Noi genitori con un figlio transgender dobbiamo «uscire dalle nostre certezze per avventurarci in territori inesplorati»
Testimonianza di Elena del gruppo Vite Nuove Famiglie Cristiane in Transizione
Una bambina “più che maschiaccio”, così ci è stata presentata la nostra creatura a dieci anni, quando l’abbiamo accolta in affido. Noi eravamo totalmente impreparati a comprendere la dimensione dell’identità di genere, e purtroppo gli specialisti ai quali ci siamo rivolti inizialmente non hanno molto saputo aiutarci: «Bisogna aspettare, è presto per la definizione dell’identità sessuale, si tratta solo dell’immagine con cui si vuole presentare agli altri».
Quanti errori abbiamo fatto e quanto dolore si portava dentro lei/lui. Sul diario aveva scritto: «Sono una bambina che si veste da bambino». Ricordo il disagio per il costume da bagno e il pianto disperato perché, oltre alla camicia e ai pantaloni, voleva comprare un bel gilet per il primo matrimonio a cui l’abbiamo portat*. Ci dicevano di “contenerla”. Ho sempre sperato e aspettato che tirasse fuori quel che sentiva, ma non era facile per lei/lui fidarsi, per il timore di essere rifiutat*.
Poi è arrivata la pubertà e lo sviluppo fisico (contestualmente al COVID!), quelle forme femminili non volute. Se prima era più facile vedersi come neutri o forse maschili, ora diveniva evidente che non poteva più essere così. Nella primavera della seconda media le prime crisi, pensieri brutti e autolesionismo: quando vedevamo una ferita, ci diceva sempre di essere caduta. Ricordo la nostra preoccupazione angosciata.
Poi a giugno quello che sarebbe stato solo il primo coming out: «Sono omosessuale, so che avreste voluto una figlia normale». Io ero preparata alla notizia, me l’aspettavo, quindi ho reagito bene, l’ho rassicurat*, l’ho fatt* sentire accolt*. Ma nel corso dell’estate le cose sono precipitate: sono iniziati gli attacchi di panico, il rifiuto del cibo, e noi non capivamo il perché di tutta questa sofferenza.
Il motivo è arrivato a ottobre: «Mi sento un ragazzo, voglio essere un ragazzo, è sempre stato così. Voglio subito chiedere che a scuola mi chiamino al maschile». A quel secondo coming out ho reagito meno bene, mi sembrava una cosa gigantesca da affrontare da parte di una creaturina così fragile: «Dirlo a scuola?! I professori capiranno? Gli altri come reagiranno? Non si può aspettare a dirlo?». Non si poteva aspettare, la sua era un’urgenza assoluta, ma noi eravamo umanamente e comprensibilmente spaventati, preoccupati.
I mesi successivi sono stati durissimi e, anche ora che nostro figlio ha sedici anni, le fatiche sono ancora tante, ma in questo percorso Gesù è stato la Luce che ci ha aiutati. Lui che ama di un amore immenso ed accoglie tutt*, anzi va a cercare i più discriminati, è il riferimento che non solo ci ha dato conforto e speranza ma che ci ha indicato la strada dell’amore incondizionato e del coraggio. Lui è la “Porta delle pecore” (Gv 10, 1-10), quel punto di passaggio tra il riparo dell’ovile e il mondo esterno, che – come la vita – offre il nutrimento del pascolo ma anche incertezze e pericoli. Lui, con il suo esempio, ci invita ad uscire dalle nostre certezze di genitori e ad avventurarci in territori inesplorati, sempre in movimento tra paesaggi diversi.
Grazie a Willy abbiamo scoperto nuove tematiche, affrontato nuove sfide e abbiamo avuto l’opportunità di conoscere persone molto speciali. A chi mi dice: «Che bel problema che avete, che bella grana!», oppure non lo dice ma lo pensa, io rispondo che questo ragazzo è solo una grazia che ci ha aperto la mente ed il cuore. Di certo nessuno sa dove lo conduce il viaggio della vita, neanche Willy, ma di sicuro camminare con lui è sorprendente e bellissimo.
Ai genitori che devono affrontare questa esperienza posso solo consigliare di accogliere i propri figl* con tutto il cuore, di buttare il cuore oltre l’ostacolo e di affidarsi ed affidare i propri figl* all’amore di Gesù, che ci invita a “non temere”, perché l’Amore è più grande del dolore e delle incomprensioni.
* Testimonianza raccolta nell’ambito del progetto “Nati due volte”, con cui i volontari del Progetto Gionata vogliono raccontare i cammini di fede delle persone transgender e dei loro familiari. A maggio 2025, in occasione delle Veglie di preghiera per il superamento dell’omotransbifobia, alcune di queste storie saranno raccolte da La tenda di Gionata in un libretto a stampa gratuito, che racconterà i percorsi di fede delle persone transgender, cattoliche e evangeliche, e dei loro familiari nelle diverse chiese. Una raccolta di testimonianze con cui vogliamo tessere un ponte di conoscenza tra questi due mondi spesso lontani, per contribuire a buttare giù muri e pregiudizi. Per leggere le testimonianze che abbiamo già raccolto clicca su https://www.gionata.org/tag/nati-due-volte/ . Se vuoi aggiungere la tua scrivi a tendadigionata@gmail.com PASSAparola