Il nostro contributo di genitori al Sinodo sui giovani sull’accoglienza dei nostri figli LGBT
Riflessioni di Corrado e Michela Contini del gruppo Davide di Genitori cattolici con figli e figlie LGBT di Parma, pubblicate su Adista Segni Nuovi n° 29 del 2 agosto 2017, pp.13-15
Corrado e Michela Contini sono genitori di 3 figli, di cui uno gay, e nonni di 5 nipoti, e hanno dato vita, a Parma, al Gruppo Davide, che raccoglie genitori cattolici con figli LGBT. Nella prospettiva del XV Sinodo dei Vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” del 2018, la coppia ha voluto dare un proprio contributo rispondendo alla domanda n.8 del Questionario voluto da papa Francesco affinché i giovani facessero sentire la loro voce nel cammino sinodale («Qual è il coinvolgimento delle famiglie e delle comunità nel discernimento vocazionale dei giovani?». Il testo del questionario è disponibile sul sito http://youth.synod2018.va/content/synod2018/it.html). Questo contributo, scrivono gli autori, «riguarda l’angolo di visuale di chi ha un figlio o una figlia LGBT e che vuole mantenere stretto con una mano suo figlio/a e con l’altra la Madre Chiesa, affinché nessuno vada perduto nella vita di fede». Di seguito il testo integrale.
Come genitori cristiani di 3 figli di cui uno gay e di 5 nipoti, ci sentiamo interpellati nella riflessione della 15ª Assemblea Generale Ordinaria dei vescovi riguardante i giovani, la fede e il discernimento vocazionale e in particolare desideriamo portare il nostro contributo per quanto riguarda la domanda numero 8 del questionario, riguardante il coinvolgimento della famiglia e delle comunità nello svilupparsi della crescita affettiva e del discernimento vocazionale dei nostri figli.
Interveniamo per aiutare la Madre Chiesa a vedere con occhi belli i nostri figli e per aiutare i nostri figli a sentirsi a casa loro nella Chiesa.
Il primo punto che ci sembra essenziale sottolineare è che il ruolo della famiglia come delle altre istituzioni formative è quello di un affiancamento dei giovani nel periodo della loro crescita mediante il sostegno e il rispetto. Sostegno nel fornire strumenti che aiutino la crescita della propria autostima e della propria autonomia, ritenendo queste due condizioni essenziali per lo sviluppo armonico della personalità. Rispetto profondo e convinto di un progetto che ci trascende, che va al di là di noi, che non è nostro e che i nostri giovani devono scoprire per loro stessi. Progetto che contempla comunque la loro realizzazione, la loro felicità, il loro legittimo desiderio di amare e di essere amati in quanto tali.
La costruzione dell’identità di sé è una ricerca lunga, faticosa, paziente, che comporta sia per i genitori che per i figli un mettersi alla prova. In questo percorso non servono risposte preconfezionate, ma occorrono sostanzialmente domande giuste, le cui risposte passano attraverso esperienze e vissuti.
L’identità cresce e si stabilizza nella esperienza affettiva, nello scoprire cioè la propria capacità di amare e la bellezza di essere amati in quanto tali. I ragazzi in questo cammino hanno un bisogno assoluto di modelli che nella fase adolescenziale non possono più essere i loro genitori ma che potranno essere o i formatori o i compagni di strada. Tali modelli dovranno mettersi in gioco con loro creando una proposta vincente fatta di idee, di esperienze vissute, di empatia. A noi pare che la proposta, la modalità vincente, sia quella che si costruisce nei rapporti personali.
Tutto questo è ancor più vero nel caso in cui un figlio/figlia manifesti la propria omosessualità e, nota bene, sempre dopo un periodo precedente, talora estremamente lungo, di ansia, di angosce, di disperazione da parte del figlio/figlia che vive da solo/sola questa scoperta mentre spesso si crea una frattura nel suo manifestarsi coi propri genitori e/o con la propria comunità cristiana in cui è inserito, con fatti di negazione, di espulsione o di misconoscimento.
Tanto più quindi in questa realtà occorre, da parte di tutte le istituzioni educative ed in primo luogo da parte della famiglia, rispetto, dialogo, sensibilità per arrivare all’accoglienza del proprio figlio/figlia. Rispetto che è usare le parole giuste e tacere le parole offensive o denigratorie. Rispetto per la loro persona. Rispetto per i doni che portano in sé. Rispetto perché comunque figli e figlie amati da Dio. Dialogo: questa parola magica, nei fatti, è difficilissima da realizzare: di fronte a certe situazioni mancano le parole, il controllo emotivo, i ragionamenti, l’empatia per riuscire a porre le domande giuste e formulare risposte appropriate. Eppure, nonostante le difficoltà, è importante che i genitori si sforzino di intraprendere un dialogo con il figlio e viceversa. Occorre evitare assolutamente una comunicazione fatta di silenzi, di mancate spiegazioni, di evitamento. Bisogna saper guardare il figlio con grande tenerezza, accettarne i tempi e le difficoltà così come il figlio deve accettare i tempi lunghi dei genitori. Tuttavia spesso sta alla saggezza dei genitori trovare il modo di tenere vivo il dialogo, meglio se affettuoso, con il figlio. Sensibilità che significa consapevolezza e comprensione dei sentimenti tumultuosi che animano il cuore dei nostri figli e il nostro cuore.
A questo riguardo ci pare importante sottolineare come l’accoglienza del proprio figlio passi attraverso l’accoglienza di sé, della propria esperienza sponsale, della esperienza genitoriale, del nostro vissuto e questo non è sempre scontato.
Inoltre bisogna aiutare i nostri figli a capire che non è il nascondimento o la negazione di sé la via di una vita serena e felice che comunque auspichiamo per loro.
Per aiutarli ad accettare questa loro identità affettiva in modo sereno e non angosciato, riteniamo che sia necessario rendere visibili modelli di persone o di coppie omosessuali risolte in sé, realizzate, serene, manifeste ma non ostentate, modelli positivi cui i nostri figli possano far riferimento. Da qui un ulteriore motivo per non cacciare da ruoli educativi esercitati nella comunità cristiana persone omosessuali che vivono con equilibrio, dedizione di sé e attenzione agli altri il proprio ruolo.
La formazione e la crescita nella vita affettiva si intreccia, nella proposta di vita cristiana, con la scoperta di un Dio che è Padre di tutti, ama tutti, aspetta tutti. La scoperta di un Dio che ci ha pensati così ed amati proprio perché siamo così, che ci considera “suo compiacimento”, che si fida di noi e si affida a noi, che ci aspetta sempre e veglia l’orizzonte dei nostri ritorni.
Il discernimento vocazionale passa attraverso queste domande che il Signore rivolge a ciascuno di noi: «Ma tu chi dici che Io sia per te? Tu che cosa hai capito di me? Che esperienza hai fatto del mio amore che arriva a donare tutto per te? Che posto mi riservi nella tua vita?». Queste sono le domande centrali che interpellano ogni giovane, che si sente amato ed accolto da Dio attraverso e con le persone che il Signore mette loro accanto: i genitori, il pastore e la propria comunità. Come può un ragazzo o una ragazza LGBT che scopre la propria condizione omosessuale conciliare queste domande che richiedono un’adesione di vita e una risposta d’amore con la affermazione che la sua condizione è «intrinsecamente disordinata»?
Noi come genitori che conoscono da sempre i propri figli, possiamo affermare con certezza assoluta che essi non sono «intrinsecamente disordinati», ma che sono semplicemente così. Essi soffrono per tale definizione e pertanto auspichiamo da parte del Magistero una riflessione profonda e serena su questo punto supportata anche dalle recenti acquisizioni delle scienze umane.
Per quanto riguarda il pastore pensiamo che debba aiutarli nel far loro comprendere che una vita senza amore è incompleta e insoddisfatta. Inoltre un autentico amore, dato che proviene da Dio, riporterà a sua volta le persone che si amano a Dio. Ogni amore umano è un riflesso dell’amore di Dio e della vita della Trinità.
È essenziale comprendere e far comprendere a questi giovani che Dio li ama indipendentemente da ciò che essi sono, da ciò che essi fanno; la persona omosessuale deve percepire che la Chiesa è casa loro.
Su questa linea i giovani hanno bisogno di proposte alte, di mete impegnative che tuttavia siano coerenti con la vita testimoniata. Come può un giovane o una giovane rimanere in una comunità che parla di amore e che poi rifiuta il loro modo di essere e di amare?
Tra i tanti aspetti, ci sembra fondamentale suggerire che il pastore che diventa confessore debba assolutamente evitare frasi tipo: ”Sposati che ti passa tutto!” destrutturando così l’affettività omosessuale dei nostri figli, non riconoscendola, ritenendola fallace o passeggera, frutto di infatuazione mutevole anziché condizione stabile e in ogni caso mai pensata o desiderata per sé stessi. E l’altra affermazione: «È meglio avere rapporti occasionali, promiscui, che un rapporto affettivo stabile perché così, pentendoti, ti posso assolvere!». Con questa affermazione si nega quel principio, fondamentale per ognuno di noi, che nella ricerca del partner deve sempre prevalere il rispetto di sé e dell’altro, della reciprocità, della fedeltà, dell’altruismo. È sempre umanamente e spiritualmente preferibile la personalizzazione di una relazione stabile che porti al dono di sé e alla fedeltà, piuttosto che una promiscuità disimpegnata e disumanizzante. E questo noi genitori, che osserviamo da vicino i nostri figli, le loro frustrazioni nella ricerca di un rapporto stabile, le angosce che ne derivano, possiamo affermarlo con forza.
Inoltre, il pastore deve aiutare anche i genitori a riconoscere, nei loro figli, dei figli di Dio, amati e voluti dal Signore; spiegare con delicatezza che le persone omosessuali sono chiamate a una vita di relazione con Dio e con gli altri, piena ed arricchente come tutti.
È auspicabile inoltre, e la nostra esperienza del gruppo Davide di Parma ce lo conferma, che possano nascere gruppi di genitori con figli e figlie LGBT, in cui confrontarsi, condividere questa esperienza, pregare insieme e aiutare altri genitori ad accogliere e vivere il progetto d’amore di Dio su di loro e sui loro figli. È come diventare genitori due volte.
Questo aiuterà i genitori ad assumere un atteggiamento più sereno e a riscoprire le radici della propria fede, del proprio essere cristiani. Questa serenità, questa ulteriore interiorizzazione della vita di fede dei genitori spesso è l’occasione e lo strumento che il Signore mette all’opera per non far allontanare i giovani LGBT dalla propria Chiesa.
Questa serenità interiore sarà anche lo stato d’animo da trasmettere ai figli e su questa serenità si potrà giocare la proposta alta di una scelta celibataria come proposta definitiva di adesione all’amore di Cristo, libera scelta per alcuni, mai imposta a nessuno.
Occorre incontrare i giovani lì dove sono, parlare il loro linguaggio, capire il loro linguaggio. Aiutarli ad uscire dalla prigione del loro isolamento per fare gruppo, per collaborare insieme e sentirsi corresponsabili, affidando incarichi e accettando soluzioni diverse dai nostri progetti o modi di vedere. Non vale più «si è fatto sempre così» o l’omologazione. Semmai vale il contrario per loro: l’arricchimento della novità, la valorizzazione delle diversità.
Che nessuno vada perduto, sembra essere il comando affidatoci dall’unico Padre, affinché come genitori, pastori, comunità cristiana sappiamo davvero farci compagni di strada dei nostri figli, spesso imparando da loro l’autenticità e la radicalità della vita di fede o come ci disse un giorno un giovane gay: «L’ineffabile bellezza di essere cristiani».