Matrimoni gay in Australia, perché no? L’opinione “laica” di due vescovi cattolici
Articolo di Ludovica Eugenio pubblicato sul settimanale Adista Notizie n°33 del 30 settembre 2017, pagg.11-12
Mentre impazza la polemica, quanto mai aspra, intorno alla vicenda della rappresaglia della destra cattolica contro il gesuita p. James Martin e il suo libro sul rapporto tra Chiesa e persone Lgbt, dall’altra parte del globo, in Australia, c’è chi, nella Chiesa istituzionale, sul tema Lgbt fa un rilevante passo in avanti.
Nell’ambito del dibattito politico nazionale sul matrimonio omosessuale (un questionario inviato per posta ai cittadini, insieme ad ampio materiale informativo, pone la domanda secca: “sì” o “no” al progetto di matrimonio omosessuale, che finora, in varie forme, è stato bocciato 22 volte in Parlamento), il vescovo di Parramatta mons. Vincent Long Van Nguyen e quello di Maitland-Newcastle mons. Bill Wright si sono pronunciati con grande apertura sul tema.
Il primo, in una lettera pastorale, ha chiesto ai fedeli di «ascoltare ciò che lo Spirito sta dicendo attraverso i segni dei tempi», esercitando un profondo discernimento. «Purtroppo – scrive il vescovo – la Chiesa non è stata sempre un luogo dove le persone Lgbt si siano sentiti acclti, accettati e amati. Perciò, a prescindere dal risultato del questionario, dobbiamo impegnarci nel compito di aiutare i fratelli e le sorelle Lgbt ad affermare la loro dignità e ad accompagnarli nel nostro cammino comune verso la pienezza della vita e dell’amore in Dio». In questo contesto, ciò che è richiesto ai cattolici, «in linea con la tradizione della Chiesa», è di «agire secondo coscienza, accertandosi di essere informati nel momento in cui esercitano i propri diritti democratici nel rispondere al questionario».
Mons. Bill Wright, in un articolo sul giornale diocesano, afferma dal canto suo che «in una società in cui le relazioni omosessuali sono legalizzate e le coppie gay possono adottare e crescere dei figli, è una sorta di anomalia giuridica il fatto che la loro relazione in sé non abbia un chiaro status legale». La Chiesa, puntualizza, «non può riconoscere un’unione omosessuale come matrimonio, se non nell’accezione limitata di “matrimonio secondo la legge australiana”. Ma questo si può dire di tanti matrimoni, come i secondi matrimoni di divorziati, i matrimoni “finché siamo felici o finché dura”, i matrimoni “de facto” e i matrimoni di coppie che non intendono avere figli. La Chiesa non li considera matrimoni validi, ma non si fa scrupoli sul fatto che lo Stato dia ad essi uno status civile legale».
Il vescovo Wright è molto laico: «La questione su qualsiasi progetto di legge non è se sia compatibile con l’insegnamento della Chiesa o un ideale morale, ma se sia una norma pratica efficace per le persone che vivono in questa società in questo momento». E certamente, ai fini dell’armonia di una società, da un punto di vista giuridico, fa bene «che le coppie gay abbiano un posto in strutture riconosciute». E di fronte alle forti preoccupazioni dei “colleghi” vescovi che pensano alle conseguenze sociali di un “sì” al matrimonio gay (specialmente riguardo al ruolo della famiglia tradizionale), Wright considera che si tratta di preoccupazioni legittime, ma che per ora bisogna pensare a informarsi bene, a discutere, confrontarsi, pregare e poi votare. «Guardate al di là degli slogan e degli aneddoti della campagna, votate per ciò che ritenete sia meglio per la nostra comunità australiana ora e per le generazioni future. E accettiamo il fatto che le persone di buona volontà possano in buona fede non essere d’accordo».