Nozze Gay? Un Si e un No. Parliamone con Padre Luigi Lorenzetti
Articolo diPierluigi Mele tratto dal blog Confini di RaiNews, 1 agosto 2012
Vogliamo offrire ai lettori due riflessioni su un tema che divide, trasversalmente, la politica e l’opinione pubblica italiana: quello delle nozze gay. Oggi pubblichiamo l’intervista a Padre Luigi Lorenzetti, sacerdote dehoniano.
Padre Lorenzetti è laureato in teologia, con specializzazione in teologia morale, alla Pontificia università S. Tommaso d’Aquino di Roma; è stato presidente dell’Associazione teologica italiana per lo studio della morale (Atism); insegna teologia morale allo Studio teologico S. Antonio di Bologna affiliato alla Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna; e all’Istituto superiore di scienze di Trento;
dirige la Rivista di Teologia Morale; partecipa al comitato di direzione di Famiglia Oggi; collabora a riviste teologiche e a Famiglia Cristiana con la rubrica Il teologo. La sua è una posizione più attenta alle ragioni del magistero. Il secondo intervento, che pubblicheremo nei prossimi giorni, sarà quello di un altro esperto su una posizione di frontiera.
Alcuni fatti recenti (divisione tra cattolici e laici all’interno del PD sulle nozze gay, l’attacco della Curia milanese alla proposta del Sindaco Pisapia di istituire i registri delle “unioni civili”) hanno riportato al centro del dibattito la questione dei “diritti civili”. L’impressione che si ha è che in Italia, rispetto ad altre società europee, il tema susciti sempre una “guerra di religione”. Dove nasce questo atteggiamento polemico ?
L’atteggiamento polemico tra laici e cattolici in Italia, soprattutto da quando i problemi sulla famiglia e la vita sono entrati in parlamento, nasce da una serie di pregiudizi, da una parte e dall’altra, che impedisce di fare leggi giuste. Si pensi ai progetti di legge che sono fermi in parlamento, ad es., su fine vita (testamento biologico); le coppie di fatto.
I laici attribuiscono ai cattolici la pretesa di trascrivere la morale cattolica nelle leggi dello Stato. Ogni posizione, anche se sostenuta con argomentazioni del tutto razionali (non confessionali) viene identificata come questione di fede e, quindi, impertinente nell’ambito politico e legislativo laico e democratico.
I cattolici, a loro volta, attribuiscono ai laici di seguire una morale relativista e soggettivista; di sostenere diritti civili che tali non sono. La contrapposizione conduce fatalmente allo scontro che azzera ogni confronto che può verificarsi soltanto nell’ascolto reciproco delle ragioni degli uni e degli altri. A rinforzo della contrapposizione c’è anche chi strumentalizza le posizioni ufficiali della Chiesa per uso e consumo del proprio partito o schieramento e come pretesto per opporsi all’avversario politico.
Se si esce delle sterili contrapposizioni ideologiche, si potrà individuare valori (diritti) comuni sui quali convergere per fare leggi giuste. Laicità significa indipendenza e autonomia rispetto a una determinata morale, ma non significa indifferenza o neutralità rispetto alla morale umana, fondata cioè sui valori (diritti) umani.
Ritiene la società italiana sufficientemente laica per intraprendere un cammino di riconoscimento almeno delle coppie di fatto?
Le coppie di fatto (o anche denominate unioni o convivenze libere) rappresentano un fenomeno che non può essere ignorato dalla società e, per essa, dallo Stato. Nel dibattito pubblico, che periodicamente ritorna in primo piano, emergono almeno tre proposte di regolamentazione. Una proposta sostiene il riconoscimento giuridico. Si esige, cioè, che la società, accanto alle coppie sposate, riconosca giuridicamente le coppie non sposate. Come obiezione, tale proposta relativizza il bene (valore) del matrimonio, in quanto lo rende una delle possibili forme di convivenza.
Un’altra proposta mira ad aggiornare il codice di diritto civile con il prevedere una normativa che garantisca i diritti individuali delle persone che convivono, ad es., il diritto all’assistenza per malattia e ricovero, la reversibilità della pensione, la successione nel contratto di locazione, ecc. In altre parole, non si legalizza la coppia di fatto, ma i diritti individuali di coloro che convivono. Un’altra proposta, infine, sostiene di attivare e garantire eventuali diritti che si originano nella convivenza che si protrae nel tempo.
Come valutazione complessiva, ad eccezione della prima, la seconda e la terza proposta hanno il merito di salvaguardare sia l’unicità della famiglia, fondata sul matrimonio, da un lato, come pure il riconoscimento degli eventuali diritti individuali delle persone che convivono dall’altro. Si auspica che la questione non si risolva nella solita contrapposizione tra laici e cattolici che non conduce a nulla. L’obiettivo non è forse quello di riconoscere i diritti civili? O non è forse quella di introdurre, per legge, un’altra forma di convivenza?
E sulle Registrazione delle Coppie di fatto?
Nel vuoto legislativo, per provocare il legislatore a intervenire e per dare nel frattempo un qualche riconoscimento giuridico, alcuni Comuni attivano una registrazione delle coppie di fatto, eterosessuali e omosessuali, che garantisce l’accesso ai servizi sociali di competenza dei Comuni. Certo è più facile e sbrigativo aprire registri che impegnarsi seriamente, a cominciare dal territorio, per una decente politica del lavoro e dei servizi sociali, e rendere così effettivo e reale il diritto di formarsi una famiglia.
La registrazione incoraggia a iniziare e restare in una convivenza precaria; non stabilisce alcuna reciprocità tra società civile e coppia di fatto che può, in modo del tutto arbitrario, iscriversi e cancellarsi. È anche una questione di vocabolario: non è per niente pacifico parlare di famiglie al plurale. È necessario invece non confondere realtà diverse: una cosa è la famiglia, tutt’altra – con il rispetto e la comprensione più che dovuti – è la coppia di fatto.
Veniamo al nostro tema: Le nozze gay. E qui non si può non partire dalla omosessualità. Per il Magistero cattolico recente “L’inclinazione omosessuale, benché non sia in sé peccato [ …] deve essere considerata come oggettivamente disordinata». Mentre «Gli atti (rapporto sessuale) sono intrinsecamente disordinati» (Cf. Lettera della Congregazione della fede (1986), Cura pastorale delle persone omosessuali ,n. 3). Perché, dice il Magistero, sono atti che violano la legge naturale morale. Non è pesante per un credente gay (o una credente lesbica) sentirsi così definito? I gay e le lesbiche sono figli di un “dio minore”?
I gay e le lesbiche non sono figli e figlie di un dio minore. Sono figli e figlie dell’unico Dio, Padre di tutti, omosessuali o eterosessuali che siano. Non giova alla causa delle persone omosessuali equivocare il pensiero della Chiesa cattolica, che non è seconda a nessuno nel comprendere la condizione omosessuale e nel condannare, come antiumana e anticristiana, ogni forma di sopruso, ingiustizia e violenza che offende l’alta dignità della persona. La «Chiesa _ si afferma nel Documento citato, al n. 16 _ rifiuta di considerare la persona puramente come un eterosessuale o un omosessuale e sottolinea che ognuno ha la stessa identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio, erede della vita eterna».
L’espressione «inclinazione oggettivamente disordinata», va interpretata nel suo vero significato. Con tale espressione si vuol dire che l’omosessualità non è una semplice variante della sessualità umana. Più precisamente, è un limite umano. Se la relazionalità umana, infatti, è al maschile/femminile, la chiusura affettiva nel proprio mondo maschile o femminile è un limite. Il soggetto certo non ne ha colpa, ma questo non toglie che sia oggettivamente un limite.
La persona omosessuale non è responsabile del’inclinazione omosessuale, è tuttavia libero-responsabile del comportamento (atto) sessuale. Secondo il pensiero cattolico, il rapporto sessuale è moralmente disapprovato («intrinsecamente disordinato») perché è staccato dal duplice e inscindibile significato: procreativo e unitivo. Per il Magistero non c’è solo la Tradizione e la teologia speculativa, c’è anche la Parola. Ovvero l’Antico Testamento (gli episodi di Sodoma e Gomorra e le Prescrizioni del Levitico). Ma non è questa una lettura “fondamentalista” della Bibbia? Come si devono intendere invece?
Il primo errore da evitare è un uso strumentale della sacra Scrittura con il tentare di renderla funzionale a conclusioni del tutto opinabili. La sacra Scrittura (cf. Rm 1, 26-27; 1Cor 6,9-10; 1Tim 1,10) disapprova, come gravi perversioni, le relazioni (atti) omosessuali. Tale disapprovazione – si osserva – riguarda il malcostume della società greco-romana e, quindi, non è pertinente per le persone omosessuali, di cui si parla. L’osservazione non è priva di fondamento, ma non conduce a concludere che le relazioni (atti) omosessuali siano giustificate. Nella dottrina plurisecolare della Chiesa, il rapporto sessuale è sempre legato al matrimonio tra un uomo e una donna.
D’altra parte, non c’è nulla di discriminatorio: tale proposta morale viene indicata anche agli eterosessuali che, per motivi diversi, non sono o non possono sposarsi.
E veniamo alle relazioni di amore tra persone dello stesso sesso. Per alcuni teologi invece si deve passare da un approccio “naturalistico” ad un altro di tipo “relazionale”. Ovvero nel cogliere la bontà della relazione nella sua capacità di esprimere in modo profondo il mondo interiore delle persone. Per cui l’amore omosessuale ha un suo fondamento. Se questo è vero allora cosa manca alla relazione omosessuale per avere una sua piena riconoscibilità pubblica (nella Chiesa e nella società)?
In realtà, le persone omosessuali non riescono a comprendere la disapprovazione morale dell’amore omosessuale, dal momento che naturale per loro è proprio quello. Perché non riconoscere positivamente i rapporti sessuali, almeno quelli di coppia e ispirati al rispetto dell’altro? In breve, perché l’amore omosessuale non è giustificato e giustificabile?
Nessuno può mettere in dubbio che il rapporto sessuale sia espressione di amore e, come tale, si distingua dal rapporto sessuale, per così dire, indiscriminato. Allora cosa manca? Manca il contesto definitivo, quale è dato dalla relazione stabile e perenne del matrimonio tra un uomo e una donna. In altre parole, il rapporto (atto) omosessuale non verifica, non rende vero, il senso della sessualità umana, che è inscindibilmente unitiva e procreativa e, come tale, può trovare compimento soltanto nell’unione uomo-donna nel matrimonio.
Ovviamente la morale non può limitarsi a trasmettere il divieto. È necessaria una sapiente pedagogia propositiva, capace di ascolto della persona e della sua storia, per evitare sia l’impossibile giustificazionismo, da un lato, sia la mera riprovazione dall’altro, allo scopo di proporre e orientare un cammino rispettoso delle persone.
Un altro aspetto è quello delle adozioni. Qual è la sua idea su questo punto?
Il criterio primario da seguire non è il desiderio di colui/colei che vuole adottare, è necessario invece considerare il bene del minore. Se si possono verificare difficoltà anche da parte della coppia sposata, queste si accrescono nel caso della coppia o unione omosessuale. Il minore parte oggettivamente svantaggiato per una serie di controindicazioni: il ricorso alla fecondazione artificiale e, quindi, la violazione del diritto ad avere genitori certi. Inoltre, per crescere umanamente, ha bisogno, secondo le acquisizioni delle scienze umane, di due genitori maschile/femminile e non di due padri o di due madri. È vero che tanti minori, di fatto, sono in condizioni proibenti la loro crescita psicologica e umana. Ma questo non giustifica introdurre, per legge, scelte e decisioni così cariche di problematicità.
La Chiesa del Vaticano II è la comunità sempre aperta ai “segni dei tempi”. Non le sembra che l’accoglienza piena della omosessualità sia un “segno dei tempi” che interpella la Chiesa?
La Chiesa, in base al Vangelo, trasmette a ogni generazione l’annuncio dell’incommensurabile dignità della persona umana. L’annuncio si trasforma necessariamente in denuncia di ogni forma di discriminazione, emarginazione e offesa. «Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della chiesa, ovunque si verifichino. Essi rivelano una mancanza di rispetto per gli altri, lesiva dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile. La dignità propria di ogni persona deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni» (Congregazione per la dottrina della fede, Cura pastorale delle persone omosessuali, 10).
È necessario superare i pregiudizi che hanno relegato l’omosessuale nell’ambito del peccato, della perversione, della follia e della malattia. Gli stereotipi che l’immaginario collettivo ha costruito attorno alla figura dell’omosessuale (violento, effeminato, malato di sesso, contagioso) non sono rappresentativi che di una minoranza, e percentuali analoghe si riscontrano anche tra gli eterosessuali.
Tuttavia, alcune prospettive cosiddette aperte, lungi dal risolvere i problemi della persona omosessuale, in realtà la conducono in vicoli ciechi e creano ulteriori frustrazioni e delusioni. I movimenti omosessuali hanno il merito di riportare all’attenzione pubblica molteplici problematiche sociali e culturali che accompagnano la condizione dell’omosessuale, e di denunciare le ingiustizie e la violazione dei diritti umani nei diversi ambiti della vita sociale.
D’altra parte, occorre senso critico per distinguere le giuste rivendicazioni da quelle ideologiche, come il diritto al matrimonio e all’adozione. Non giova a nessuno _ nemmeno ai gay e alle lesbiche _ confondere realtà che sono oggettivamente diverse. Altro cosa è, come si è detto, riconoscere i diritti individuali dei conviventi.
Per concludere, non è superfluo ricordare che non basta parlare dei diritti che le persone omosessuali non hanno, bisogna promuovere i diritti che hanno e, quindi, denunciare ogni forma palese o occulta di discriminazione e di emarginazione.