Oltre le dark room delle “Iene”. Essere gay in Italia, dalle contraddizioni del passato a quelle di oggi
Riflessioni di Emanuele Macca
Le dark room nel servizio de “Le Iene”. Il 17 febbraio (2017) è andato in onda un servizio delle Iene che parlava in modo scandalistico dei locali per cruising e saune gay. Lo scandalo teoricamente era legato all’Associazione ANDDOS, la quale gestisce questi locali con i vantaggi fiscali dell’essere associazione camuffando, a volte, attività di prostituzione. Tuttavia, le modalità con cui sono state riprese le scene di sesso hard e le orge nei locali richiamavano inevitabilmente anche lo “scandalo di una sessualità compulsiva e non controllata”, che può favorire il diffondersi di ogni tipo di malattia venerea.
Dato che tale associazione ha avuto dei fondi dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), alcuni politici di centro destra ne hanno approfittato per mettere in discussione la gestione e l’esistenza di questo ufficio legato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
In un simile servizio si sono mischiati in modo confusionario vari piani, filtrati da un’emotività negativa. Questo ha alimentato la radicalizzazione. Da un lato, c’è stata la strumentalizzazione politica e l’aumento della pregiudizialità verso le persone gay e il loro stile vita; dall’altro, c’è stata la difesa aprioristica della libertà sessuale come valore assoluto, sciolto da ogni altro condizionamento.
Per non mischiare tutto, vorrei dividere i problemi reali dalle strumentalizzazioni.
I movimenti di destra a favore delle discriminazioni hanno soffiato sul fuoco, ed hanno sfruttato il caso per dire “aboliamo l’UNAR dominato dalla lobby gay” e attacchiamo i politici che la sostengono. E’ una posizione per me inaccettabile, coerente solo con una visione opportunistica della politica oggi trasversalmente diffusa. Saggia e divertente la reazione di chi paragona questo metodo a chi vuole abolire la Chiesa per lo scandalo dei preti pedofili.
In origine questi locali erano a tutela delle persone omosessuali (per lo più maschi), quando l’omosessualità era un grosso tabù e facendo sesso nei parchi si rischiava letteralmente la vita (soprattutto in passato, ci sono stati molti omicidi). La copertura del circolo ricreativo-culturale impediva le ispezioni della polizia e di altri controlli, che avrebbero privato i clienti della tutela dalla privacy. Ora, invece, fatico molto a intravedere una utilità sociale dei suddetti circoli.
Basta rilevare la disillusione con cui i clienti e i dipendenti stessi ne parlano nel servizio. Quale legame può esserci tra la dicitura “Associazione Nazionale contro le Discriminazioni da Orientamento Sessuale” e le attività svolte in questi locali?
Fino a pochi anni fa, quasi tutti gli stessi esercizi erano riconosciuti come circoli ArciGay, e già allora Luca Di Tolve aveva cercato di fare terrorismo collettivo, descrivendo minuziosamente alcuni contesti e alcune pratiche e associando tutta l’attività omosessuale maschile fondamentalmente a questo mondo. E’ vero che formalmente la prostituzione è vietata a tutela dei clienti. Di fatto, in alcuni casi, c’è una collusione sistemica che è sicuramente responsabilità del singolo gestore e non dell’associazione.
Il cortocircuito contemporaneo del legame tra associazioni e locali ricreativi
La mia impressione è che tutte le contraddizioni insite in questo sistema non siano di aiuto né alla causa né alle persone omosessuali. Che io sappia, all’interno dell’associazionismo gay non si è mai parlato apertamente di questo tema, e si sta andando avanti col meccanismo del “silenzio assenso”; è così che si è data la possibilità sia a Di Tolve che alle Iene di parlarne con finalità scandalistiche, restando noi persone omosessuali ricattabili.
Il motivo primario dello scandalosità, infatti, non è un ritorno al moralismo sessuofobico (esso,semmai, può solo goderne in seconda battuta). La causa primaria è il fatto di essersi culturalmente fermati alla fase sessantottina di liberazione sessuale, all’impeto sanamente ribelle di chi è stanco di una logica proibizionista. Ma oggi, nella cultura occidentale, viviamo in un immaginario tendenzialmente iper-sessuale, che pone altri tipi di problemi.
E sempre oggi, con linguaggio scientifico, si parla di “dipendenze senza droga”, cioè di comportamenti patologici che coinvolgono oggetti o attività apparentemente innocue, come il cibo, il gioco d’azzardo, il lavoro, lo shopping e la sessualità; così, esse creano fenomeni di craving, di assuefazione e sintomi di astinenza, col conseguente bisogno di dipendenza crescente per alleviare o evitare tali sintomi.
Insomma, ciò che è stato buttato fuori dalla porta come “peccato” è rientrato dalla finestra con una formulazione decisamente più adeguata, perché riconosce la doppia valenza della sessualità : l’atto sessuale può essere sia positivo che negativo, e questa valutazione non dipende dalla casistica ma dalla persona e dal contesto.
E vengo qui al punto più delicato e più pericoloso dei locali descritti nel servizio delle Iene. Esattamente come nel gioco d’azzardo, non tutti quelli che scommettono sono dipendenti e se io settimanalmente gioco una schedina del “Totocalcio” o scommetto una cifra morigerata su qualche partita non credo di essere patologico. Ma, se vado con grande frequenza in un casinò o nell’area del bar piena di macchinette, in un ambiente buio, col colore e coi suoni legati solo ai soldi, sono condizionato a vivere l’ebrezza totalizzante della scommessa, ed ecco che rischio col tempo di esserne assuefatto.
Il paragone con la sessualità svolta nei locali piuttosto che in spazi più privati, viene da sé. Un conto è svolgere occasionalmente pratiche sessuali di varia tipologia in contesti neutri; un conto è sperimentare la possibilità di legare l’atto fisico anche alla maturità affettiva; un conto è vivere l’atto sessuale in ambienti forzatamente eccitanti per provare quel piacere col tempo solo in quei contesti, perché solo lì ho vissuto un’ebrezza che altrove non vivo. Non intendo generalizzare, perché tutto questo passa inevitabilmente dal filtro del vissuto della singola persona, e ognuno di noi ha una dimensione sia esperienziale che emotiva diverse. Ma non si può far finta che alcuni condizionamenti non esistano, o addirittura stravolgere tutto, definendo dei luoghi condizionanti come luoghi di libertà e di benessere.
Trovo naturale che ci siano simili locali sia per le persone eterosessuali che per le persone omosessuali; le case chiuse del resto sono note almeno sin dai Romani. E altresì, viviamo in un sistema di libero commercio in cui nessuno ci impedisce quasi nulla. In compenso, tutti dobbiamo responsabilizzarci di più se miriamo al benessere duraturo delle persone.
Nel caso specifico, sarebbe opportuno che questi locali siano esercizi commerciali e non aderenti ad associazioni che hanno finalità sociali e magari culturali!
Non cediamo più al silenzio complice, illudendoci di proteggerci dalle invadenze dei “moralisti”. Questo non ci aiuta a slegarci dalle negatività del passato; semmai le ripropone in altri termini.
Conclusioni
Oggi è molto importante fare chiarezza su ciò, perché davvero ora per noi omosessuali in Italia c’è la possibilità di un futuro migliore alla luce del sole, dove possiamo davvero testimoniare pubblicamente valori e istanze di bene collettivo.
Se miriamo al benessere duraturo delle persone, dobbiamo rompere prima di tutto la solitudine interiore in cui molte persone vivono, creando momenti di socializzazione profonda, staccati da ogni pulsione anche sessuale. Il mio non è solo un ragionamento ma è soprattutto un appello! Iniziamo a riflettere seriamente su questo, al netto di moralismi, di interessi commerciali e di condizionamenti ideologici.