Ma per le persone gay la porta del seminario resta chiusa?
Riflessioni di Paolo Spina*
Il 9 gennaio 2025 è entrata in vigore la Ratio nationalis, il documento che norma il percorso dei seminaristi italiani (La formazione dei presbiteri nelle Chiese in Italia – Orientamenti e norme per i seminari).
Esso presenta l’iter formativo dei futuri preti, elencando alcune novità nell’articolazione delle tappe di questo percorso, oltre a proporre approcci di pastorale vocazionale e di accompagnamento vocazionale di giovani e adulti.
Lo scorro abbastanza velocemente, ripensando al documento della Congregazione per il Clero “Il dono della vocazione presbiterale” (2016). Allora mi approcciavo con sentimenti ben diversi, nella situazione di chi era posto in certo senso “sotto esame” da queste norme.
Arrivo al paragrafo 44 e trovo puntualmente citate righe ben note, tali e quali a dieci anni fa: «In relazione alle persone con tendenze omosessuali che si accostano ai Seminari, o che scoprono nel corso della formazione tale situazione, in coerenza con il proprio Magistero, la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay. Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne».
Fatico a definire i sentimenti che provo mentre leggo queste parole, proposte (imposte) oggi come allora. C’è l’amarezza di chi attende una sensibilità maggiore, senza pregiudizi e illuminata da contributi psicologici intellettualmente onesti; c’è la rabbia di chi vede, per l’ennesima volta, l’utilizzo di terminologie erronee e fuorvianti, in documenti ufficiali redatti da chi non intende sforzarsi di recepire i progressi nella conoscenza e nel linguaggio riferiti agli orientamenti sessuali e affettivi; c’è la tristezza di chi intuisce la paura e la disperazione di quanti più o meno giovani avvertono il desiderio di spendersi in un cammino ministeriale a servizio del popolo di Dio, e vedono la loro dedizione alla mercé dell’attuale miopia normativa, in balia della discrezione di formatori e vescovi.
Per amor di verità, il paragrafo 44 del documento attuale così continua: “Nel processo formativo, quando si fa riferimento a tendenze omosessuali, è anche opportuno non ridurre il discernimento solo a tale aspetto, ma, così come per ogni candidato, coglierne il significato nel quadro globale della personalità del giovane, affinché, conoscendosi e integrando gli obiettivi propri della vocazione umana e presbiterale, giunga a un’armonia generale”.
È capitale mettere nero su bianco che il discernimento non si deve ridurre al solo orientamento sessuale – ancora una volta definito ‘tendenza’! – ma questa affermazione perde completamente valore nel momento in cui, appena prima, si cita testualmente la Ratio del 2016, che definisce gli uomini omosessuali non solo come inadatti al ministero presbiterale, ma incapaci di relazionarsi in modo appropriato con persone del proprio e dell’altro sesso!
Sono passati quasi dieci anni da quella porta che per me fu chiusa in una buia sera di novembre, nella quale in pochi minuti sono passato dall’essere il seminarista perfetto alla persona non gradita in quanto dichiaratamente omosessuale.
Sognavo – e continuo a sognare – una Chiesa dove ci si riconosce discepole e discepoli dall’amore che si ha gli uni per le altre, nel nome di quel Maestro che disse: Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi (Gv 8,32).
Per questo immaginavo che la trasparente e serena accettazione del mio orientamento sessuale non solo sarebbe stata accettata e compresa, ma riconosciuta come segno di maturo e onesto discernimento.
Così non avvenne; oggi sono un marito e un battezzato felice, grato a Dio per avermi visitato e colmato la mia vita di un amore che non conoscevo, e che ho imparato e sto imparando insieme a Domenico, ma non posso e non voglio dimenticare la mia storia, perché credo fermamente che Dio non mi abbia preso in giro, come non scherzi con coloro che avvertono il desiderio di servire la Chiesa come presbiteri.
Non solo per me, quanto più per loro – uomini e donne – non mi stancherò di alzare la voce con forza: non con la pretesa di chi rivendica un diritto, ma esigendo una più radicale fedeltà al messaggio del Vangelo, perché chi è investito del ruolo di discernere riconosca la preziosità dei doni che lo Spirito Santo non si stanca di seminare in ogni figlia e figlio di Dio.
Se le porte sante sono le uniche a essere spalancate in questo anno giubilare, temo non stiamo cogliendo la portata liberante e profetica dell’insegnamento di Gesù.
*Paolo Spina è un medico, appassionato di Sacra Scrittura e teologia femminista e queer, che collabora con il Progetto Cristiani LGBT+ e con La tenda di Gionata scrivendo su temi di attualità e cristianesimo.