Natale diverso, ugualmente Natale
Riflessioni di Massimo Battaglio
Questa notte è la Vigilia più intima e semplice che abbia mai vissuto. Ho ascoltato (partecipato?) la messa di papa Francesco mentre, di là, il ragù pippitiava e gli agnolotti riposavano su un canovaccio per il pranzo di domani. Li ho fatti in un batter d’occhio perché, al suddetto pranzo, non saremo diciotto ma tre. Un Natale diverso.
Non me la sono sentita di andare in parrocchia o a una di queste messe di mezzanotte anticipate. Non mi sembrava giusto. I cinema e i teatri sono chiusi, non c’è musica, non vedo perché noi cattolici dobbiamo conservare il privilegio di riunirci di sera solo perché è usanza. Rimando a domattina. E’ un Natale diverso; prendiamola come un dono.
In compenso, mi sono preso il tempo di riascoltare le “Storie di Speranza” raccolte dagli amici del Progetto Giovani Cristaini LGBT: piccole testimonianze di fede vissute da giovani gay e lesbiche, in forma di video. Bellissime! Ciò che mi colpisce è il loro carattere mistico, nell’accezione migliore del termine, di chi trova del tutto naturale dare del Tu a Dio, parlandoci direttamente e continuamente, come se fosse – e in effetti è – davvero presente.
E l’altra cosa che mi dà gioia è che tutti impostano il loro discorso in modo molto natalizio: sottolineando che la loro è una storia di rinascita e di incarnazione.
Se a me fosse chiesto di raccontare la mia fede, direi cose del tutto diverse. E questo è il terzo motivo di bellezza: scoprire, serenamente, gratuitamente, modalità differenti di vivere la fede pur avendo molto in comune.
A dir la verità, se fosse chiesto a me di parlare della mia fede, avrei da dire molto meno. Perché la fede, come tutti i doni di Dio, non si distribuisce in modo uniforme su tutti e, a me, è stato dato lo stretto indispensabile. Non me ne vergogno perché è Dio che è fatto così: anche in questo, ama la diversità. Del resto, i talenti che ci affida, proprio come nella parabola, sono tutti talmente preziosi che è sciocco disquisire sul più o sul meno. L’importante è non fare una buca in terra ma investirli perché diano frutto.
Se parlassi di quel poco di fede che ho ricevuto, sicuramente non userei termini come “chiamata” o “cammino”. A volte temo addirittura che questo linguaggio tecnico possa urtare. Non direi mai che “il Signore mi ha cercato” perché sì, ha parlato sicuramente anche a me ma, come dice anche Paolo nel suo racconto: “l’ho incontrato soprattutto negli incontri con gli altri”. E aggiungo: a prescindere dalla loro fede.
A me, il Signore ha messo il tarlo della carità; mi ha inculcato il desiderio della giustizia. Sono felice solo quando lo sono anche gli altri. Ma sono contento anche quando apprendo che ad altri è stata donata più fede che a me. Perché così mi ricordo il discorso di Paolo (l’altro, quello santo e scomodo) sul corpo e le membra:
Come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo (…). Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: “Poichè io non sono mano, non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: “Poichè io non sono occhio, non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito, dove l’odorato? Invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto (…).
Non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; nè la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”. Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e (le) parti del corpo che riteniamo (…) indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perchè non vi fosse disunione nel corpo ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte (1Cor 12,12-27)
Sembra di vedere le nostre vite, in questo discorso. Spesso noi ci sentiamo proprio così: “queer”, strani, stravaganti. Ci identifichiamo in quelle membra che tanti reputano ancora disonorevoli. Ed è proprio bello sapere che Dio si occupa principalmente di quelli come noi.
D’altra parte, in questo Natale diverso, l’annuncio arriva sempre ai pastori; mica ai sacerdoti, ai farisei e agli scribi. Devo dire che non mi dispiacerebbe se, qualche volta, arrivasse anche a loro. Vedere qualche monsignore che riscopre la fede o qualche politico presepista che si lascia stravolgere dal Bambino del presepe, sarebbe davvero bello. Ma fa lo stesso: forse, a qualcosa, servono anche loro. Chissà.
Ho un sacco di amici che somigliano ai pastori: gente che non sa di religione o che proprio la detesta ma che l’angelo chiama “uomini di buona volontà” (o “amati dal Signore”, come si dice adesso). E vorrei dedicare questo Natale diverso a loro: a chi vive la fede senza saperlo, spera nel privato del suo cuore e opera la carità chiamandola magari con altri nomi.
Credo che Gesù non ci chieda di avere una fede da spostare le montagne ma piuttosto una fede accessibile (come quella delle Storie di Speranza), che serva ad amarci un po’ di più. Per il resto, c’è lui, che, anche quest’anno, è nato per (tutti) noi.