Le storie dei cattolici LGBT della pastorale per la diversità sessuale della CVX cilena
Articolo di Sofía Aldea pubblicato sul sito Emol (Cile) il 20 novembre 2015, liberamente tradotto da Chiara Pucciarelli
Dal 2012 un gruppo di genitori con figli e figlie gay, lesbiche e bisessuali, appartenenti alla prima Pastorale cilena per la diversità sessuale, si riunisce in compagnia di sacerdoti e credenti della Comunità di Vita Cristiana (CVX) per studiare la Bibbia, perché convinti di poter integrare la diversità sessuale nelle loro famiglie, sotto l’egida della Chiesa Cattolica.
Ximena Moreno, 66 anni, ha iniziato a partecipare agli incontri del gruppo dei genitori dell’area pastorale da quando i suoi quattro figli frequentano la scuola. Si occupava della preparazione dei ragazzi al catechismo e alla cresima, ed era anche responsabile dell’accoglienza dei nuovi delegati, fino a quando nel 2006 Sebastián, il figlio più grande, che all’epoca aveva venticinque anni, decise di tornare a casa da Buenos Aires, dove studiava architettura, perché sentiva la necessità di confessarle qualcosa: “Mamma, sono gay”, le disse.
“Ne rimasi distrutta”, ricorda Ximena, “È stata un’esperienza molto forte, perché fino a quel momento ritenevo che l’omosessualità ‘non fosse accettabile’, basandomi sulla convinzione che sia biologicamente che spiritualmente non potesse essere possibile. E che Dio avesse creato la donna e l’uomo per una ragione ben precisa. Nella nostra famiglia scoppiò una bomba atomica”. Tre anni dopo, un’altra bomba atomica li colpì. Anche Martín, il figlio minore, aveva una confessione da farle: “Mamma, anche io sono gay”.
Sono le 6 di pomeriggio di sabato 7 novembre. Dalla via María Luisa Santander, a Providencia, si può sentire un gruppo che sta cantando una classica canzone da messa. Al civico 0290 è ubicata la sede della Comunità di Vita Cristiana (CVX), un’associazione laica internazionale riconosciuta formalmente dalla Chiesa Cattolica, che si basa sulla spiritualità ignaziana e che proprio stasera festeggia il quinto anniversario della Pastorale della diversità sessuale (PADIS).
Per l’occasione, in una lunga sala sono state disposte delle sedie, un altare con un crocifisso e un ambone su cui è stata eretta una bandiera arcobaleno. Sono presenti più di sessanta persone di tutte le età, donne e uomini anziani, giovani e bambini, persino un paio di neonati. Tra di loro c’è Ximena. Il sermone, pronunciato dal sacerdote gesuita Pedro Labrín, parla di quanto l’amore di Dio sia accogliente e incondizionato, e incoraggia a ricorrere al cristianesimo in ogni ambito della vita, e ad adottarlo con tutte le persone che la percorrono con noi.
Quando arriva il momento delle domande, i partecipanti alzano le mani. Un colombiano spera che un giorno la società possa accettare che le relazioni omosessuali siano fondate sull’amore tanto quanto quelle eterosessuali. Una ragazza, con la voce rotta, parla di come a volte perda la pazienza per il fatto che la Chiesa, sebbene dica di accogliere le persone omosessuali, continui in realtà ad affermare che gli atti omosessuali sono intrinsecamente malate. Una mamma ringrazia per l’esistenza del gruppo dei genitori, ed esprime il desiderio che la legislazione cilena si modernizzi e permetta alle coppie dello stesso sesso di adottare: “Ho il diritto di diventare nonna” dice, provocando un sorriso ed emozionando il resto dei presenti.
La storia di questa Pastorale si riassume nell’esperienza. Nel 2010 padre Pedro Labrín SJ, dopo essere diventato consulente ecclesiastico della Comunità di Vita Cristiana del Cile, si trovava nel suo ufficio quando bussarono alla porta. Vide entrare Tomás ed Héctor, due giovani membri della Comunità di Vita Cristiana insieme ai quali aveva partecipato a varie sessioni di formazione e a ritiri spirituali.
Li fece accomodare, si sedettero e gli dissero: “Siamo gay, abbiamo una comunità nelle catacombe e ci piacerebbe uscire allo scoperto. E vorremmo sapere se tu, che sei appena arrivato, ti occuperai del magistero della Chiesa per aggredirci, o se possiamo vivere la nostra omosessualità integrati in questa comunità”. Padre Labrín rispose loro che non sarebbero stati aggrediti, e propose un incontro per vedere cosa sarebbe accaduto.
In questo modo, con voglia e timore all’inizio, e assoluta convinzione con il trascorrere degli anni, nacque un gruppo di accompagnamento spirituale per persone LGB (non è inclusa la lettera T dei transessuali perché fino ad ora non se ne è presentato nessuno, anche se gli organizzatori affermano “speriamo che presto si possano unire a noi”), che accetta e incoraggia la loro totale emancipazione sia sessuale che emotiva, senza dover rinunciare alla fede.
Inizialmente erano solo delle riunioni informali, che divennero ufficiali ed ottennero l’approvazione della comunità sotto la guida delle figure ecclesiastiche di Pedro Labrín SJ, María Eugenia Valdés RSCJ, Carlos Álvarez SJ e della laica Pilar Segovia, membro della Comunità di Vita Cristiana (CVX).
Due anni dopo fu creato un altro gruppo: la pastorale dei genitori, che decisero di condividere le proprie esperienze per trasformarle in opportunità atte a costruire delle fondamenta solide per l’accettazione e la piena inclusione dell’omosessualità dei figli nelle loro famiglie.
Testo originale: Padres por la diversidad sexual