Mio figlio è omosessuale! Una madre si chiede ”Cosa fare?”
Lettera con risposta della teologa Adriana Zarri tratta dal Bollettino de Il Guado n.68, 1999
Gentile Adriana, sono una mamma angosciata che chiede a te una parola di conforto e un consiglio. Per via indiretta, attraverso alcuni amici, sono venuta a conoscenza di una realtà terribile: mio figlio è omosessuale.
Lui non sa che io so e io mi pongo tanti interrogativi. Come comportarmi? Parlargli? Proporgli una cura? E’ possibile guarirlo?
Una madre
La risposta…
Cara Antonietta, forse suo figlio non le parla perché avverte la sua angoscia, fondata su pregiudizi che dovrebbero essere superati. L’omosessualità non è una realtà terribile né, tanto meno, una malattia da curare. Perciò, se dovesse parlargli, si guardi bene dall’indirizzarlo verso ciò che lei chiama “normalità”. La normalità di suo figlio è la sua struttura psicofisica omosessuale: se volesse forzarla, tradirebbe la sua identità.
Ma, per il momento, ogni discorso è prematuro. Prima lei deve superare i pregiudizi che vedono nell’omosessuale un malato, un degenerato. No: l’omosessuale è semplicemente una persona che ha una sessualità diversa da quella numericamente più diffusa. Non per questo è un anormale: la normalità non la si stabilisce in base a calcoli statistici di maggioranza e minoranza. Ciascuno ha la propria normalità che non va stravolta, ma accettata e valorizzata per quella che è.
Suo figlio è una persona che ha pari dignità di un eterosessuale, io conosco splendidi gay, ho, tra di loro amici carissimi di cui apprezzo la sensibilità e la levatura interiore. Quando lei avrà superato i vecchi luoghi comuni e avrà maturato stima e considerazione per questo tipo di sessualità, forse suo figlio lo avvertirà e le parlerà.
Se, invece, non dovesse parlarle non le consiglio di forzarlo. Forse potrebbe prendere il discorso alla lontana, affrontando, con serenità, l’argomento, senza riferimenti personali.
Tenga presente che anche suo figlio potrebbe essere prigioniero dei suoi stessi tabù e nascondere la sua situazione per un senso di vergogna che non ha motivo di essere, ma che è ancora alimentato da una certa cultura. L’omosessuale si sente ancora emarginato, mentre avverte fortissima la necessità di accettarsi e di farsi accettare. L’accettarsi è l’inizio del suo equilibrio. In questo, se riuscirete a parlarvi, lei potrà aiutarlo.
Oltre ai pregiudizi di cui s’è detto, un’altra difficoltà, per i credenti, è costituita dalla posizione della Chiesa che, pur avendo compiuto molti passi in avanti, non è ancora abbastanza aperta. Il riconoscimento della situazione omosessuale può portare a una convivenza e a un rapporto di coppia gay: cosa che pone ancora molti problemi alla gerarchia ecclesiastica.
Se questo anche per voi è una difficoltà, potrete trovare appoggio nei vari gruppi di omosessuali credenti che esistono da varie parti. Vedo, signora Antonietta, che lei abita a Milano dove ci sono almeno due gruppi che fanno un serio discorso di fede: il Guado e la Fonte. Spero di averla rasserenata e auguro a lei e a suo figlio di vivere nella pace, fedeli ciascuno alla propria identità che risponde al disegno di Dio su di voi.
Adriana Zarri, teologa