Non siamo affatto insensibili ai vostri diritti. Differenza tra comprensione e accoglienza
Riflessione di padre Alex Vigueras, ss cc., pubblicata nel sito Salesianos de Don Bosco en Chile (Cile), il 29 marzo 2012, liberamente tradotta da Dino
Se gli omosessuali pensano che la Chiesa non sia sensibile alle loro rivendicazioni, si sbagliano. Se considerano la Chiesa una nemica della loro causa, si sbagliano enormemente. Come può non essere importante, per noi come Chiesa, la lotta che essi stanno sostenendo nella ricerca di un maggior rispetto per la loro dignità di persone, di una maggior inclusione nella società?
Hanno diritto di sognare una società che non li umilii, né li maltratti, né li insulti per strada, né faccia di nascosto dei commenti ironici su di loro. Quello che è successo a Daniel Zamudio non deve più ripetersi nel nostro Paese e la lotta che gli omosessuali stanno facendo va in questa direzione.
Tempo fa è venuta a parlare con me una giovane lesbica e mi chiedeva come doveva vivere la sua condizione. Io, cercando di essere sincero con quello che era il mio pensiero e non soltanto di riuscire gradito, le ho detto che doveva accettarsi così com’era, allo stesso modo di chi ha una malattia e accetta di farsene carico come parte della sua vita. E lei mi ha risposto: “Allora io sono uno sbaglio di Dio?”. Qui sono andato in confusione, non sapevo cosa dirle e, improvvisamente, ha cominciato a nascere in me una certezza: quella era figlia di Dio così com’era, in lei non c’era niente che potesse compromettere il senso della parola “figlia”. In nessun modo era uno “sbaglio”. L’ho abbracciata con immenso affetto e le ho dato un bacio in fronte. Per entrambi è stato un momento commovente.
Il punto essenziale non è la comprensione, ma l’accoglienza. Il filosofo Emmanuel Lévinas si chiedeva, dopo la seconda guerra mondiale, come si poteva cambiare il pensiero in modo che Auschwitz non potesse mai più ripetersi. Come fare perché in nessun modo si possa pensare all’altro come a qualcuno che può essere disprezzato, emarginato, assassinato? Lévinas suggerisce che l’incontro con l’altro dev’essere mediato dall’accoglienza e non dalla comprensione. Quando per prima cosa voglio comprendere l’altro, gli faccio violenza, cerco di impadronirmi di lui, di dominarlo, perché lo guardo dal mio punto di vista, lo comprendo in base ai miei propri parametri, cosa che è sempre riduttiva. Non riesco mai a comprendere completamente l’altro poiché l’altro mi sfugge, è sempre qualcosa di più, è un mistero insondabile. Egli esprime se stesso e per questo fa fallire ogni mio tentativo di renderne un’immagine. L’incontro con l’altro è sempre un imperativo che mi chiama ad accoglierlo, a prendermi cura di lui. E questo prima che ci poniamo qualsiasi domanda: Sarà buono? sarà cattivo? sarà degno? sarà miserabile? sarà ricco? sarà povero? sarà amico? sarà nemico? Nessuna domanda può essere posta prima dell’accoglienza. Qualsiasi domanda comporta la possibilità di escludere qualcuno e a questo punto si presenta di nuovo il rischio di Auschwitz.
Questo è ciò che fa Gesù, che non interroga né chiede spiegazioni, né discute sul perché ha sbagliato colui che ha sbagliato. Semplicemente accoglie, si avvicina, si lascia interrompere, ascolta, tocca, guarisce, libera, risolleva. Avrebbe potuto fare un bel discorso alla donna sorpresa in adulterio, almeno chiederle perché l’avesse fatto, ma no, semplicemente l’accoglie e la perdona. E lo fa perché la ama. Soltanto l’amore può accogliere e abbracciare l’altro prima della comprensione o addirittura in un gesto di totale contraddizione (“amate i vostri nemici”, ci dice Gesù). Ma si tratta di un amore che viene prima del sentimento o della decisione, un amore che è un imperativo etico che si manifesta a noi nell’incontro con l’altro.
Sulla questione dell’omosessualità sembra che stiamo mettendo al primo posto la comprensione: che risulti chiaro cos’è l’omosessualità, cercando di entrare nel dettaglio delle sue cause neurologiche, psicologiche e sociologiche; che risulti chiaro che non è una situazione normale, che è una malattia, che non possiamo essere ingenui, che ci sono sotto altre intenzioni, ecc. E, probabilmente per questo, stiamo perdendo la grande opportunità di metterci con decisione accanto agli omosessuali per aiutarli nella loro causa, perché si sentano accolti da una Chiesa compagna e sorella. Se gli omosessuali pensano che la Chiesa non sia sensibile alle loro rivendicazioni, si sbagliano. Ma se cominciamo a sensibilizzarci col loro modo di vedere e di percepire le cose, non grazie alla lettura di libri o resoconti scientifici, ma incontrandoci con loro, allora daremo una testimonianza molto chiara di cos’è veramente la Chiesa di Gesù.
Testo originale: ¿Una Iglesia homofóbica?