La chiesa cattolica e le persone omosessuali. Il grande tabù
Articolo di Christine Clerc pubblicato sul sito Marianne (Francia) il 19 dicembre 2012, liberamente tradotto da Dino
Sono cattolici, semplici credenti. Sono anche teologi, diaconi o preti. Non fanno rumore. Ma alcuni eccessi nella discussione sul “matrimonio per tutti” rendono ancora più pesante la cappa di piombo sotto la quale vivono. Alcuni preti parlano. E dei vescovi danno loro risposta.
Dopo aver ispezionato il corridoio, ha chiuso con cura la porta per assicurarsi che nessuno potesse ascoltare di nascosto la nostra conversazione. E poi si è seduto voltando le spalle alla finestra ed è stato come un torrente.
A 72 anni, e per la prima volta in questi vent’anni da che lo conosco, fratel S., un domenicano che da molto tempo è investito di grandi responsabilità, nel suo convento nel nord della Francia, mi racconta il suo cammino di omosessuale.
Ci troviamo al terzo giorno della conferenza di Lourdes. I vescovi francesi, annuncia la radio, indicono una crociata contro il “matrimonio per tutti”. Dopo che il cardinale arcivescovo di Lione, Mons. Philippe Barbarin – stimato per il suo linguaggio “giovanile” e il suo far jogging lungo la Saône – ha sollevato lo spauracchio dell’incesto e della poligamia, il cardinale arcivescovo di Parigi, Mons. André Vingt-Trois, stigmatizza “l’imbroglio” che consisterebbe nel far credere ai bambini che sarebbe possibile non nascere da un uomo e da una donna.
Fratel S. spegne la radio: “Parole che non sono degne nemmeno della mia portinaia! Questi ecclesiastici dimostrano la loro totale ignoranza di tutti i lavori pubblicati in trent’anni da psicologi e teologi riconosciuti! Soltanto loro sanno le cose? Ma non è nemmeno così: questa generazione rifiuta di riconoscere ciò che si è. Conta soprattutto non infrangere il grande segreto. Si beve, si cresce, ci si abbatte, ma si tace… Se sapeste per quanti preti sono stato la prima persona a cui avevano il coraggio di confidarsi!”.
Rimane in silenzio. Nel giardino cosparso di foglie morte si allontana una sagoma grigia di religioso in abiti civili. Fratel S., dal profilo che ricorda un Jean Marais invecchiato sul suo collo di maglione a dolcevita grigio, si ricorda dei suoi 30 anni, quando si è “confessato tale”, allora era già monaco: “Un fratello mi ha detto: ‘Il tuo lavoro ti salverà'”. Le sue ricerche infatti l’hanno tenuto occupato settanta ore la settimana. Ma era innamorato: “Il priore mi ha detto: ‘L’importante è che tu non vada a letto in convento…'”. Allora fratel S. ha raddoppiato la sua attività intellettuale.
Insieme a quattro preti e ad un pastore protestante ha partecipato a un gruppo di ricerca del teologo “illuminato” Xavier Thévenot (1938-2004), insigne professore all’Istituto cattolico di Parigi e in molti seminari, ed autore delle prime opere pubblicate in seno alla Chiesa su di un argomento scottante (Mon fils est homosexuel/Mio figlio è omosessuale’ e ‘et Homosexualités masculines et morale chrétienne/Omosessualità maschili e morale cristiana’).
Fino dagli anni ’70 è stato anche uno dei fondatori dell’associazione David et Jonathan (dal nome dei due principi della Bibbia i cui animi “si legarono”), che raggruppa omosessuali cattolici. “All’epoca si trattava di depenalizzare l’omosessualità, un crimine peggiore dell’adulterio!”. Tanti anni a condurre una doppia vita…
“Talvolta un fratello mi diceva: ‘Attento, conosciamo le tue frequentazioni…’ Ed io gli rispondevo: “Chi te ne ha parlato, è lui ad essere così!” È forse il rimorso di non aver saputo scegliere? La sua ferita lo rende provocatore. Ma nonostante ciò fratel S. non è arrivato a auspicare il “matrimonio per tutti”.
“Lei sa qual’è lo scopo del matrimonio?” mi chiede.
-La procreazione…
– No! È la santificazione reciproca degli sposi. Un uomo e una donna che si uniscono, sono l’immagine di Dio. È per questo che rimango reticente: questa immagine del Dio della teologia…”
Niente dunque diventa semplice, al tramonto di una lunga vita di uomo nella Chiesa e fuori dalla Chiesa, quando egli vorrebbe chiarirsi con Dio e con se stesso. Niente, eccetto questa conclusione: “La Chiesa cattolica continuerà a camminare inciampando fintanto che rifiuterà di ordinare sacerdoti sposati e fintanto che i preti non riceveranno una migliore formazione. Oggi infatti essi soffrono di tre carenze: intellettuale, spirituale e anche affettiva.”
“Non mettete a tacere questa voce d’amore!”
Maxime di T., un funzionario unito con PACS con un quadro commerciale, pure lui monaco in passato presso i “Petits Gris”, un ordine fondato nel 1975 da un domenicano molto carismatico, Marie-Dominique Philippe. Il suo noviziato è durato solo quattro anni, ma l’ha segnato profondamente.
Oggi ha 52 anni, e non c’è un solo giorno che non inizi col ricordo delle campane che suonano l’uffizio delle tre del mattino. Vestito di un umile tonaca, ma pervaso dall’orgoglio di appartenere ad un’élite di campioni in filosofia, visse a quei tempi, nel suo priorato in Borgogna, “una vita intensa”.
Vent’anni più tardi, seduto con una camicia a quadri insieme al suo amico davanti al camino della fattoria che hanno rimesso a nuovo nei pressi di Orléans, torna con la mente all’atmosfera silenziosa del monastero, dove “tutto è enfatizzato”: il rumore delle suole di cuoio sulle mattonelle del corridoio, l’odore insopportabile dei fratelli che non si lavano abbastanza, il disgusto dei pasti senza colore e senza carne, e poi gli sguardi, le attenzioni ipocrite…
Molto prima di tagliarsi fuori dal mondo, Maxime si sentiva “attratto dagli uomini”. Ma, in una famiglia come la sua -genitori aristocratici cattolici, cinque tra fratelli e sorelle – questo non poteva essere confessato, nemmeno a se stessi. Perciò ha convissuto con una donna “ma non ha funzionato”.
Un giorno, appena entrato in una cappella per un momento di raccoglimento, gli si presentò la sua “vocazione”. Perché qualche anno dopo avrebbe lasciato i “Petits Gris”? Per motivi di salute. E a causa del “malessere” avvertito accanto ad alcuni compagni e di un priore adulato da tutta la comunità: “Tutti noi avevamo fatto voto di castità, e quanto a me non ho mai mancato ad esso. Ma…”. Mostra una grande foto: una dozzina di giovanotti in tonaca grigia che stanno attorno ad un uomo sorridente con una veste bianca: Giovanni Paolo II.
“Questo qui, dice indicando un ragazzo magro dal viso angelico, il suo compagno è morto di AIDS. E quest’altro, il ragazzo saggio, era sottomesso ad un altro fratello. Quest’altro ancora, quello grande con gli occhiali, pieno di arroganza, ha voluto coercire un novizio…”. Maxime parla di un caso di suicidio.
Quando ha lasciato la vita monastica, si è ritrovato in mezzo alla strada. Soltanto sua sorella l’ha aiutato. Gli altri parenti erano sotto shock: “uno dei miei fratelli aveva lasciato la moglie per un uomo, un nipote amava i ragazzi…”.
Ride senza allegria. “Mi sento sempre un uomo di Dio, tuttavia…”. Niente della vita della Chiesa lo lascia indifferente: nel 1995 quando ha saputo della revoca del vescovo di Evreux, Mons. Gaillot, Maxime ha scritto a Roma: “Non fate tacere questa voce d’amore!”.
Oggi lui e il suo compagno sognano che, se avessero 30 anni, si sposerebbero. “I figli ci sono mancati”. Vivono in armonia da vent’anni. Ma talvolta si direbbe che il vecchio monaco sente sempre il peso del “drappo di piombo”.
La casa sta bruciando!
Come liberarsene quando, da secoli, la paura e il rifiuto dell’omosessualità hanno impregnato la dottrina della Chiesa e sono stati trasmessi di padre in figlio nelle famiglie cattoliche, al punto che, in alcune di esse, fino a vent’anni fa un ragazzo “diverso” non aveva altra via d’uscita che quella di entrare in un ordine religioso?
Per la maggior parte dei cattolici, anche se alcuni teologi tanto stimati, come Xavier Thévenot, hanno dato una nuova interpretazione della famosa “Lettera ai Romani”, San Paolo deve essere preso alla lettera quando parla “dell’abominio di un uomo con un altro uomo”…
Secolo dopo secolo, i testi ufficiali non fanno che rinforzare questa stigmatizzazione. Nell’anno 693 il XVI Concilio di Toledo stabilisce che: “Se un vescovo, un prete o un diacono si rende colpevole di questo peccato, verrà deposto ed esiliato per sempre”. Nel 2005 il Vaticano pubblica questa istruzione: “Nessun omosessuale potrà più essere ammesso al seminario né insegnare a coloro che sono in formazione sia in un seminario che in una congregazione religiosa”.
Perché redigere delle regole che i consiglieri del papa sanno bene che sarà impossibile far rispettare? Ma perché la casa sta bruciando! In quell’anno, da Boston a Vienna e da Dublino a Bruxelles, è esplosa una serie di scandali collegati alla pedofilia. Migliaia di vittime accusano centinaia di preti e di vescovi, in concomitanza con la morte di Giovanni Paolo II.
“Questi abusi, esclama il cardinale Joseph Ratzinger, che gli succede nell’aprile 2005, a 78 anni, con il nome di Benedetto XVI, hanno offuscato la luce del Vangelo ad un punto tale a cui non sono arrivati nemmeno tanti secoli di persecuzione!”.
Certo, è in seno alle famiglie che gli abusi sessuali sui bambini sono più numerosi, e la pedofilia non ha niente a che vedere con l’omosessualità. Ma tanto peggio per chi sperava, al 40° anniversario della fine del Concilio Vaticano II, in un nuovo aggiornamento. Se il polacco Karol Wojtyla si era appoggiato su potenti movimenti reazionari come l’Opus Dei per richiudere le porte di bronzo, il tedesco Ratzinger non vuole più storie legate al sesso.
Il nuovo pontefice accetta la dimissione di un vescovo che era stato il segretario particolare di Paolo VI e di Giovanni Paolo II, e convoca a Roma i responsabili della Chiesa Irlandese: “Voi dovrete rispondere di questi fatti davanti a Dio onnipotente così come davanti ai tribunali!”.
Ma, sull’omosessualità, Ratzinger si attiene alla “Lettera ai vescovi sulla pastorale rivolta alle persone omosessuali” che egli stesso aveva redatto nel 1986 per Giovanni Paolo II: “La sana reazione contro le ingiustizie non può in nessun modo portare ad affermare che il comportamento omosessuale non sia disordinato”.
In un’opera pubblicata nel 2011, ‘Luce del mondo’, nella quale dichiara che “La Chiesa si sottomette ad una specie di purificazione fondamentale” Benedetto XVI scrive: “Non è un segreto,ci sono degli omosessuali anche tra i preti e le suore. Di recente, a Roma, uno scandalo riguardante passioni omosessuali tra preti ha provocato un grande subbuglio. […]
L’omosessualità non è conciliabile con la vocazione al sacerdozio. Poiché, in questo caso, il celibato come rinuncia non ha senso. Si correrebbe un grande rischio se il celibato diventasse un pretesto per far entrare nel clero persone che non possono in ogni caso sposarsi, poiché la loro situazione nei confronti dell’uomo e della donna è in un certo modo perturbata…”.
“Gesù Cristo se ne frega del culo!”
“Perturbata”, “disordinato”… Indubbiamente il papa non prende di mira coloro che rompono il loro voto di castità, ma ferisce gli altri. Così come alcuni ecclesiastici e psicanalisti come Tony Anatrella, prete e autore di un documento pubblicato nel 1996 dalla Conferenza episcopale francese col titolo «Peut-on légitimer l’homosexualité?»/Si può legittimare l’omosessualità?” (1996) hanno seminato altri vocaboli: “immaturità affettiva”, “relazioni impulsive” o “culto di un corpo a pezzi” che aggravano l’omofobia già presente.
Ecco cos’è che spiega il “sentimento di solitudine” di una teologa come Véronique Margron. In una recente opera di cui ha scritto la prefazione (Homosexuels catholiques. Sortir de l’impasse/Omosessuali cattolici. Uscire dal vicolo cieco. Ed. L’Atelier), questa domenicana, docente della facoltà di teologia dell’Università cattolica dell’Ovest ad Angers dal 2004 al 2010, si rammarica e si augura che la Chiesa finalmente riconosca che “coppie omosessuali possono avere una vita etica molto profonda”. Perché queste persone hanno anche “un’anima!”.
L’autore del libro, Claude Besson, fa testimoniare alcune vittime dell’omofobia: Aurélie, un’infermiera di 48 anni, diventata “obesa, sfinita, malata” a forza di “rifiutare la propria realtà”, ha più volte tentato il suicidio. André, 40 anni, sportivo, si fa passare per un seduttore di ragazze… Poiché esiste una “omofobia interiorizzata”. Olivier, 55 anni, sacerdote e insegnante, ha voluto “farla finita” quando ha scoperto la sua “anomalia”.
Incontro con Besson.
Entrato a 23 anni nell’abbazia cistercense di Quemadeuc, in Bretagna, questo alto tipo dall’aspetto di intellettuale sportivo, che riceve in pullover in un modesto ufficio presso la sede dei Fratelli delle Scuole Cristiane, nel VII arrondissement di Parigi, è diventato un “cittadino” responsabile di “fraternità”. Ha creato a Nantes il Gruppo di Riflessione e Condivisione, che da 10 anni lavora “all’accoglienza delle persone omosessuali nella Chiesa cattolica”.
Provocare una presa di coscienza senza dare lezioni di morale, questo è il suo “umile cammino”. E così, quando Besson sente che un prete incita a farsi delle grasse risate a danno degli omosessuali, rimane sconfortato. Ma quando un altro prete viene a colloquio con lui dopo una conferenza per confidargli: “Il suo libro è una risposta alle mie preghiere”, si sente utile.
Claude D., gesuita e insegnante a Lione, circa 60 anni, si occupa anch’egli di questo “lavoro di ascolto”. L’omosessualità nella Chiesa? È un argomento vecchio. “Presso i gesuiti, nel noviziato, si deve sempre stare in tre.
I vescovi guardano i seminaristi con un sospetto di omofobia. Tuttavia, insiste, ci sono dei preti strutturalmente omosessuali che non sono mai passati all’azione concreta e sono dei sacerdoti eccellenti poiché non hanno paura delle donne”. A uno di questi, che si scaglia contro le manifestazioni [contro l’omosessualità] benedette da vescovi, fa notare:
“Tu che non hai mai sbagliato non devi sentirti chiamato in causa!”.
-“È vero, ma mi sento comunque condannato!”.
Nelle confidenze che il gesuita riceve, l’omosessualità è diventata un argomento “ancora più importante, nelle famiglie, che il divorzio: ci sono persone che possono percorrere anche 500 Km per parlarne. In un mondo in cui molti omosessuali si mettono in mostra, essi si sentono ancora più vulnerabili”.
Qualche vescovo tenta anche di “rimettere insieme la famiglia”. Tra questi c’è il vescovo di Nanterre, Mons. Gérard Daucourt. Un forum, pubblicato sul sito di attualità cristiane “La Vie” avente per oggetto “situazioni di sofferenza” ha provocato un gran numero di e-mail in risposta e così, nel mese di giugno, ha organizzato una giornata di marcia e di picnic “con loro [le persone omosessuali] e non solo per loro”, proponendo questa regola: “La sola identità che conta è quella di figli e figlie di Dio”.
Vestito di un abito grigio con un collo bianco da clergyman, Daucourt, con la sua croce di legno sul petto e il suo sguardo pieno di bontà, fa pensare al Mons. Bienvenu che troviamo nei Miserabili.
Il suo vescovado a Nanterre è una grande villa con intelaiatura a tralicci di legno, arredata in modo sommario. E lì ci racconta la giornata di Compiègne. “molti partecipanti hanno detto: ‘È la prima volta che si può parlare'”. Alcuni genitori hanno pianto. Un diacono ha confidato come, alla sepoltura di un amico, aveva saputo che quest’ultimo era omosessuale e ne era rimasto sconvolto.
Domanda: “E se un prete si innamora di un uomo, lei vescovo, cosa gli dice?”. Sorride: “Che un prete si innamori, è umano! Non importa chi è che può sentire attrazione per un uomo o una donna… questo succede anche alle persone sposate. Quando ero superiore in seminario, dicevo ai miei seminaristi: “Non crediate che una buona formazione, e nemmeno la preghiera, vi renda immuni!”.
Riflette. “Ci sono talmente tanti tipi di omosessualità… Alcune si scoprono tardi. Altre, che non sono molto ben definite, hanno bisogno di un aiuto. Ma se un ragazzo entra in seminario dicendo: “Sono un omosessuale praticante”, non deve proseguire. Se un sacerdote viene a dirmi: “Faccio fatica a combattere”, gli rispondo: “Fai quello che puoi”. Ma se mi dice: “Abitualmente pratico l’omosessualità”, qui si pone un problema: io mi faccio carico di aiutare quelli che sono seriamente intenzionati a camminare seguendo Cristo”.
Gli succede di dispiacersi per le espressioni “riportate mille volte dai media” del tale o del talaltro arcivescovo, ma c’è una linea che Mons. Daucourt non trapasserà mai: “Per noi non c’è via di mezzo: un prete deve rispettare il suo voto di castità; e un bambino deve avere per genitori un uomo e una donna”.
Anche se afferma di aderire anch’egli “pienamente alle posizioni delle Conferenza episcopale francese”, la posizione di Mons. Jean-Michel di Falco-Léandri presenta delle sfumature.
A 70 anni, questo anziano fresatore dal fisico da star vestita di nero, che porta sul petto una grande croce d’argento, conosce una specie d’esilio: portavoce della Conferenza episcopale francese aveva intrapreso una carriera verso le alte vette. La sua nomina, avvenuta nel 2003, al vescovato di Gap, una triste casa grigia su un viale che porta all’ospedale, ha messo fine alle sue grandi speranze. Ma non ha impedito all’ispiratore del gruppo vocale di successo Les Prètres di far passare dei messaggi.
Nell’omelia pronunciata per l’ordinazione di un sacerdote e di quattro diaconi, il vescovo parla del “rifiuto di amare che la castità può essere quando essa si preoccupa soprattutto di difendere se stessa in modo freddo e implacabile”. Invita i religiosi ad essere “attenti e ad amare i drogati, gli alcolisti… e gli omosessuali, uomini o donne, che soffrono per lo sguardo impietoso rivolto su di essi da coloro che spesso ne sono coinvolti personalmente [dall’omosessualità] e che pensano di sdoganarsi opprimendoli”.
Di Falco pensa forse a certi prelati? “Chi sa – dice con emozione – se questo gesto di sdegnoso disprezzo non ha ferito qualcuno di voi, non ha ferito Dio, non ha ferito l’amore piuttosto che il peccato della carne, che il momento di smarrimento di un altro?”.
In un brusco gesto di ribellione, Patrick Sanguinetti riassume questi concetti in una frase-chock: “Gesù cristo se ne frega del culo!”. Cinquant’anni, magro, una sensibilità a fior di pelle, Sanguinetti, quadro in una grande industria e professore di diritto, da quattro anni è presidente dell’associazone David et Jonathan, che conta diverse migliaia di aderenti. “La mia guida spirituale – prosegue – mi ha fatto un gran bene quando mi ha detto: ‘Ciò che conta è la qualità del rapporto d’amore. E d’altra parte, nel Vangelo, Gesù non parla di sesso'”.
Allievo in un collegio cattolico a Nizza e scout d’Europa, votato a far la questua per i lebbrosi, Sanguinetti ha 18 anni quando scopre di essere omosessuale. I suoi genitori sono spiazzati, i suoi capi scout inorridiscono, “Come se avessi avuto la lebbra!”.
Sua affermazione abituale: “Nell’associazione David et Jonathan viene privilegiata l’accoglienza, l’ascolto, la condivisione”. Non si apprezza “lo stile Gay Pride”, ma ciò non impedisce di “far festa”, durante i week-end di riflessione, ragazzi e ragazze, in una delle 20 città in cui l’associazione è presente, o all’uscita da riunioni tenute nel quartiere delle Halles a Parigi, nella chiesa Saint-Merri. Dopo un dibattito, è capitato a Patrick di ballare con un giovane prete diocesano. Se lo sapesse il cardinale arcivescovo di Parigi!
Apparentemente André Vingt-Trois tollera questa eccezione parigina [le riunioni in Saint-Merri]. Ma quando degli scalmanati sono venuti a lanciarci uova marce durante la messa, il cardinale non ha reagito”.
Il presidente della Conferenza episcopale francese non ha manifestato disappunto nemmeno quando Le Figaro ha rivelato, in luglio, che l’associazione Torrents de vie, ispirata ad un movimento evangelico, organizzava in Ardèche uno stage di rieducazione proposto in questi termini: “Cercate di essere toccati dall’Eterno nei vostri luoghi nascosti, nella vostra sessualità infranta…”. Si trattava, né più né meno, di “correggere” le “tendenze disordinate”.
Come se l’omosessualità non fosse stata depennata dall’elenco delle malattie mentali fin dal 1990! esclama l’abate Jean D., che esercita la professione di psicologo. Come se si volesse tornare alla lobotomia praticata nel secolo scorso da alcune famiglie borghesi per guarire i loro giovani “invertiti”!
In seguito all’invito di David et Jonathan, 37.000 persone hanno firmato una petizione indirizzata alla Missione Interministeriale di Lotta e Vigilanza contro le Derive Settarie (Miviludes). “Quello che la gente si aspetta, insiste il suo presidente, non è che venga risposto alla violenza verbale con un’altra violenza. Si vuole comprendere perché tra i giovani omosessuali si verifica un numero di suicidi 17 volte maggiore rispetto agli altri, e che responsabilità ha in questo la Chiesa…”.
E se la Chiesa, tenendo conto del progresso delle scienze, riconoscesse finalmente che si può nascere omosessuali così come si può nascere mancini? “La questione del matrimonio omosessuale, avanza il teologo James Alison, diventerebbe allora secondaria”. Figlio di un tory britannico, Alison, conosciuto in Francia per i suoi lavori a partire dalle tesi dell’antropologo cristiano René Girard, ha fatto il suo coming-out a 30 anni, quando era domenicano. Ebbe “lo stato d’animo di ricevere una pugnalata dalla Chiesa” e di perdere “tutto quello che gli era caro”.
Dopo molti anni di depressione, ha compreso che era “il prezzo da pagare per aver detto la verità”. Oggi Alison è professore all’Università gesuita di Belo Horizonte (Brasile) e ostenta “una fede intatta e fortificata”… e un humour devastante. Questo intellettuale dall’aspetto di un Tintin cinquantenne è l’unico prete omosessuale e allegro che io abbia incontrato.
Fa notare che “uno dei segni di attitudine al sacerdozio”, nei seminari che “portano il suggello di Giovanni Paolo II” è “la capacità di dissimulare ciò che si è”.
Quanto ai preti della sua generazione, Alison li compiange e li ammira: “Dopo aver dovuto continuare a vivere durante l’incessante interesse mediatico allo scandalo dei preti pedofili, dopo aver provato scoraggiamento nel sentir affermare che tutto ciò avveniva per colpa degli omosessuali o dei teologi dissidenti, essi devono affrontare delle brutali intimazioni”. Malgrado tutto, vede svilupparsi in essi “una nuova capacità di un discorso onesto”. “Segno di grazia!” dice. Segno anche che il pericolo è grande per la Chiesa cattolica.
A New York, rabbini omosessuali
È la “santa alleanza” delle grandi religioni contro il “matrimonio per tutti”. Quasi negli stessi termini dei vescovi, il presidente del Consiglio Francese del Culto Musulmano (CFCM), Mohammed Moussaoui, e il grande rabbino di Francia, Gilles Bernheim, respingono “l’equiparazione della coppia omosessuale alla coppia eterosessuale – col diritto di adottare e di allevare dei figli, che sarebbe alla fine concesso anche agli omosessuali – col rischio concreto di privare questi bambini di un diritto essenziale, quello di avere un padre e una madre”.
Una piccola voce rompe questa unanimità: Delphine Horvilleur, 38 anni, sposata, madre di tre figli e seconda donna rabbino di Francia (appartenente al Movimento ebraico liberale di Francia). Per lei “il discorso religioso ha un’eccessiva tendenza a manipolare la filosofia e la psicologia, e la voce monolitica maschera molte differenze”. E afferma: “Negli Stati Uniti, nelle scuole rabbiniche, si parla senza complessi di omosessuali e di lesbiche. A New York si vedono molte coppie di rabbini omosessuali.
Di fatto, cos’è che costituisce la norma? In Francia, dove noi rabbini progressisti siamo ancora pochi, l’omosessualità è quasi tabù. Ma i dibattiti fanno evolvere le mentalità. D’altra parte, la pluralità delle voci è un concetto molto caro all’ebraismo: da noi niente papa né vescovi”.
Testo originale: Eglise et homosexualité : le grand secret