Le Unioni Civili a tre anni dalla legge Cirinnà. Un primo bilancio
Riflessioni inviateci da Massimo Battaglio
A tre anni dall’entrata in vigore della legge Cirinnà sulle Unioni Civili tra persone dello stesso sesso, si può cominciare a formulare qualche valutazione.
Innanzitutto un po’ di numeri. Sappiamo che fare la contabilità dei diritti è sbagliato. Quando si parla di dignità delle persone, non conta quante sono quelle si parla. Se anche fossero due sole le coppie unite civilmente, sarebbe comunque una vittoria di civiltà. Ma in questo caso, anche i numeri dicono che, delle Unioni Civili, c’era proprio bisogno.
Si stima che siano circa 14.000 quelle celebrate dall’agosto 2016 a oggi. Un numero che, raffrontato a quello dei matrimoni registrati nello stesso periodo (circa 390.000) è importante. Rappresenta il 3.6%, che è più della percentuale di persone lgbt dichiarate (3%) calcolata dall’ISTAT. Gay e lesbiche hanno quindi un propensione a sposarsi identica a quella delle persone eterosessuali. Anzi: un po’ superiore. La legge serviva e sta funzionando.
Alcune conseguenze sul piano laico. Qualcuno temeva che le Unioni Civili avrebbero sminuito il valore del matrimonio. Si sta verificando il contrario: i matrimoni tra coppie eterosessuali non sono diminuiti (anzi, ricominciano a crescere); i divorzi non sono sensibilmente aumentati. Tutt’al più, il tema della famiglia, anzi, delle famiglie, sta riconquistando una centralità. Si è quasi smesso di parlare di omosessualità a sproposito. Le storie di coppia venute alla luce del sole hanno messo fine a un dibattito svolto tutto “per ipotesi”. Stanno cadendo uno dietro l’altro tutti gli stereotipi. Sparisce il preconcetto del gay “farfallone”, incapace di legami stabili. Va in soffitta l’immagine del gay “vittimista”, che ama soffrire in silenzio. Anzi: l’impennata di denunce di episodi di omofobia registrata dopo l’entrata in vigore delle Unioni Civili, dimostra il contrario. Dice cioè che la legge ha generato una forte presa di coscienza, un “non ci sto più”.
Si è assitito a molte sentenze di riconoscimento di genitorialità arcobaleno (purtroppo pronunciate una per una per via giudiziaria, dal momento che non esiste la stepchild adoption). Ciò ha fatto emergere una nuova immagine di famiglia omosessuale: responsabile, amorosa, feconda.
Alcune conseguenze nel dibattito ecclesiastico. L’ubriacatura anti-omosessuale con cui la Chiesa italiana aveva reagito all’idea del matrimonio same sex è terminata. La propaganda contro il “gender” è cosa sepolta o almeno riguarda solo più frange nostalgiche ai limiti del pittoresco. Ricordo un solo caso, vicino a Gorizia, in cui un parroco si mise di traverso rispetto all’unione di due suoi parrocchiani (un consigliere comunale e un capo scout). L’eco smisurata che questo caso ebbe sui media, ne conferma l’eccezionalità. Al contrario, ricordo di aver incontrato più di un prete alla celebrazione delle nozze di suoi amici. Ricordo le parole commosse, gli auguri che avrebbero voluto diventare benedizione.
Ancora una volta, di fronte all’evidenza dell’amore, la Chiesa ha dovuto fermarsi. In molti casi, ha cominciato a ripensare, dandosi anche strumenti inediti. Vale ricordare il “corso di preparazione all’unione civile” organizzato dagli amici di Parma, a cui hanno partecipato diverse coppie provenienti da tutta Italia.
Alcune considerazioni personali. Ho partecipato finora alla celebrazione di undici Unioni Civili. Ho avuto la fortuna di festeggiare i due sposi più anziani, Franco e Gianni, a Torino il 5 agosto 2016, e i più giovani, Giorgio e Niky, sempre a Torino il 6 ottobre 2017. Sono stato a cerimonie con centinaia di persone e ad altre con una dozzina di invitati. Ho accompagnato sposi assolutamente laici e altri convintamente credenti.
Quello che ho sempre notato è una totale serietà, una sicurezza e una letizia raramente riscontrabili altrove. Nelle sale comunali in cui si celebra un’Unione Civile, si respira un’aria molto più leggera che in tanti matrimoni in chiesa. Le Unioni Civili servono anche a questo: a testimoniare che sposarsi è bello, importante, non un fatto di routine.