Ogni volta che ci prepariamo per un nuovo Natale
Riflessione di Raffaele Volpe, pastore battista, tratta da Dispora del dicembre 2005
Ogni volta che ci prepariamo per un nuovo Natale, pensiamo al Cristo che deve nascere, ma Cristo è già nato! Noi non siamo più in esilio, senza Cristo. Non viviamo più come se Cristo non ci fosse.
Riuscite a immaginare per un attimo soltanto cosa sarebbe la nostra vita senza Cristo? Se non fosse nato? Se non fosse morto e risorto? O anche semplicemente: se dovesse ancora nascere?
Sì, sarebbe come vivere in esilio. In un luogo lontano, che non è familiare, in cui non ci sentiamo protetti; un luogo in cui si parla una lingua che non comprendiamo. Un luogo che non è sicuro.
Perché un luogo senza Cristo è un luogo che non è sicuro; un luogo senza Cristo è l’esilio. Ma noi non viviamo prima di Natale, noi viviamo dopo Natale. Noi viviamo nel tempo in cui Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo per amare il mondo.
C’è un canto del XVII secolo di Paul Gerhardt, musicato dal grande Bach, che ha queste splendide parole: “Dovevo ancora nascere e tu per me nascesti… e prima che la mano tua facesse me, pensavi già a diventare mio”. No!, care sorelle e fratelli, noi non viviamo prima di Natale, noi viviamo nel tempo in cui Cristo è nato per noi, prima ancora che noi nascessimo.
L’ultima strofe dell’inno di Gerhardt dice: “Ed ora chiedo un sol favor, non dir di no, Signore: che io ti rechi sempre in me per tutta la mia vita. Il tuo presepe fa’ di me e vieni in me a riposar con le allegrezze tue!”.
Che belle queste parole: fa in me il tuo presepe e vieni a riposare in me con le tue allegrezze! Noi non viviamo in esilio, noi non viviamo prima di Natale, noi non siamo senza Cristo. Ma allora cerchiamo di vedere cosa vuol dire vivere dopo Cristo, quali sono i vantaggi di essere in Cristo e con Cristo e non senza Cristo.
Il salmo 43 inizia con tre verbi: giudica, difendi e libera. E’ il salmista che rivolgendosi a Dio chiede il suo giudizio, la sua difesa e la sua libertà. Ecco il primo vantaggio: questo processo davanti a Dio, per mezzo di Cristo: l’avvocato difensore, viene stravolto.
Il pubblico ministero, l’accusatore, non accusa; l’avvocato difensore diventa il giudice stesso e il verdetto è la libertà. Fammi giustizia, abbiamo chiesto a Dio. E Dio in Cristo ci ha fatto giustizia!
Difendi la mia causa, abbiamo chiesto a Dio. E Dio in Cristo ha difeso la nostra causa! Liberami, abbiamo chiesto a Dio. E Dio in Cristo ci ha liberati! Che vantaggio!
Che vantaggio aver trovato in Cristo il nostro consolatore. Se ti chiedono perché credi, non esitare a rispondere: perché in Cristo mi sento al sicuro, mi sento protetto, mi sento libero.
Ma c’è un secondo vantaggio. Chi è in Cristo ha qualcuno che lo ascolta. Noi certe volte abbiamo bisogno di sentirci protetti, altre volte abbiamo semplicemente bisogno di chiedere, di domandare. Se nel tempo della fede, c’è un tempo dedicato a cercare un rifugio, una fortezza in Dio, c’è anche il tempo della domanda.
E una bellezza dei salmi è proprio in questa pedagogia della domanda. Ci insegnano a chiedere a Dio. Domandare a Dio non è mai una cosa semplice, è qualcosa di molto sofferto. Dietro una domanda c’è la lotta, c’è la ricerca, c’è la protesta. Il salmista dice che Dio è la sua fortezza entro cui riparare, ma poi si chiede: perché le porte di questa fortezza sono rimaste chiuse?
Ma allora qual è il vantaggio per noi che viviamo dopo Cristo? Il vantaggio è sapere che le nostre domande sono comprese. A volte più di una risposta, vogliamo la certezza d’essere ascoltati.
E in Cristo possiamo essere certi dell’ascolto, perché lui parla la nostra stessa lingua, ha rivolto al Padre le nostre stesse domande. Non è soltanto l’amico nella consolazione, è anche l’amico nella protesta e nella domanda.
Ora voglio parlarvi del vantaggio più grande. In Cristo abbiamo trovato la radice della gioia. Il salmista dice a Dio: manda la tua luce e la tua verità ed esse mi guideranno a te.
E Dio ha mandato Cristo, luce e verità, che ci guida fino alla radice della gioia. E’ Dio stesso la radice della gioia. Gioia della mia gioia, dice il salmista rivolgendosi a Dio.
Altre bibbie traducono: gioia della mia felicità. Oppure: il Dio che mi fa danzare di gioia. La Vulgata, la bibbia latina, dice: ad Deum qui laetificat iuventutem meam: al Dio che rallegra la mia giovinezza. In Cristo il credente trova l’eterna giovinezza, perché può attingere alla radice della gioia, alla sorgente della felicità.
I Padri della chiesa commentavano questa gioia della gioia come il cammino della chiesa verso la patria celeste, sotto la guida del pastore Cristo. La gioia come questo sospiro che diventa canto appassionato, allegrezza, danza, giovinezza. Il salmista chiude il suo salmo con un ritornello: “Perché ti abbatti, anima mia, e perché ti agiti dentro di me? Sta in attesa di Dio!… salvezza del mio volto”.
E il salvatore del mio volto, cioè della mia storia, della mia vita, è venuto. Non siamo più in attesa. Noi viviamo dopo il Natale, prima ancora che noi nascessimo, Cristo è nato per noi.
L’inno di Gerhardt che vi ho già citato dice nella terza strofe: “Giacevo nelle tenebre, tu fosti il mio sole; il sole che a me portò e luce e vita e gioia. Oh, sole che accendesti in me la luce santa della fe’, è bello il tuo splendore!”. Amen