L’omosessualita’. Un tema ancora senza risposta
Riflessione di Ermanno Genre tratta dalla prefazione a Cristian Demur – Denis Muller, L’omosessualità. Un dialogo teologico, Claudiana editrice, 1995, pp.5-8
Ermanno Genre, docente di teologia pratica alla Facoltà valdese di teologia in Roma, si interroga sull’omosessualità e sui modi per poterla definire senza lanciare giudizi affrettati e superficiali.
La letteratura oggi disponibile in tema di omosessualità è diventata incontrollabile. L‘accanimento letterario non è però in grado di sciogliere l’enigma dell’omosessualità che resta davanti a noi come fatto perturbante.
Lo stesso concetto di omosessualità è plurale: esiste una varietà di forme di omosessualità, così come esiste una varietà di forme di eterosessualità. E vi è chi sostiene che, fondamentalmente, si può parlare soltanto di «sessualità» nelle sue differenti e molteplici espressioni: ogni sistematizzazione sarebbe, in quanto tale, una forzatura.
La domanda fondamentale su cui si confrontano pareri discordanti resta aperta: si nasce o si diventa omosessuali? L’omosessualità è un fatto «di natura» o «di cultura» (educazione)? Si può parlare di una predisposizione all’omosessualità in analogia con altre predisposizioni? Le nuove ricerche psichiatriche offrono delle ipotesi di interpretazione credibili? Come interagiscono le nuove conoscenze sull’omosessualità nell’interpretazione dei testi biblici? E si potrebbe continuare a porre interrogativi.
La tendenza contemporanea, ormai predominante, legge la realtà omosessuale usando le categorie di condizione e di orientamento omosessuale.
Questi concetti non intendono, ovviamente, cancellare con un colpo di spugna le diverse forme di patologia e di perversione che caratterizzano il mondo omosessuale (come quello eterosessuale); essi sono però il segno di un’inversione di tendenza nell’interpretazione dello status omosessuale in quanto tale.
E a partire da una lettura dell’omosessualità come condizione esistenziale, come elemento costitutivo della persona umana, dunque liberata dal peso di un giudizio morale legato all’idea di peccato, che si cerca di “entrare” oggi in questa delicata questione. Senza nascondere le difficoltà e le implicazioni di natura etica che ne derivano e che esigono ulteriori differenziazioni.
Accettare l’omosessualità come condizione e come orientamento implica un grosso impegno culturale, per eliminare (per quanto possibile) quelle forme di esclusione e di stigmatizzazione ancora forti sia nelle nostre società, sia nelle chiese. E ciò non vuol dire che si debba situare su di uno stesso piano eterosessualità ed omosessualità, quasi fossero due modi equiparabili di vivere la propria sessualità. Io non credo che sia possibile, né che abbia senso, proporre una tale equiparazione. Il dibattito è intenso soprattutto in ambito legislativo.
La questione che si pone può essere così formulata: è possibile abbattere ogni forma di discriminazione nei confronti degli omosessuali e mantenere, al tempo stesso, il criterio dell’alterità come criterio costitutivo ed irrinunciabile della sessualità umana? Questa è la sfida che si pone, sia al singolo individuo che alla società.
Come mantenere il riferimento ad una dimensione simbolica della vita umana, che non può che essere fondata sull’eterosessualità, e al tempo stesso superare le discriminazioni verso gli omosessuali?
Si possono distinguere, e in quale modo, i diritti generali degli omosessuali dai diritti particolari (coppie legalmente riconosciute, adozioni, inseminazione artificiale per le lesbiche, benedizione ecclesiastica), senza che questa distinzione, che rappresenta un limite, venga recepita come discriminazione? La questione è delicata e assolutamente aperta.
Il Parlamento europeo ha recentemente invitato (non senza suscitare forti reazioni) i paesi-membro a legiferare in modo tale da porre fine ad ogni forma di discriminazione, riconoscendo alle coppie omosessuali i diritti sociali di cui godono le coppie eterosessuali.
Personalmente mi sento in sintonia con questa iniziativa del Parlamento europeo, proprio per il fatto che non ha voluto entrare, intenzionalmente, nel merito delle questioni particolari che restano di competenza esclusiva dei singoli paesi e dèi loro Parlamenti.
Le Chiese hanno dunque la possibilità di dire la loro. Ma, come è noto, anche su questo tema esse sono divise, una divisione trasversale, profonda, che tocca sia l’interpretazione delle Scritture, sia la loro comprensione dell’etica. Dunque: come interpretare oggi le Scritture senza distorcerne l’intenzione? E possibile correggere dei giudizi morali nati in un determinato tipo di cultura ed identificati con la volontà di Dio fuori dal tempo e dallo spazio?
Sin da queste prime considerazioni ci si rende conto che ogni lettura ed interpretazione dell’omosessualità ha a che fare con un metodo di indagine e con un’ermeneutica. La domanda: da dove partire? e, stabilito il punto di partenza, “come” condurre la propria indagine? non è questione secondaria o neutrale. Effettivamente il “come” può, in una certa misura, anticipare il proprio punto di arrivo.
Il metodo di indagine e l’ermeneutica proposti non sono già, essi stessi, almeno in parte, inficiati da presupposti di ordine non-scientifico e interessati al verdetto conclusivo? Non è questo ciò che spesso leggiamo in diversi libri ed articoli sul tema dell’omosessualità come su altri problemi di ordine etico? Talvolta la stessa Bibbia è utilizzata, consapevolmente o inconsapevolmente, in questo modo.
Affrontando la questione dell’omosessualità, ma possiamo dire più in generale il tema della sessualità umana, ci troviamo, volenti-nolenti, in un campo magnetico in cui operano diverse forze, la cui origine e le cui manifestazioni sono spesso incontrollabili anche da un punto di vista scientifico. Di questo dobbiamo essere consapevoli, per esercitare un giudizio critico innanzitutto verso noi stessi e verso la posizione che sosteniamo.