Omobitransfobia. Il ruggito delle veglie
Riflessioni di Paolo Spina* pubblicate sul quindicinale Adista Segni Nuovi n°20 del 24 maggio 2025, pag.9
Da alcuni anni il mese di maggio è dedicato alle veglie che, dal nord al sud della penisola e in altre nazioni, vedono cristiani e non uniti per lottare insieme contro l’omobitransfobia. Il 17 maggio, infatti, si celebra da più di vent’anni la Giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, nel giorno in cui ricorre la rimozione dell’omosessualità dalla classificazione internazionale delle malattie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Per chi crede, alla memoria si associa il vegliare. Vegliare non è un verbo a caso: nella Scrittura veglia la sentinella chiamata a scrutare l’orizzonte in attesa dell’aurora: “Sentinella, quanto resta della notte?” (Isaia 21,11). E il crinale storico che stiamo vivendo anche in Italia impone di tenere gli occhi ben aperti alle discriminazioni che, come torrenti carsici, ora visibili, ora sommersi, strisciano anche in contesti dove non immagineremmo necessario un invito non solo alla tolleranza, non solo all’accoglienza, ma al pieno riconoscimento di ogni identità, orientamento e forma d’amore.
Per questo gioiamo nel vedere questo moltiplicarsi di momenti di veglia di preghiera, di ascolto, di riflessione, perché nessuno abbia mai più a essere minacciato nella dimensione più profonda del proprio essere. La provvidenza ha inoltre posto in questi giorni l’elezione del nuovo vescovo di Roma, Robert Francis Prevost, ora Leone XIV.
Al di là di facili quanto semplicistiche valutazioni della prima ora, preferiamo ricordare che il motto della famiglia agostiniana, da cui proviene per la prima volta un papa, è Cor unum et anima una, un cuore solo e un’anima sola: insieme nella diversità, non “pur nella diversità”, non “nonostante la diversità”, in quella diversità che è espressione della multiforme sapienza di Dio, che nulla disprezza di chi ha creato.
Sfogliando l’album dei pontefici che scelsero questo nome, notiamo che Leone II, circa 1400 anni fa, introdusse lo scambio del segno di pace durante la messa, e che Leone XIII, tra Ottocento e Novecento, fu un Papa attento ai segni dei tempi, venuto dopo le barricate del Non expedit.
Per questo, se la radice letterale del termine vescovo significa “colui che veglia”, auguriamo a noi e al nuovo Papa la capacità di accorgersi di quante donne e uomini, anche nella comunità LGBT+, anelano a quella pienezza di vita che riconosce nella diversità delle persone la ricchezza di talenti condivisi, e nella pace, primo dono invocato dal papa stesso, possa continuare quanto avviato da Francesco, quel processo che vede nelle persone LGBT+ non un problema, ma figlie e figli di Dio.
* Paolo Spina è medico, appassionato di Sacra Scrittura e teologia femminista e queer, collabora con il Progetto Cristiani LGBT+ e con La tenda di Gionata scrivendo su temi di attualità e cristianesimo.