è l’esperienza che si fa nei gruppi e nelle relazioni affettive omosessuali stabili. Una fecondità che quindi non è solo legata alla generazione fisica della vita ma all’implementazione della sua qualità, della sua capacità di educare all’attenzione all’altro che diventa anche servizio. Questa fecondità che prende lo stile e la forma di una diaconia della relazione deve essere esplorata e testimoniata.
“…anzi aggiungerei che nutro in merito un ulteriore sogno: una vita comunitaria in cui la priorità sia data alla fraternità, alla condivisione e alla comunione nel Signore Gesù e non alla condizione personale, qualunque essa sia…”.
“…l’amico lavora il mio terreno, estirpa radici, porta semi, sollecita e risveglia le sorgenti della mia, della nostra vita. Mi cambia la vita. Occupa un posto speciale, ma prima di tutti, compresa me stessa, resta l’Amico con la A maiuscola. Solo lui accoglie tutte e tutti senza pregiudizi, con inalterabile disponibilità…”.
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In conclusione sarebbe auspicabile e bello che:
a) L’attenzione pastorale alle famiglie con al loro interno un membro omosessuale potesse avvenire nel contesto di una reale conoscenza della condizione omosessuale e di un vero dialogo, senza agire un’accoglienza stereotipata fondata su luoghi comuni massificanti;
b) La comunità cristiana avesse il coraggio di vedere il buono che c’è nelle persone omosessuali, comprendendo come esso non sia residuale, e che come i carismi che essi portano sono dono di Dio, che Egli ha pensato per il bene e l’utilità comune di tutta la Chiesa;
c) La comunità cristiana avesse il coraggio di portare proposte pastorali e vocazionali serie, positive, aperte al futuro che contemplino le persone omosessuali come persone adulte e integrali e così facendo guarire anche la sofferenza delle loro famiglie;
d) La comunità cristiana avesse il coraggio di agire un’attenzione pastorale seria, autentica e coraggiosa, capace di valorizzare il “desiderio di famiglia” seminato dal Creatore nel cuore di ogni persona, e presente anche nelle persone omosessuali, comprendendo come sia compito della Chiesa indagare le forme e le modalità attraverso cui questo seme possa portare frutto, nel rispetto della dottrina sulla famiglia;
e) La comunità cristiana avesse il coraggio di riconoscere e di ricordare a tutti e in particolare alle famiglie con al loro interno un membro omosessuale, che anche le persone omosessuali e quindi i loro figli, sono figli di Dio, e di come nel loro cuore alberghi il desiderio di una felicità sana e sovrabbondante.
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Allegato 1. L’esperienza del Gruppo La Fonte di Milano (Parrocchia di San Giovanni in Laterano)
Chi siamo. Il gruppo La Fonte è nato a Milano nella primavera del 1986 per opera di alcune persone che intendevano creare un luogo di accoglienza, e insieme fornire in maniera sufficientemente precisa, momenti di crescita mediante un cammino di spiritualità che cercasse un’integrazione feconda tra la propria condizione di omosessuali e la fede cristiana. Il nostro sito è www.gruppolafonte.it .
Perché un gruppo. La scelta del gruppo come spazio dove fare insieme questo cammino ci è sembrata obbligata, soprattutto a partire dal fatto che consideriamo primaria la dimensione relazionale della persona, a prescindere dal suo orientamento. Il gruppo può diventare il luogo ove imparare, attraverso la disciplina che esso esige, a costruire relazioni positive, che si traducono quindi in solidarietà e amicizia. Il nome del gruppo, e l’antico simbolo cristiano che lo identifica, due colombe che si abbeverano a una fontana, vogliono rendere con l’immagine il nostro progetto: l’incontrarsi delle persone attorno a quella Fonte che è il Signore Gesù.
La relazione al centro. Collochiamo al centro del nostro “discorso” la relazione interpersonale, pensiamo che la sorgente che alimenta la vita sia l’amore, e cerchiamo in Gesù il modello di una relazione fondata sull’amore.
Cosa facciamo. L’attività del gruppo comprende condivisione di pranzi, l’eucarestia vissuta insieme, pomeriggi di riflessione, preghiera liturgica e semplice scambio amicale, cui si aggiunge un ritiro-convivenza di fine settimana da due a quattro volte all’anno. Accanto a questi momenti più impegnativi, le persone del gruppo vivono la loro amicizia in diverse altre occasioni informali, quotidiane dal sapore comunitario, che non obbediscono a un programma preciso, ma fanno parte del comune stare assieme in base ad affinità, gusti e interessi che traducono e intensificano le relazioni interpersonali. Dal dicembre 1996 “Acqua di Fonte” è il nostro bollettino parrocchiale che esce quattro volte all’anno ed è disponibile anche online (www.acquadifonteonline.jimdo.com).
Noi e la Chiesa. Ci collochiamo nella Chiesa come credenti; il gruppo è però anche aperto a chi, trovandosi in una situazione di fede sospesa e di ricerca, accetta le iniziative che vengono decise e proposte. Forse è opportuno precisare che per noi la fede è anzitutto un cammino segnato da un’adesione autentica alla proposta di Gesù di Nazareth, che ci attrae verso traguardi vertiginosi e insieme sostiene e conforta i nostri passi con il suo perdono sempre offerto e con il suo modellarci alle esigenze dell’Amore. Similmente la Chiesa è nostra madre e non un’organizzazione politica da aggredire.
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1 Omelia di Papa Francesco,VI Domenica del Tempo Ordinario, 15 febbraio 2015.
2 Vedi allegato 1