Noi cattolici LGBT e le sfide pastorali sulla famiglia
Lettera aperta ai Vescovi di alcuni gruppi cattolici LGBT brasiliani in risposta alle domande del Sinodo 2014, diffusa il 6 dicembre 2013, liberamente tradotta da Mauro F.
Cari vescovi, per quanto ne sappiamo, questa è la prima volta nella storia in cui tutti i fedeli, compresi noi cattolici LGBT, sono chiamati ad esprimersi in merito a questioni tanto importanti per il futuro della Chiesa.
Chi vi scrive, sebbene lungi dal volersi arrogare il diritto di parlare a nome di svariate persone, è onorato del vostro invito e desidererebbe quantomeno tentare di dare una risposta valida.
Naturalmente non abbiamo sufficiente esperienza per rispondere a molti degli interrogativi presenti nella consultazione, pertanto considereremo solo quelli che ci riguardano in prima persona. Prima di iniziare, tuttavia, vorremmo commentare brevemente quattro punti, o temi fondamentali, che ricorrono lungo il documento.
Il primo punto riguarda proprio il termine Famiglia. Ci teniamo a chiarire che noi persone LGBT, in quanto figli e figlie di Dio, siamo nate all’interno di famiglie, seppure di diversi tipi. Tutti noi cerchiamo di vivere in una famiglia, sia essa biologica o di elezione. Come cattolici, sappiamo che Nostro Signore ha sempre preferito e continua a preferire quella di elezione.
Ciò significa che il discorso cattolico sulla famiglia ci tocca intimamente, soprattutto perché nelle nostre orecchie echeggiano le parole di Gesù: “Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Luca 8:21). Vi sono tra di noi numerose esperienze di vita familiare. Per alcuni, il fatto di essere omosessuali è stato accettato senza problemi da fratelli, genitori, cugini etc. Per altri, è stato, e forse tuttora è causa di grandi sofferenze, o per i parenti più stretti o per sé stessi.
In parole povere, non siamo estranei al dramma di vivere la Fede in famiglia. Per questo non possiamo fare a meno di constatare che fino ad ora la Chiesa ha teso a parlare di famiglia come se noi ne fossimo i nemici e risultassimo in qualche modo ostili alla sua stessa sopravvivenza. Sia ben chiaro: nessuna dinamica interna alla famiglia può essere considerata sana se un membro della suddetta è trattato come pecora nera (o rosa).
Pertanto, vi chiediamo di smettere di “difendere” la famiglia opponendovi ai diritti e al benessere psicologico e spirituale delle persone LGBT.
Tali “difese” sono tra i modi più antievangelici di intralciare le vite delle famiglie di cui facciamo parte. Quando questi temi sono trattati con onestà, ascolto, pazienza e affetto, tutti risultiamo vincitori.
Il secondo punto riguarda la nozione di Legge Naturale. Sebbene il termine non sia d’uso frequente nei nostri ambienti, la realtà a cui fa riferimento ci è nota. Gli ultimi traguardi nel trattamento rispettoso delle persone LGBT sono stati conseguiti principalmente grazie alla crescente consapevolezza, a livello sia scientifico sia popolare, che noi siamo ciò che siamo, non per qualche difetto o patologia ma semplicemente perché così è.
Di conseguenza, un atteggiamento di rispetto nei nostri confronti deriva da ciò che siamo in verità, come accade per tutti. Non è a dispetto del nostro essere LGBT ma esattamente in quanto persone LGBT che possiamo imboccare la strada verso quella partecipazione attiva, cosciente e permeata dallo Spirito alla volontà di Dio su di noi, il che sta al centro della Legge Naturale
Siccome l’essere LGBT costituisce parte della nostra identità – una parte relativamente minore ma non per questo disprezzabile – imparare cosa significhi, in pratica, essere figli e figlie di Dio rappresenta una bella sfida nel diventare umani. E nell’affrontare la sfida, non siamo immuni dalle occasioni di peccato, o di santificazione, davanti a cui ciascuno prima o poi si trova.
Ciononostante, non possiamo ignorare il fatto che, ogniqualvolta l’autorità ecclesiastica parli di Legge Naturale, essa dia per scontato, senza quasi mettersi in discussione, che noi LGBT restiamo ai margini della questione e dobbiamo essere sempre giudicati negativamente, sulle basi del supposto “disordine oggettivo” delle nostre inclinazioni.
Ora, appare evidente che i meccanismi della corrente versione ecclesiastica della Legge Naturale non sono di fatto compatibili con la realtà delle cose. Pertanto, vi imploriamo di non usare più la Legge Naturale come arma contro le persone LGBT, quanto di dedicare maggiore attenzione a quella dimensione della suddetta Legge consistente nell’imparare in modo empirico ciò che essa è realmente.
É l’unico modo in cui tutti potremo giungere a conoscere intimamente e rispettare il sapiente disegno che il Padre Celeste, creatore di tutte le cose, ha in serbo per ciascuno di noi. Solo così, infatti, sarete in grado di aiutarci a camminare nelle Sue vie.
Il terzo punto concerne il termine Pastorale. Desideriamo ardentemente che vi sia un vero progetto pastorale LGBT qui in Brasile. Sappiamo che solo una pastorale fondata sulla nostra verità di persona può dare buoni frutti. Ciò sottintende un grosso problema, un dilemma: o siamo eterosessuali considerati in qualche modo difettosi, o siamo normali persone LGBT.
Nel primo caso, la pastorale consisterebbe nell’insegnarci a vivere nella più severa continenza sessuale, militando contro ogni riconoscimento della nostra vita di coppia, nella sfera sia civile sia religiosa, e forse spingendosi al punto da proporre terapie finalizzate a “curare” i profondi disordini che ci vengono attribuiti.
Nel secondo caso, la missione pastorale ci aiuterebbe a crescere e progredire nella Fede partendo da ciò che siamo; si focalizzerebbe, tra l’altro, sulla preparazione e la stabilità della nostra vita coniugale e famigliare, inclusa l’adozione di bambini, sul rafforzare la nostra dedizione a chi si trova nel bisogno attraverso il coinvolgimento in progetti sociali; soprattutto, punterebbe a migliorare la vita di molte persone, in particolare quelle provenienti dai gruppi sociali più poveri ed emarginati, che a causa della loro omosessualità patiscono ogni sorta di discriminazione sul lavoro, a scuola, nella sanità, e vengono addirittura buttate fuori di casa dalle stesse famiglie e costrette a prostituirsi per sopravvivere.
Nel frattempo, una disamina della realtà ecclesiale rivela che le nostre autorità religiose non possono permettersi di riconoscere pubblicamente che in tutto ciò vi sia un nocciolo di verità con cui confrontarsi. Anche se, detto in via ufficiosa, molti lo sanno fin troppo bene.
Il risultato che si osserva quotidianamente è un mondo in cui i laici arrivano a comprendere con sempre maggiore facilità l’inesistenza di disordini oggettivi intrinseci alla nostra condizione.
Tuttavia, i membri del clero, sebbene molti siano “della nostra parrocchia”, non riescono ad affrontare l’argomento in modo onesto. E voi, cari vescovi, ancora di meno! Le vostre dichiarazioni su questi temi suonano (perdonateci il paragone) come i comunicati sovietici di un tempo: “noi fingiamo di insegnare, loro fingono di ascoltare”. Tutto ciò rende impossibile una vera ed ufficiale pastorale cattolica LGBT.
Le realtà pastorali che esistono oggi e da cui vi scriviamo questa lettera, sono clandestine, non sono recepite in modo sincero, aperto e fraterno, e normalmente sopravvivono in ambienti ecclesiali che voi per primi non riconoscete.
Chiediamo pertanto, non come istanza puramente accademica, ma come urgente esercizio della responsabilità pastorale, che si trovi un modo pubblico e onesto di portare avanti coraggiosamente con noi un progetto autentico.
Senza la verità, nessuna attività pastorale cattolica è possibile. Avere paura della verità, oltre a rivelarsi inutile, è anche privo di scopo, poiché, come leggiamo nella dichiarazione del Concilio Vaticano II Dignitatis Humanae, al primo punto “la verità non può imporsi se non in forza della verità stessa”.
Il quarto e ultimo punto riguarda l’Evangelizzazione. Abbiamo apprezzato molto il modo in cui Papa Francesco ne ha parlato nell’Evangelii Gaudium, e siamo pienamente concordi nel prendere parte alla nuova evangelizzazione. Infatti, molti di noi e in diverse modalità lo stanno già facendo, proprio come le persone LGBT che vivono la nostra fede in profondità.
Naturalmente, ciò avviene senza alcun sostegno dalla Chiesa istituzionale. Tuttavia, ci siamo sentiti assai incoraggiati quando il Papa, durante la GMG 2013 qui in Brasile, ci ha detto di non preoccuparci più di tanto, giacché voi vescovi vi sareste prima o poi messi alla pari ed avreste scoperto che già stavamo facendo la nostra parte, portando Cristo in varie “periferie esistenziali”.
Ciononostante, vorremmo porre l’accento su qualcosa di molto importante per noi. La scoperta che Dio ci ama per quello che siamo, e che ciascuno di noi è chiamato a sperimentare Gesù quale suo fratello, compartecipando alla nuova famiglia elettiva della Chiesa, fa parte della Buona Novella di Cristo.
Pertanto, fin quando insisterete a considerare ogni movimento a favore della dignità e autenticità delle persone LGBT come antievangelico, invece di discernere gli elementi del Kairos che ci hanno raggiunto e continuano a raggiungerci attraverso tali movimenti, allora la nuova evangelizzazione sarà destinata ad essere una sterile ripetizione, solo un’altra ideologia moralista.
La nostra esperienza in Brasile, già ampiamente condivisa da amici, fratelli e sorelle LGBT di varie nazioni, sia cattolici sia di altre confessioni cristiane, ci porta alla seguente osservazione: le giovani generazioni semplicemente non capiscono per quale motivo arrivare a conoscere Gesù dovrebbe comportare una rappresentazione negativa, che sanno essere falsa, delle persone LGBT al cui fianco esse vivono nel ruolo di amici, fratelli, figli, genitori, vicini e colleghi.
Dunque, per una nuova e vera evangelizzazione, vissuta nello spirito di cui parla Papa Francesco, cogliere la dimensione evangelica della vita delle persone LGBT diventa un obiettivo che non può più essere eluso. Senza questo, le giovani generazioni non vi ascolteranno più.
Avendo discusso in generale i precedenti punti, rispondiamo ora alle domande tratte dalla sezione 5 della Consultazione.
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5. Sulle unioni tra persone dello stesso sesso
a) Esiste una legge nel vostro paese (Brasile) che riconosca le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le equipari in qualche modo al matrimonio tradizionale?
Non esiste una legge del genere. Tuttavia, grazie a Dio, il Tribunale Supremo Federale (TSF) ha parificato le unioni civili tra persone omosessuali al matrimonio civile. In seguito a tale decisione, il Consiglio Nazionale della Giustizia (CNG) ha diramato una delibera normativa e vincolante per tutti gli uffici di anagrafe, che obbliga gli ufficiali di stato civile a registrare sia le unioni civili sia i matrimoni civili tra persone omosessuali in modo del tutto identico alle unioni tra persone eterosessuali. Dunque, sì, abbiamo le unioni civili e i matrimoni civili per coppie omosessuali. b) Qual è l’attitudine delle chiese locali e particolari sia verso lo Stato in quanto promotore delle unioni civili tra persone omosessuali sia verso le persone coinvolte in tali unioni?
Nella nostra esperienza, sia la CEB (Conferenza Episcopale Brasiliana) sia le chiese particolari si sono dimostrate obbedientemente ostili all’introduzione di simili realtà. Tuttavia, i loro toni sono stati meno aggressivi e sdegnosi di quelli dei gruppi neo-pentecostali ed evangelici, che hanno preso l’iniziativa nel contrastare i nostri diritti.
A livello locale, la nuova realtà giuridica non sembra aver causato grossi problemi, e in quanto persone in parte “coinvolte in tali unioni”, non ci è stato riferito né di cattivi trattamenti da parte di parrocchiani né di accoglienze particolarmente gioiose. É chiaro che informazioni accurate a riguardo sono difficili da raccogliere, giacché qualunque atteggiamento di apertura da parte dei cattolici deve per il momento restare clandestino.
c) Quale attenzione pastorale può essere data a persone che hanno scelto di vivere in questo tipo di unioni?
Per questo rinviamo al terzo punto discusso, relativo al termine Pastorale. Cerchiamo di offrire tutta l’attenzione pastorale che possiamo dall’interno del nostro substrato ecclesiale clandestino, ed aspettiamo il giorno in cui, attraverso un dialogo franco ed aperto coi nostri vescovi, potremo riflettere a fondo sulle tipologie più appropriate di benedizioni pubbliche di tali unioni, e ideare percorsi pastorali per sostenere il benessere spirituale e fisico delle persone LGBT in diversi momenti della loro vita.
d) Nel caso di coppie omosessuali che hanno adottato dei bambini, cosa si può fare a livello pastorale alla luce della trasmissione della fede?
C’è poco da fare, almeno finché le autorità religiose si sentiranno obbligate a convincere i bambini adottati da noi omosessuali che le loro famiglie non sono vere e le loro madri o i loro padri sono persone oggettivamente disordinate che si oppongono ai piani di Dio formando unioni caratterizzate da atti intrinsecamente cattivi.
Il giorno in cui riusciremo a oltrepassare queste posizioni, si scoprirà che in fondo non esistono grandi differenze quando si tratta di trasmettere la fede, questione tutt’altro che semplice al giorno d’oggi e indipendente dal fatto che la coppia sia omosessuale o eterosessuale, o se i bambini siano o meno adottati. In ogni caso, aiutare un bambino adottato a superare un profondo senso di abbandono, tenendo conto delle terribili situazioni che molti di loro attraversano prima dell’adozione, è qualcosa che va ben oltre la semplice sfera dell’orientamento sessuale, sia esso dei bambini o dei genitori adottivi.