La ricerca del buon pastore di Leone XIV sulle orme di Benedetto e Francesco
Testo di Xabier Pikaza* pubblicato sul portale Cristianos Gays (Spagna) in data 11 maggio 2025. Liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata.
Il nuovo papa Leone XIV è arrivato dopo Benedetto XVI e Francesco, proprio in questa V domenica di Pasqua, la domenica del Buon Pastore. Forse il grande nodo irrisolto del pontificato di Francesco è stato proprio quello di trovare dei “pastori” per comunità sinodali: secondo lui, infatti, il più grave pericolo per la Chiesa era il clericalismo. Che popolo meraviglioso sarebbe il nostro, se solo avesse dei buoni pastori!
Per questo Francesco aveva scelto Robert Prevost come esploratore e promotore di nuovi pastori (lo nominò Prefetto della Congregazione per i vescovi)… e ora i cardinali hanno scelto proprio Prevost come primo tra i pastori, come Papa Leone XIV.
Benedetto, Francesco e l’ostacolo della Chiesa “gregoriana”
Papa Francesco conosceva bene il problema. Era un gesuita, con uno stile missionario ed efficace, obbediente in modo esemplare, ma con un tipo di obbedienza che, se vogliamo, era meno cattolica nella forma. Gli veniva da un “capitano” come Ignazio di Loyola, ottimo soldato, ma meno esperto nella vita evangelica di comunità.
A rendergli la vita più amara, alla fine, sono stati proprio i sostenitori di un modello di autorità e di obbedienza più legato alla “riforma gregoriana” dell’XI-XII secolo, meno vicini alla sensibilità di Pietro e Paolo. Francesco ha fatto tutto ciò che ha potuto, lo ha fatto bene, e se n’è andato nel momento giusto. Benedetto sia, Francesco.
Comunità sinodali benedettine e francescane insieme
Il cuore delle comunità cristiane sinodali non è l’obbedienza come sottomissione al potere, ma quella che nasce dal verbo greco hypakouein – che significa ascoltarsi profondamente, l’un l’altro. Solo dove due o tre pregano e dialogano insieme, solo lì – come nel Vangelo di Matteo – si può ascoltare il Dio di Gesù.
Papa Francesco lo sapeva, ma da gesuita e figlio di una Chiesa ancora segnata dalla riforma “gregoriana”, gli era difficile mettere in pratica questa visione. I pastori presenti in certi contesti non erano pronti a un vero cammino sinodale. Eppure, quel cammino lui l’ha iniziato. E ha fatto bene.
Ora tocca a Leone XIV. Ciò che sembrava difficile per Francesco potrebbe prendere slancio con Leone. Viene da lontano, dal IV secolo, dal mondo di Agostino. La sua tesi di dottorato l’ha scritta all’Angelicum proprio su un tema caro alla sinodalità: il ruolo del prior nelle comunità agostiniane. Lo avevo ricordato già nel mio saluto a Francesco di qualche giorno fa.
E oggi, 11 maggio 2025, domenica del Buon Pastore, non possiamo evitare di tornare su questo tema. A mio avviso, poche immagini sono state più manipolate nella Bibbia e in certi misticismi clericali di quella del “Buon Pastore”. Gesù ha fondato la Chiesa con la sua vita e il suo amore fino alla fine. Ma non ha sistemato per sempre la questione dei “pastori”, soprattutto per le comunità sinodali.
Né le comunità del Quarto Vangelo, né quelle di Matteo, né quelle che Francesco avrebbe voluto costruire hanno bisogno di “pastori” nel senso consueto del termine – che peraltro è poco evangelico. Ma di questo parleremo un’altra volta. Leone XIV dovrà tornarci su.
Una linea papale che unisce Benedetto, Francesco e ora Leone
Dopo Benedetto XVI e Francesco, è arrivato Leone. È così che voglio vederlo oggi: nella scia dei pastori, recuperando le intuizioni della regula di Agostino (sia per il suo essere agostiniano, sia per la sua tesi sul tema). E da lì, voglio mostrare come questa linea si radichi nei due grandi modelli di comunità dell’Occidente cristiano: quello benedettino e quello francescano. Credo che Leone si muoverà proprio in questa direzione.
LA COMUNITÀ SINODALE BENEDETTINA: L’ABBATE COME ANIMATORE
La tradizione benedettina valorizza la figura dell’Abate, che rappresenta Dio-Padre nella comunità. Benedetto voleva superare l’individualismo dei monaci erranti e creare invece una casa stabile, un monastero dove vivere da fratelli, lodare Dio e crescere sotto la guida di un padre spirituale:
“L’Abate che è ritenuto degno di governare un monastero ricordi sempre quale titolo gli è stato dato, e realizzi con i suoi atti il significato di quel nome. Perché la fede ci insegna che egli tiene il posto di Cristo nel monastero, come dice l’Apostolo: ‘Avete ricevuto uno spirito da figli adottivi, che ci fa gridare: Abbà! Padre!’ (Rm 8,15)”
(Regola di San Benedetto, cap. 2)
L’Abate non impone, non domina. È guida con l’esempio. Il monastero benedettino è casa di preghiera, di comunione e di accoglienza. I monaci non si raccolgono attorno alla figura dell’Abate per adorarlo, ma perché egli li conduce a Cristo. E proprio nella preghiera condivisa, nel canto comune, i fratelli diventano davvero famiglia.
Per questo, la regola dice: “Ogni ospite che arriva sia accolto come Cristo, perché un giorno Egli dirà: ‘Ero forestiero e mi avete ospitato’” (Regola, cap. 53; cf. Mt 25,35). Una casa per tutti, specialmente per chi non ha casa: gli stranieri, i perduti, gli esclusi.
LA COMUNITÀ SINODALE FRANCESCANA: IL MINISTRO COME FRATELLO
San Francesco, invece, non voleva padri. Voleva fratelli. Ecco perché i suoi “ministri” non sono superiori spirituali, ma semplici servitori degli altri. Nessuno deve chiamarsi prior (cioè il primo), tutti devono chiamarsi “fratelli minori”. Nessuno ha autorità. Solo Dio è Padre-Madre.
“E nessuno si chiami prior, ma tutti, senza eccezione, si chiamino fratelli minori. E si lavino i piedi gli uni gli altri” (Regola non bollata 6,3).
Nei testi francescani troviamo un legame profondo, quasi materno, tra i fratelli:
“E dove si incontrano tra loro, i fratelli si comportino con familiarità. E ciascuno esprima con fiducia la propria necessità. Se la madre nutre con amore il figlio carnale, quanto più ciascuno deve amare il fratello spirituale!” (Regola bollata 6,7-8).
Francesco ha immaginato una fraternità radicale: niente potere, niente ricchezza, solo amore e povertà. La Regola degli eremi lo esprime con forza:
“Coloro che vogliono vivere in eremi siano tre o al massimo quattro: due siano madri e abbiano due figli, o almeno uno. Chi fa da madre si prenda cura del figlio… e poi, a tempo debito, si scambino i ruoli.”
Francesco ha così creato uno spazio dove i ruoli non sono fissi: chi è madre oggi, sarà figlio domani. Un luogo di cura reciproca. Un modello profondo di fraternità, forse il più evangelico mai immaginato.
E da lì, la fraternità si è allargata al creato: il lupo, il sole, le stelle, l’acqua, il vento… tutto è fratello o sorella, perché tutto viene da Dio Padre-Madre. La sua famiglia è cosmica.
Francesco non ha costruito monasteri. Viveva nel cuore del mondo, tra i poveri, i lebbrosi, i rifiutati. Da lì ha dato vita a una famiglia di piccoli che si incarna nel dolore del mondo. E lo fa per amore.
(continua…)
* Xabier Pikaza è un noto teologo spagnolo, ex professore dell’Università Pontificia di Salamanca, specializzato in esegetica biblica, teologia sistematica e dialogo tra fede e società.
Testo originale: 11.5.25 Dom 5 pascua. Buen Pastor León XIV, tras (con) Benito y Francisco