Noi, volontari tra i terremotati d’Abruzzo. Una settimana particolare
Testimonianza di Stefania e Emanuele del gruppo Kairos di Firenze
A quattro mesi di distanza dalla scossa che ha devastato L’Aquila e molti paesi intorno, visitare le zone interessate da questo evento è un’esperienza veramente impressionante.
Farlo da volontari, nel tentativo di portare il proprio piccolo aiuto nelle innumerevoli tendopoli che accolgono le decine di migliaia di persone rimaste senza tetto, è un’esperienza ancora più singolare, umanamente ricchissima, ma anche complessa, sicuramente difficile da raccontare.
Interi centri, poi, risultano inesorabilmente danneggiati, irrecuperabili: etichettati con tristi cartelli “zona rossa”, presidiati e quasi confezionati con espliciti nastri bianco-rossi che ne impediscono l’acceso e la visita, si presentano all’osservatore lasciando intravedere piccole e grandi vie, piazze, palazzi, chiese che mostrano i segni di quel terribile momento, presentandosi alla vista quasi più simili a centri bombardati, che non crollati per evento naturale, tanto sono spaccate, in alcuni casi sbriciolate le loro pareti.
Alcune abitazioni hanno conservato intatti i segnali di vita di quella notte – panni stesi o letti sfatti – ma il tutto restituisce un’impressione inequivocabile di paesi fantasma, non più vitali. Il piano di ricostruzione prevede che alcuni di questi centri vengano semplicemente abbandonati e ricostruiti a pochi chilometri di distanza, non c’è altra scelta.
Non pare difficile provare ad immaginare i sentimenti di sradicamento provati da chi, giovane o vecchio che sia, si vede immerso in questa prospettiva, nella quale ti viene offerto un nuovo – e sicuro! – posto dove abitare, ma ciò che era più tuo, ciò che hai visto e respirato magari tutti i giorni della tua esistenza alzandoti, crescendo, vivendo la tua vita quotidiana, quello non ci sarà mai più.
Riuscire a dare un contributo come volontari, in questa situazione, non è semplice: sono facilmente osservabili tutte le difficoltà umane dovute ad una situazione in cui, passata l’emergenza (affrontata in modo egregio, efficientissimo, a parere di tutti) adesso si deve sapere gestire un lungo periodo di attesa, iniziando velocemente l’opera di ricostruzione e soprattutto gestendo al meglio le risorse materiali ed umane che si hanno a disposizione, su un territorio comunque piuttosto vasto.
Non di rado, nel lavoro di volontari, si ha l’impressione di fare qualcosa di “non urgente”, o addirittura “non necessario”, ma si comprende presto che anche questo fa parte della complicatissima situazione che si è creata, subito dopo il sisma.
Molti problemi in gioco: a partire da insistenti e inquietanti interrogativi, posti da molte parti.
• E’ vero che la scossa maggiore aveva un’ intensità più alta di quella dichiarata dalle fonti governative, (forse per giustificare un minor impegno economico)?
• E’ vero che i fondi destinati alle popolazioni terremotate (per approvvigionamenti, per viveri e vestiario, ecc) stanno andando a fornitori extraregionali, piuttosto che privilegiare le piccole o grandi aziende locali?
• E’ vero che le rilevazioni dei danni operate dai tecnici locali (commissioni create da comuni e province) solitamente si discostano, in peggio, dalle rilevazioni operate inizialmente da tecnici di provenienza esterna?
• l’anomalia della figura di Bertolaso che incarna sì, come da copione, la sottosegreteria del Presidente del Consiglio, ma anche ogni figura che dovrebbe essere invece occupata da rappresentanti locali, non è forse fonte di accentramento di decisioni e potere a Roma, tanto da allontanare i cittadini e i loro rappresentanti, come i comitati, dal poter avere davvero voce in capitolo sulle questioni a loro più vicine?
E inoltre: Quali saranno i criteri per l’assegnazione dei nuovi alloggi? Si correrà davvero il rischio di vedere nascere interi quartieri abitati da una sola tipologia di abitanti, per esempio da soli anziani, o si curerà anche la rinascita sociale, non solo fisica, dei futuri centri abruzzesi?
All’interno delle strutture delle tendopoli, ai tavoli delle mense, nei vari uffici allestiti presso i COM (Centro Operativo Misto) dei centri terremotati, si viene a contatto con tante persone del posto, e si intercettano molteplici aspetti e comportamenti: si va da chi si sente ancora sbigottito, disorientato per quanto è successo, indeciso sulla strada da prendere per il proprio avvenire, per i propri figli, a chi invece si è rimboccato le maniche da subito, cercando di tenersi, oltre al terribile disagio del crollo, anche il sacrosanto diritto di gestire la propria ricostruzione.
Visi di persone che ignorano il tuo sguardo, mentre metti loro l’insalata sul vassoio con il più selezionato dei tuoi sorrisi disteso sulla faccia, si sciolgono nei primissimi giorni a ricambiare anche loro un sorriso, sapendo che sei lì di passaggio, che fai del tuo meglio, che non risolverai comunque i loro problemi. qualcuno di loro ti fa capire che porti con te un pezzetto di vita a lenire un po’ la ferita, qualcuno di loro preferisce tirar dritto sapendo che fra pochi giorni te ne andrai e non sarà stato possibile costruire un rapporto con te.
E così le loro case: più probabile vedere nuove costruzioni intorno che sorgono come funghi, su cui lavorano giorno e notte imprese di gente di fuori, sconosciuti, che sembrano la cosa più vicina alla speranza di ricominciare.
Le loro case invece, quelle vere, quelle che hanno danni aggiustabili, tollerabili, che con un finanziamento adeguato potrebbero far ripartire un filo di continuità con la vita aquilana, rimangono lì: in attesa, mute, lasciando spazio al nuovo, al forestiero, alla gestione di qualcun altro.