Le scuse sono cosa buona, le azioni sono ancora meglio. Le reazioni dei cattolici alle parole del Papa
Articolo di Francis DeBernardo pubblicato su Bondings 2.0, blog dell’associazione cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti), il 9 luglio 2016, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
In un articolo scritto per il sito cattolico Crux il sacerdote passionista Edward Beck ha espresso il sentimento comune a molte persone LGBT cattoliche e ai loro sostenitori dopo aver ascoltato la richiesta di scuse di papa Francesco a lesbiche e gay: le parole sono vuote se non vengono seguite da azioni. In un altro articolo, scritto per Religion News Service, il direttore dell’associazione cattolica Faith in Public Life John Gehring suggerisce alcune azioni che i vescovi possono intraprendere per rendere più concreta la richiesta di scuse.
Nell’articolo Saying ‘sorry’ to gays a good step, but change still needed (Chiedere ‘scusa’ agli omosessuali è cosa buona, ma c’è comunque bisogno di cambiamento) padre Beck, scrittore e commentatore, mostra come i documenti del Vaticano, comprese le dichiarazioni dell’arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio, hanno ripetutamente offeso le lesbiche e i gay, in particolare sul tema del matrimonio, e fa notare come, nonostante la richiesta di scuse del Papa, “l’opposizione della Chiesa alle unioni e ai matrimoni omosessuali rimane intatta”.
Le scuse sono fatte di più che di sole parole, osserva padre Beck: “Le scuse sono una buona cosa. Significano che abbiamo capito di aver fatto torto a qualcuno e che siamo dispiaciuti per le parole e le azioni che hanno arrecato l’offesa. […] Nella nostra tradizione cattolica, tuttavia, il perdono dipende anche dall’impegno e dallo sforzo di non arrecare più la medesima offesa. Nell’Atto di Contrizione recitato durante il Sacramento della Riconciliazione il penitente afferma: ‘Sono fermamente risoluto, con l’aiuto della tua grazia, a non peccare più e a evitare ogni minima occasione di peccato’. […] Abbiamo prove che la Chiesa (o papa Francesco) abbia pronunciato questo tipo di impegno nei confronti degli omosessuali?”.
Padre Beck afferma che questa domanda è ancora aperta e cita l’esempio dell’arcivescovo di Monaco di Baviera Reinhard Marx, che quasi una settimana prima dell’intervista al Papa non solo invitava la Chiesa a scusarsi ma lo faceva lui stesso. Il cardinale Marx ha fatto seguire gli atti alle parole: “È arrivato al punto di pronunciarsi contro l’opposizione alle unioni civili omosessuali in Germania: ‘Noi abbiamo una posizione morale che è chiara, ma lo stato laico deve regolare queste unioni e portarle a una posizione accettabile. Noi come Chiesa non possiamo essere contro.’. […] Questo è un esempio dell’azione concreta che molte persone omosessuali aspettano dalla Chiesa cattolica. Apprezzano la sua recente apertura ma pensano che il vero processo di riconciliazione e guarigione potrà iniziare solamente con un fermo proposito di non perseverare con la discriminazione e l’oppressione, acuite da un linguaggio privo di sensibilità e da una prospettiva teologica apparentemente monolitica.”. Padre Beck suggerisce alla Chiesa di non fermarsi a questo se vuole che le sue scuse siano credibili: “Molti pensano che un’autentica prassi conciliatoria debba includere un aggiornamento del Catechismo e l’impegno a bandire la retorica respingente e paternalista da tutti i documenti ufficiali della Chiesa. Questo significherebbe anche sostenere le unioni civili in quanto protezione dei diritti e dei privilegi umani.”.
Se vescovi e sacerdoti statunitensi cercano il modo di scusarsi in maniera concreta, dovrebbero dare un’occhiata all’articolo scritto da John Gehring per Religion News Service, intitolato I Vescovi seguiranno seriamente l’invito di Papa Francesco ad ascoltare le persone LGBT?. Come padre Beck e altri, Gehring nota come “non bastano le parole per guarire le ferite inferte a molte persone LGBT cattoliche, vittime dell’indifferenza e dell’esclusione”, ma poi suggerisce che l’onestà di papa Francesco “è un’opportunità unica per il clero cattolico per cominciare tutto da capo”.
Gehring sottolinea che ci sono molti modi in cui i vescovi cattolici degli Stati Uniti possono ribaltare il loro atteggiamento verso le questioni LGBT. In cima alla lista c’è il dialogo: “I sacerdoti delle 195 diocesi cattoliche degli Stati Uniti e potrebbero per prima cosa incontrare e ascoltare i cattolici omosessuali e i leader LGBT. Emergerebbero disaccordi, ci sarebbe spazio per un civile dibattito, ma un tale atteggiamento di umiltà e rispetto manderebbe il segnale potente che la più grande Chiesa americana vuole imparare qualcosa dalle diverse esperienze di gay, lesbiche e transgender”.
Difendere i diritti LGBT, però, manderebbe un segnale ancora più forte: “I vescovi cattolici potrebbero fare di più che denunciare le discriminazioni sul lavoro e nel mercato immobiliare. Gay e lesbiche ora possono sposarsi legalmente, ma in più di metà degli Stati si può legalmente discriminare una persona omosessuale. […] I cattolici dovrebbero essere in prima fila nel combattere queste ingiustizie. Quando il Senato nel 2013 approvò un provvedimento bipartisan per combattere la discriminazione sul lavoro, la Conferenza episcopale affermò di voler “lavorare con tutti i politici e le persone di buona volontà per mettere fine a ogni forma di ingiusta discriminazione”, ma poi si oppose alla legge perché secondo i vescovi avrebbe minato alla base il matrimonio e messo in pericolo la libertà religiosa. I vescovi cattolici statunitensi possono e devono fare di più.”.
I vescovi potrebbero semplicemente trasmettere il loro messaggio in maniera più mite: “I vescovi dovrebbero abbassare i toni della polemica e comportarsi da pastori, non da avvocati. Che si tratti di biasimare il provvedimento di Obama del 2014 che proibisce agli appaltatori federali di discriminare sulla base dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere (bollato come “estremista”) o di condannare la sentenza della Corte Suprema che autorizza il matrimonio omosessuale (un “tragico errore”), l’atteggiamento dei vescovi ha persuaso ben poche persone e non ha fatto che mettere sale su vecchie ferite.”.
Gehring fa notare come tutto questo possa essere fatto senza cambiare nulla all’insegnamento della Chiesa. In effetti, sarebbe un modo per mettere in luce una sua parte spesso trascurata: “Nei suoi commenti sulle prime pagine Francesco ha citato il Catechismo della Chiesa cattolica, secondo il quale gay e lesbiche “devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza” e “a loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione”. Sono parole prive di ambiguità. Ma saranno solo parole su una pagina se la Chiesa non le metterà in pratica.”. Gehring offre degli ottimi suggerimenti su come far seguire l’azione concreta alle scuse. Se i vescovi vogliono altre idee su come fare pace con la comunità LGBT basta che chiamino noi di New Ways Ministry: ne abbiamo caterve.
Testo originale: Apologies Are Good, Actions are Better