Mons. Charamsa: “dov’è il cristianesimo in una Chiesa omofoba e sessuofobica?”
Articolo di Eletta Cucuzza pubblicato su Adista Notizie n° 10 del 12 marzo 2016, pp.13-14
«Credo che la Chiesa abbia un problema con la sessualità. Il celibato, prima di tutto, dovrebbe essere una scelta personale e non un’imposizione come è nella Chiesa latina. Io ho presentato alla Chiesa la persona che amo perché non volevo più vivere di nascosto, non ce la facevo più. La Chiesa conosce solo una visione stereotipata e distorta dell’omosessualità, vive questo come qualcosa di sporco e vergognoso ma non è così. Nel clero molti preti sono gay e la condizione di silenzio alla quale si è costretti porta a odiare se stessi. Io mi odiavo, stavo male e non ce la facevo più».
Mons. Krzysztof Charamsa parla alla tre giorni del Tag-Festival di cultura Lgbt che si è svolto a Ferrara dal 27 al 28 febbraio scorso; è il “piatto forte” dell’evento in quanto molto rumore ha fatto il suo coming out il 5 ottobre scorso, durante i lavori del Sinodo sulla famiglia (v. Adista Notizie n. 36/15).
Una tre giorni organizzata per il terzo anno consecutivo da “Circomassimo Arcigay e Arcilesbica Ferrara”, ricca di performance, temi e di interventi fra i quali: il gender (la filosofa Michela Marzano, la teologa ed ex monaca benedettina Selene Zorzi, la giornalista Caterina Coppola); l’omogenitorialità (lo psicoterapeuta Federico Ferrari e la bioeticista Micaela Ghisleni); il bullismo omofobico (con i dati raccolti da una ricerca sul bullismo in Friuli Venezia Giulia); la religione (a partire dalla “Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma” del magistrato Eduardo Savarese) con le parole appunto di Charamsa.
Il sacerdote, per anni segretario aggiunto della Commissione Teologica Internazionale della Congregazione per la Dottrina della Fede, avendo dichiarato di essere coinvolto in una relazione omosessuale, è stato sospeso dal sacerdozio. «Non riuscivo a immaginare la mia vita senza sacerdozio», ha detto il 28 febbraio, «non per nascondermi, ma perché credevo in quel che facevo. Credo però che non eserciterò più visto che, per tornare a svolgere le mie funzioni, mi è stato chiesto di ritirare tutto ciò che avevo detto durante il mio coming out. E non ho intenzione di farlo perché significherebbe “tornare nell’armadio” ma la vita fuori dall’armadio è impagabile e penso che anche la Chiesa avrebbe bisogno di fare coming out».
La Chiesa è omofobica, ha aggiunto, l’omofobia è «un’arma che la Chiesa usa per affermare la propria identità. Il clero ha profondi problemi con le donne e di conseguenza, la Chiesa ha problemi con le donne». E ha continuato: «C’è un complesso nei confronti della femminilità. Prima di essere omofobica la Chiesa è femminofobica. La donna va bene quando ci serve, quando ne abbiamo bisogno, quando è sottomessa perché nel subconscio della mentalità cattolica la donna è un essere inferiore. E il gay è visto ancora peggio». «L’omofobia nella Chiesa non è un problema limitato a qualche prete o a qualche vescovo, è un problema del sistema della Chiesa cattolica come istituzione» (La Nuova Ferrara, 29/2).
Una gerarchia ignorante e non cristiana
Gli stessi temi sono stati affrontati più ampiamente da mons. Charamsa nell’intervista rilasciata a Carlos Osma (della Comunidad Protestants Inclusius Barcelona) è da questi pubblicata nel suo blog in homoprotestantes.blogspot.it. Il sacerdote è convinto che il suo «coming out tocca la coscienza della Chiesa». Per tenere «addormentata la coscienza della Chiesa, la sua gente deve stigmatizzare e screditare un gesto come il mio, concentrandosi per esempio sul celibato, che in questo caso è questione del tutto secondaria e profondamente connessa con la paranoica negazione del sano orientamento sessuale» e va affrontata dopo aver «ripulito la coscienza dalle offese contro gli omosessuali», basandosi su «una serena accettazione della propria identità sessuale».
Ma per ora la Chiesa «è paralizzata dalle emozioni negative di paura anti-gay che bloccano l’uso sereno della ragione». «Sembra che il papa stesso abbia chiuso questa discussione, che sembrava voler aprire all’inizio del suo pontificato». «All’inizio del mio lavoro – racconta – credevo che la Congregazione per la Dottrina della Fede fosse un luogo di riflessione credente e intellettuale, aperta alla verità e allo sviluppo delle conoscenze dell’umanità, ma non è così.
La scoperta della verità è stata per me molto dolorosa. Nell’Inquisizione si chiude qualsiasi discussione seria e oggettiva con la scienza sull’omosessualità seguendo lo spirito classico di una omofobia irrazionale. Mi ha causato una particolare sofferenza scoprire che persone ignoranti dirigono certe politiche che nulla hanno a che vedere con la verità del Vangelo».
«La principale ragione dell’accettazione cieca della discriminazione e dell’omofobia – spiega – è la mentalità cattolica secolare, nutrita dalla falsa interpretazione giudeo-cristiana di alcuni frammenti della Bibbia.
Tale mentalità omofoba legata al sistema machista, patriarcale e misogino è molto forte e la Chiesa cattolica con il suo governo gerarchico non permette di studiare e discutere questi errori del passato. Preferisce che gli errori vadano avanti, anche perché, pensano, è solo una minoranza che ne soffre (le minoranze sessuali). Questo fenomeno – è la sua inequivocabile denuncia – non è né umano, né cristiano, ma solo molto cattolico e vaticano».