L’infinito ha bisogno di noi e non sappiamo perché
Riflessioni bibliche di Luigi T., volontario del Progetto Gionata
Luca 2:1-14: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
«Il segreto non è corteggiare l’infinito / con le parole, ma essere corteggiati / dall’infinito, scoprire che ha bisogno di noi / e non sappiamo perché» (F. Arminio, Fernando e Ophélia).
Ha bisogno di noi, come un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. Succede spesso nell’amore di fare questa scoperta, che ci chiede di ridefinirci.
Lo incontriamo, lo troviamo, ma quando ci siamo dentro, ci accorgiamo che è più difficile, che le relazioni richiedono fatica, che il bel mosaico che ci eravamo costruiti va gettato a terra dal tavolo, via, piazza pulita, e ci si mette a costruire insieme.
Con le ferite tue – che pensavi l’altro avrebbe guarito – e dell’altro. Con le fragilità tue – che pensavi l’altro avrebbe eliminato – e dell’altro. Con i bisogni tuoi – che pensavi l’altro avrebbe saziato, consumismo dei sentimenti – e i bisogni dell’altro. «Scoprire che ha bisogno di noi».
Ma è proprio lì che comincia l’amore. Ed è proprio qui che comincia l’amore, Gesù: quando ti aspetto da una vita, e alla fine scopro che sei tu che hai bisogno di me, «e non sappiamo perché».
Io in fondo li capisco quelli che non credono. Sono come quelli che cambiano storia, cambiano persona, perché non è tutto come se l’erano sognato con precisa regia. Ci vuole troppa fede per credere che il mio destino sia nelle mani di un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. Ci vuole una fede da gigante, da uomo del deserto, da innamorato.
«Ho tanta fede in te. Mi sembra / che saprei aspettare la tua voce / in silenzio, per secoli / di oscurità. / Tu sai tutti i segreti, / come il sole: / potresti far fiorire / i gerani e la zàgara selvaggia / sul fondo delle cave / di pietra, delle prigioni / leggendarie. / Ho tanta fede in te. Son quieta / come l’arabo avvolto / nel barracano bianco, / che ascolta Dio maturargli / l’orzo intorno alla casa» (A. Pozzi, Confidare).