Nella chiesa cattolica non possiamo abbandonare le persone transgender
Riflessioni di padre Bryan Massingale* pubblicate sul mensile cattolico U.S. Catholic (Stati Uniti), vol. 81, n.8, pag.8, dell’agosto 2016. Liberamente tradotte dai volontari del progetto Gionata.
Nel febbraio 2026 ho partecipato a una tavola rotonda sui cattolici transgender durante il Congresso di Educazione Religiosa di Los Angeles, intitolata “Transgender in the Church: One Bread, One Body” (Transgender nella Chiesa: un solo pane, un solo corpo). Quasi 800 persone hanno assistito a questa sessione, segno evidente dell’intenso interesse che questa questione suscita sia nella nostra società che nella Chiesa.
I relatori principali erano un giovane uomo e una giovane donna, Mateo e Anna. Le loro storie intense e commoventi raccontavano la difficoltà nel riconoscere la profonda dissonanza tra il corpo con cui erano nati e la loro identità più intima come uomo o donna.
Sono rimasto profondamente colpito dal modo in cui hanno descritto la loro “transizione” verso il proprio corpo transgender anche come un percorso di fede. Mi ha emozionato sentire che, accettando la loro autentica identità di genere, avevano sperimentato un rapporto più profondo e sincero con Dio. Ascoltare le loro storie di sofferenza e di vittoria è stato uno dei momenti più significativi nei miei 33 anni di sacerdozio.
Il mio breve intervento si è concentrato sulla domanda: «Perché sono qui?». Una domanda che mi hanno posto amici e familiari, chiedendosi perché volessi «mettere in gioco la mia reputazione» associandomi a un gruppo così stigmatizzato. Qualcuno mi ha detto: «Non ti metti già abbastanza nei guai parlando di razzismo? Perché vuoi affrontare anche questo?».
Lo spazio qui non è sufficiente per riportare tutta la mia risposta. Ma uno dei motivi principali della mia presenza è che ho molto da imparare. Per essere sincero, ho partecipato alla tavola rotonda proprio a causa della mia ignoranza e del mio disagio.
I temi transgender non sono mai stati trattati né durante i miei corsi di teologia morale in seminario né durante gli studi avanzati di etica cristiana. Io – come la maggior parte dei sacerdoti- non sono stato formato per offrire un ministero specifico alle persone transgender presenti nelle nostre parrocchie o alle preoccupazioni delle loro famiglie.
La mia ignoranza personale riflette l’ignoranza più ampia della Chiesa cattolica. C’è ancora molto che non comprendiamo di quella che tecnicamente viene chiamata “disforia di genere“, cioè la mancanza di congruenza tra il corpo fisico e l’identità di genere. Questa ignoranza genera paura, e la paura è alla radice delle polemiche nelle cosiddette “guerre dei bagni“.
E qui sta una delle grandi sfide che le persone transgender affrontano e che la comunità di fede deve riconoscere: la tendenza umana ad avere paura e a sentirsi a disagio di fronte a ciò che non comprendiamo. È più semplice ridicolizzare e attaccare le persone che non capiamo piuttosto che trovare la pazienza e l’umiltà per ascoltare e imparare.
Ma, nonostante ciò che ancora non sappiamo, sono convinto di questo: Gesù sarebbe presente per, tra e con le persone transgender. Gesù ha trascorso la sua vita mangiando con le persone “sbagliate” della sua società: donne discutibili, lebbrosi, esattori delle tasse e emarginati. Gesù ha protetto una donna sessualmente disonorata dalle pietre lanciate dalle persone religiose. Gesù ha insegnato che saremo giudicati in base alla misura della nostra compassione verso chi è disprezzato e respinto.
La nostra fede cristiana ci insegna che ogni vita è sacra; quindi, nessuna vita ha meno valore di un’altra. È una convinzione semplice, eppure porta con sé implicazioni radicali. Essa sfida la nostra tendenza umana a svalutare ed escludere coloro il cui modo di vivere ci appare estraneo, insolito, sconosciuto o persino sbagliato.
Durante la visita di papa Francesco lo scorso autunno, egli ha ripetuto almeno cinque volte: «Gesù non ci abbandona mai». Questo è il motivo più profondo per cui ho scelto di stare accanto ad Anna e Mateo, che hanno parlato così eloquentemente a nome di tanti nostri fratelli e sorelle cattolici transgender. Gesù non ci abbandona mai. Se diciamo di essere suoi discepoli, non possiamo abbandonarli.
La nostra fede ci insegna che possiamo agire con compassione anche quando non comprendiamo appieno. Ma la fede ci sfida anche su un altro punto: la compassione non è degna di questo nome se la riserviamo soltanto a chi ci fa sentire a nostro agio.
*Padre Bryan Massingale è un sacerdote cattolico e professore di etica teologica alla Fordham University (Stati Uniti), noto per il suo impegno nel campo della giustizia sociale e per il suo contributo alla discussione su razza e sessualità nella Chiesa cattolica.
Testo originale: We Cannot Abandon our Transgender Catholics