Lesbiche e Chiesa cattolica. Tra omofobia e teologia “alternativa”
Articolo di Alberto Piccioni pubblicato su L’Adige il 18 marzo 2009
Donne che amano altre donne e che negli ultimi tempi fanno anche teologia: un fenomeno «silenzioso», per secoli celato dalla morale cattolica, che però lo considerava molto meno grave dell’omosessualità maschile.
Di lesbiche e Chiesa cattolica parlerà oggi (18 marzo 2009) a Trento Stefanie Knauss , (teologa tedesca, ricercatrice alla Fondazione Bruno Kessler e docente all’Istituto superiore di scienze religiose) nell’incontro interconfessionale «Religioni e omofobia. Rapporti e discriminazioni», promosso dall’Arcigay. Con lei abbiamo fatto un piccolo quadro della storia dell’omofobia.
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Perché la nostra cultura che si può definire giudaico ellenistica, ad un certo punto prende una posizione di netta condanna dell’omosessualità dopo che in Grecia veniva considerata quasi «normale»?
«I primi cristiani hanno voluto distinguersi dalla cultura dominante, distaccandosi dalla prassi omosessuale del passato. Ma la tradizione ebraica ha sempre condannato l’omosessualità, soprattutto quella maschile: a tal proposito ci sono diverse interpretazioni sulle motivazioni della condanna. Forse perché nell’atto omosessuale c’è mescolanza di liquidi, o perché viene negata la possibilità della procreazione.
Questa seconda motivazione diventa decisiva per il cristianesimo fino ai giorni nostri. Comunque anche in ambiente ellenistico il rapporto tra uomini doveva essere sempre tra persone di età diverse, un adulto e un giovinetto: l’omosessualità tra pari minava invece la base della società».
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Dove sta il fondamento biblico della condanna all’omosessualità?
«San Paolo, nella lettera ai Romani lo dice chiaramente: è una trasgressione dell’ordine naturale delle cose».
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Quando il cristianesimo con Costantino diventò religione «ufficiale» cambiarono le cose?
«Il passaggio dei cristiani da “setta” a religione di Stato non mutò la situazione. Fu nel tardo medioevo che alla condanna morale si aggiunse la giurisprudenza secolare e si discusse se trattare l’omosessualità come un crimine.
Teoricamente anche il lesbismo veniva condannato, ma nei documenti si trovano pochi casi e punti con molta meno severità».
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Si è evoluto il concetto di natura e di ciò che le è contrario nella teologia cattolica?
«Si parte dal dichiarare buona la sessualità e la complementarietà dei sessi, per arrivare progressivamente a dire che la pratica sessuale è lecita solo all’interno del matrimonio».
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Il Concilio di Trento è stato determinante in questo passaggio?
«In parte, perché ha regolato il matrimonio cristiano e la morale sessuale, ma la dottrina sulla omosessualità era fissata già da San Tommaso».
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Il celibato dei preti ha influito sulla omofobia della Chiesa?
«Potrebbe esserci una relazione riflettendo sulla condizione propria dei sacerdoti e sugli ambienti della loro formazione, ma già i Padri della Chiesa predicavano contro l’omosessualità e l’eterosessualità era considerata una delle precondizioni per l’ordinazione».
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Va ovviamente distinta la pedofilia dall’omosessualità.
«Certo, anche se purtroppo ancora si vede confondere i due fenomeni. Un omosessuale è una persona che cerca relazioni alla pari, con adulti».
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La Chiesa cattolica come ha trattato il lesbismo?
«Nei miei studi storici più che altro ho trovato documenti sull’omosessualità maschile, poco su quella femminile, anche perché veniva trattata con meno durezza».
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Ci sono casi documentati?
«Una suora, Benedetta Carlini, badessa in un convento di Pescia (Pistoia), a cavallo tra ‘500 e ‘600, venne condannata e incarcerata perché lesbica, ma anche perché molto amata dai laici della zona, aveva un certo potere invidiato da chi la condannò».
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Come è oggi la situazione nella Chiesa riguardo alle lesbiche?
«Restano molto meno visibili, anche se si sta facendo strada un “teologia lesbica”. In particolare una autrice, Marcella Althaus-Reid, parla di teologia “queer” o “teologia indecente”, perché tratta chiaramente di sessualità: l’autrice, di origine argentina, parte dalla sua esperienza di lesbica, con una identità non rigida, “queer” appunto, per elaborare una teologia della solidarietà della attenzione alle diversità».