Nella Diocesi di Torino per le persone Lgbt una straordinaria pastorale “ordinaria”
Riflessioni di Franco del Tavolo Diocesano Fede & Omosessualità di Torino
Domenica 2 aprile 2017 presso la Casa di Spiritualità del Cenacolo a Torino si è tenuto a cura del “Tavolo diocesano Fede & Omosessualità” un pomeriggio di ritiro spirituale per persone omosessuali credenti, guidato da don Valter Danna vicario generale della Diocesi di Torino, e che si è concluso con la concelebrazione Eucaristica di Don Valter e Don Gianluca Carrega attuale referente per la pastorale con le persone Lgbt. “Quaresima tempo di conversione a Dio” il tema conduttore.
Dopo i fatti legati ai funerali di Franco Perrello (una delle prime unioni civili celebrate a Torino, sindaca Appendino presente; Franco e Gianni si erano sposati dopo 52 anni di vita insieme) e le dichiarazioni rese da Don Gianluca che durante le esequie ha ringraziato pubblicamente gli sposi per la loro ostinazione che, in una prospettiva di fede, prima ancora che politica, indica una Chiesa più accogliente, pareva che in Diocesi fosse calato il sipario sulle attività della pastorale con le persone Lgbt.
Il Vescovo Cesare Nosiglia, sollecitato pubblicamente dalla lettera giunta alla redazione de “La voce del Tempo” (settimanale diocesano) risponde alla signora Antonella Corradi nei termini che ciascuno può valutare.
Seguono i testi pubblicati sul settimanale diocesano di Torino:
Caro Vescovo Cesare, ho notato la grande enfasi che i quotidiani torinesi di domenica scorsa hanno dedicato ai funerali di un anziano, nella parrocchia di Santa Rita. Se ho ben capito la «notizia» consisteva nel fatto che il defunto è stato uno dei primi omosessuali ad essere ammesso nel registro delle «unioni civili», nei mesi scorsi. Invece titoli e articoli si sono dedicati a commentare le «scuse» che la Chiesa dovrebbe fare a queste persone, per la discriminazione e
l’emarginazione cui le ha condannate in questi anni (si parla, negli articoli, di scuse, ma forse il sacerdote che ha celebrato ha solo detto che li si dovrebbe «ringraziare»).
So bene che la nostra epoca è segnata dal clamore delle «minoranze», e che il principale «diritto» che ciascuna di esse rivendica è quello (legittimo) di essere ascoltati e riconosciuti. Ma non posso togliermi di dosso l’impressione che – siano i giornalisti, i loro padroni editori o le minoranze stesse – ormai la cronaca sia diventata un inseguirsi di rivendicazioni, in cui tutti esigono scuse da qualcun altro o da tutti gli altri (e prima di tutto dalla Chiesa, naturalmente!). Ho il massimo rispetto del dolore per la morte di una persona cara: ma quanti sono i padri e le madri di famiglia, i nonni che muoiono ogni giorno, dopo esistenze condotte nel silenzio e nella dignità? Quante sono le persone che passano la vita a cercare di amarsi e rispettarsi, senza sentire il bisogno di finire sui giornali? E ancora: i processi si celebrano nei tribunali, e i peccati si assolvono in Chiesa – non in tv o sui social. O forse anche qui le regole sono cambiate e non me ne sono accorta?
Antonella CORRADI
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Cara Signora Antonella, le regole non sono cambiate. Ma comprendo in pieno le ragioni del suo disagio, che è di tanti e non solo fra fedeli. Il matrimonio rimane un sacramento; i funerali continuano ad essere momenti in cui la comunità cristiana si riunisce per pregare, celebrare la fede nel Signore morto e risorto, e non per fare comizi (né, tanto meno, per dare occasione che i comizi li faccia qualcun altro). Viviamo immersi in una strumentalizzazione mediatica che ci sta sempre più stretta perché, invece di aiutarci a ragionare, mette in un solo calderone emozioni e sentimenti, norme di legge e vita di fede. E che ci serve ogni giorno sempre lo stesso piatto: una polemica in salsa rosa piccante, in cui rischia di esserci di tutto meno che la corretta informazione sui fatti avvenuti e le parole pronunciate.
Lei ha ragione nel sottolineare che don Gian Luca Carrega – come si evince dalla sua Omelia – non ha detto quanto i giornali polemicamente hanno riportato, frasi di condanna della Chiesa, di necessità che chieda scusa o contro questo o quel rappresentante della gerarchia. Ha espresso invece gratitudine ai cristiani presenti, anche omossessuali, per il loro desiderio di vivere la fede nella Chiesa.
Nel nostro tempo la Chiesa sta compiendo grandi sforzi per individuare e perseguire cammini di ascolto, accoglienza, discernimento e accompagnamento spirituale, con le persone omosessuali che desiderano approfondire la loro situazione alla luce della fede. Queste esperienze, pur con tutte le fatiche e contraddizioni, sono in atto da tempo anche nella nostra diocesi di Torino, e il magistero di papa Francesco ha indubbiamente dato una forte spinta affinché le comunità cristiane prendano seriamente in carico anche questo tema. È tuttavia doveroso che il dialogo e l’incontro si svolgano nella verità del
confronto con la Parola di Dio e con il Magistero della Chiesa.
Il recente Sinodo dei vescovi e la Lettera apostolica «Amoris Laetitia» del Papa hanno ribadito che non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia composta di uomo e donna e dei loro figli, centro e motore della società. L‘«Amoris Laetitia» afferma anche che ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e in particolare ogni forma di aggressione e violenza.
Per cui occorre un sereno accompagnamento affinché coloro che manifestano la tendenza omossessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita.
Entrambe le vie sono quelle che la Chiesa di Torino intende percorrere. Personalmente credo che queste due vie complementari realizzino il motto del mio episcopato: la Carità gode nello stare insieme alla verità; e la verità gode nella stare insieme alla Carità.
Per questo a coloro che hanno manifestato la loro giusta riprovazione e rincrescimento circa quanto i giornali hanno riferito del funerale di sabato scorso, dico: la Chiesa di Torino continuerà a sostenere in ogni modo l’istituto del matrimonio e ad annunciare il vangelo della famiglia secondo quanto la Parola di Dio e il Magistero ci indicano, in continuità con la tradizione bimillenaria della Chiesa.
A coloro che invece si sono rallegrati della apertura della Chiesa verso le persone omossessuali dico: la Chiesa di Torino continuerà a promuovere con saggezza ed equilibrio i suoi percorsi di accoglienza e di accompagnamento per le persone omossessuali che lo desiderano, ma anche per ogni altra persona che vive situazioni particolari di vita coniugale come sono i separati, conviventi, divorziati e divorziati risposati e tante famiglie e singoli che subiscono condizioni di povertà o ingiuste disuguaglianze sul piano sociale, per non escludere nessuno e sostenere tutti sulla via del Vangelo, all’incontro con il Signore, e sperimentare la tenerezza materna della Chiesa, a cui ci ha invitato con forza papa Francesco nella sua visita tra noi.
+ Cesare NOSIGLIA – Arcivescovo di Torino
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Sappiamo che un Vescovo ha dei doveri in quanto a guida ed indirizzo della comunità tutta che gli è affidata. Per questo come Lgbt credenti non auspichiamo scandali o divisioni entro la comunità. Nessuno vorrebbe favoritismi, maldicenze, incomprensioni. Le ragioni della fede ci impongono di guardare al bene di tutti. Questo principio ci lascerà anche la libertà e il rischio, perché non si possono separare, di dire qualche parola che necessariamente, prima di anelare all’universalità della condizione umana, dia voce a quella condizione specifica. Non per significarne la eccezionalità ma perché, se l’esistenza di tutte e di tutti fosse mai segnata da una intima e personale ricerca di senso, non potrà che essere così.
Allora occorre farsi qualche domanda sui fatti e sugli antefatti. Se per qualcuno in Diocesi seppellire un gay dichiarato e unito civilmente al suo compagno dopo 52 anni di vita insieme solleva commenti come quelli della signora Antonella che invitano al silenzio e alla dignità vuole dire che alcune cose non sono ancora state sufficientemente masticate e digerite. Il che non significa che la signora non possa esprimere il suo pensiero.
Rispettabile il suo punto di vista: in fondo parrebbe dire solo: che cosa hanno di speciale gli omosessuali perché chiedono, rivendicano, vogliono attenzioni che appaiono (o possono apparire) come inopportune? La risposta, la signora, non la conosce semplicemente perché non è omosessuale, il che non è certo una colpa. Tuttavia, anche a volerlo cercare, un tentativo di capire le ragioni dell’altro non traspare dalla sua lettera come di certo non vi è dubbio alcuno che nell’evenienza dovesse seppellire il marito, a lei, certi problemi non toccherebbero.
Il nocciolo della questione in fondo è tutto lì. Quello che non si può più accettare è un generico richiamo all’ordine privo di fondamenti, come se nell’ordine vi fosse la ragione suprema di un’esistenza e – peggio ancora – ragioni a sufficienza per mettere a tacere qualche animo esacerbato da qualche secolo di intolleranza e discriminazione.
Le regole che invoca la signora, alla fine garantiscono quelli già garantiti, e che – scusate- non vorrebbero essere disturbati. Saro distratto io più di lei ma se l’Arcivescovo di Torino ha ragioni da vendere, sul primato della coscienza non ci possono essere grandi margini di negoziazione, è così per ogni Cristiano che in quel luogo sacro ritrova l’essenzialità.
Dopo questo preambolo, fatto per rimettere in ordine gli avvenimenti, il Tavolo diocesano di lavoro Fede e Omosessualità, non mi pare sia stato sciolto o privato della sua possibilità di fare delle proposte.
Credo sia importante essere consapevoli del clima culturale entro il quale ci si muove e, qui a Torino, mi pare di potere affermare che coloro che prendono pubblicamente la parola in ambito cattolico sulle tematiche di cui ci andiamo ad occupare appartengono di più alla frangia conservatrice che a quella progressista.
Non so dire se i moderati e i riformatori siano scappati dalle file del cattolicesimo e siano rimasti solo i più tradizionalisti. Registro solo che, in più occasioni, quelli che scrivono con una certa enfasi appartengono a quest’area di pensiero. Silvana De Mari, altra sedicente paladina del cattolicesimo ultra ortodosso, le cui
dichiarazioni e prese di posizione pubbliche sono al vaglio degli inquirenti – essendo stata denunciata dal Coordinamento Torino Pride per incitamento all’odio (verso le persone Lgbt) – lavora e opera come psicologa nella nostra città.
Non sono così addentro alle questioni dell’Arcivescovado, tuttavia un dubbio mi viene. Se di fronte ad episodi veramente imbarazzanti come quello della De Mari nessuno sente il bisogno di scrivere due righe per prendere le distanze da chi assurge a rappresentante del cattolicesimo e dei suoi valori sarà certamente perché si confida nel lavoro degli inquirenti, e va benissimo. Sarà anche perché quell’area di pensiero tradizionalista e che oppone una certa qual resistenza allo sdoganamento della questione Lgbt in ambito ecclesiale e sociale è presente nella Chiesa Torinese e per questo, chi guida la diocesi, non può non tenerne conto? La lettera di Nosiglia sembra presentare il
conto ai giornalisti che hanno reinterpretato alcune cose a loro uso e consumo e tenta di dire che c’è posto per tutti. Con dei chiari distinguo che tengono conto della tradizione bimillenaria della Chiesa e di qualche ventata di rinnovamento piuttosto contemporaneo ma che pare stare a cuore al Pontefice in carica.
Ora la scommessa credo sia sempre quella: l’Arcivescovo scrive di percorsi di accompagnamento che sono ancora in odore di particolarismo.
Il Pastore guarda a queste situazioni come a qualche cosa di esistenzialmente straordinario e l’approccio, pertanto, deve essere di quel tenore. Noi Lgbt credenti siamo sempre più convinti che l’approccio vada rivisto in nuce se vogliamo fare qualche passo avanti. L’attenzione verso le tematiche Lgbt e l’integrazione delle persone Lgbt nella Chiesa richiedono una preparazione e uno studio particolare, laddove particolare significa specifico e nulla di più.
Per il resto le persone Lgbt potrebbero e dovrebbero essere partecipi e protagonisti di esperienze del tutto “ordinarie” parlando di esperienze e di vita ecclesiale perché un ritiro spirituale rimane un ritiro spirituale, così come una meditazione biblica e quant’altro. Non c’è il Signore degli omosessuali, non c’è mai stato per fortuna. Credo ci siano sempre e solo stati una misericordia e un annuncio che non sono negati a nessuno, nemmeno alle persone Lgbt.
La predicazione di Don Valter durante il ritiro (Quaresima tempo di conversione) ha puntato dritto sui temi della conversione come atteggiamento orientato all’accoglienza della misericordia. Ha ricordato che l’annuncio è stato rivolto in particolare per coloro che portano pesanti fardelli e che la prospettiva della liberazione ha una duplice valenza: dare un significato alla tribolazione quando ci fosse e non svendere la speranza di fronte ad un fallimento.
In questo senso il richiamo alla parabola del figlio prodigo ha offerto lo sguardo di un Padre scandaloso: di fronte al fallimento di un figlio propone una festa. Fa festa perché quel figlio è stato amato prima ancora della sua conversione. E il figlio fedele si sente sminuito perché ha sempre osservato le regole non ha mai dato grattacapi al Padre e per lui il capretto non è stato ucciso. A poco vale che il Padre replichi “tu sei sempre con me” il figlio fedele vuole essere riconosciuto come tale. E qui la distanza fra lo sguardo del Padre buono e quello dei figli che sono più cottimisti dell’amore (tanto ho dato tanto vorrei ricevere in cambio) riporta tutti quanti ad una realtà spesso condivisa ma non sufficientemente presente e condivisa: chi dice di aver capito Dio dovrebbe anche sapere che Lui è già un passo oltre noi. In questo senso la Teologia definitiva non ci dovrebbe spaventare.
La Chiesa dovrebbe restare una comunità di peccatori redenti. Il Dio della misericordia rivela il suo progetto su ciascuno di noi nonostante la nostra confusione e nonostante i limiti del peccato oggettivo.
L’invito rivolto a tutti i partecipanti: non soccombete di fronte al senso della colpa e al senso del peccato. Accogliamo tutti l’invito alla conversione e a vivere una esistenza piena e ricca.