Omofobia: quando le parole diventano pietre
Riflessioni di Francesca Giuliani tratte da www.zai.net del 20 novembre 2007
E’ indubbio che l’omofobia sia un problema da risolvere ed è assodato che per sconfiggerla se ne debba discutere. "L’orientamento sessuale non è una scelta", così recitava lo slogan provocatorio di un manifesto edito dalla Regione Toscana contro l'omofobia perchè: "ci sono cose che si fanno perché sono giuste, non perché suscitano applausi o consensi, e fin quando nel nostro paese avremo governi deboli o ricattabili attraverso i voti di un paio di senatori, sarà molto difficile compiere atti significativi". Forse, se l’attenzione al problema fosse così alta su tutto il territorio nazionale, non ci sarebbe nemmeno la necessità di stupire con frasi ad effetto o campagna stampa.
"L’orientamento sessuale non è una scelta". Così recita lo slogan del provocatorio manifesto edito dalla Regione Toscana nell’ambito di una recente campagna di sensibilizzazione contro l’omofobia. Dal punto di vista pubblicitario, l’idea è geniale: un neonato sonnolento e indifeso con al polso una fascetta identificativa che invece di recare scritto il nome dice "Homosexual" e una lapidaria, deflagrante headline non possono non far discutere.
I pubblicitari più smaliziati, che sanno come attirare le nostre menti assuefatte di consumatori che hanno già visto e sentito di tutto, ricorrono con disinvoltura – e studio infinito – allo shock, l’espediente comunicativo che più di ogni altro impedisce al messaggio promozionale di finire prematuramente nel dimenticatoio.
Ne è ben cosciente anche l’assessore Agostino Fragai, promotore dell’iniziativa, che afferma: "I soldi spesi per manifesti che nessuno legge e che non fanno riflettere, sono soldi spesi male. Quando si promuove una campagna, lo si fa per farsi sentire".
E’ indubbio che l’omofobia sia un problema da risolvere ed è assodato che per sconfiggerla se ne debba discutere. D’altra parte, però, lo slogan del manifesto si presta a più interpretazioni, proprio per l’ambiguità disorientante sulla quale il messaggio gioca e attraverso la quale colpisce.
Sostenere l’innatismo della propensione sessuale, se da un lato obbliga al rispetto e alla non interferenza con la natura altrui, dall’altro può portare a discriminazioni ancora più forti, che possono sfociare addirittura nel razzismo o nella presunzione di una superiorità genetica dell’orientamento eterosessuale nei confronti di quello omosessuale.
La storia delle discriminazioni, dall’apartheid al nazismo, si fa sempre forte di pseudo-teorie che nella biologia ricercano ragioni per prevaricare sugli altri, ritenuti impuri, inferiori, nemici. Insinuare un dubbio che chiama in causa il dna, proprio in concomitanza con le sconvolgenti dichiarazioni di James D.Watson, rischia di trascinare la discussione in quel vortice di scientismo esiziale, fomentando il pregiudizio anziché estirparlo.
Come intendere, dunque, quel "non è una scelta"? Fragai risponde: "Il messaggio del manifesto è volutamente ambiguo. Contiene tante mezze verità e forse sono proprio queste a far discutere. Però il suo centro non è nell’associazione fra il bambino, il braccialetto e lo slogan, quanto piuttosto nell’idea che l’orientamento sessuale non è un vezzo o un vizio, ma un dato incomprimibile della personalità. E la purezza di un bambino richiama proprio alla purezza della personalità".
Sul tema, abbiamo interpellato anche Delia Vaccarello, scrittrice e giornalista de L’Unità da sempre in prima linea per combattere l’omofobia attraverso i suoi editoriali e numerose pubblicazioni sull’argomento: "Quel messaggio ha indubbiamente il pregio di far discutere e di evidenziare dei concetti che diamo per scontati. E’ però fuorviante, perché potrebbe suggerire che esista un gene dell’omosessualità. L’orientamento sessuale, invece, non è legato alla genetica: esso è un’acquisizione della maturità affettiva che si solidifica nel tempo".
La Regione Toscana ha potuto osare, dice Fragai, alla luce degli eclatanti risultati dello studio statistico condotto sulla condizione degli omosessuali, una condizione di disagio non più tollerabile, che ha reclamato un forte segnale di intervento e ha spinto l’assessorato a "rompere gli indugi".
L’omosessuale è un soggetto che ha riserve nel mostrare se stesso agli altri, l’80% degli intervistati, infatti, non dichiara la propria tendenza sessuale neppure al medico curante, forse perché il 90% del campione dice di sentirsi discriminato anche nell’ambiente ospedaliero.
Quaranta intervistati su 100 sono stati vittime di bullismo a scuola, il 27% non denuncia alle forze dell’ordine le aggressioni e le molestie subite. In un momento in cui i media italiani non parlano d’altro che di sicurezza dei cittadini, il 48% degli omosessuali intervistati si sente ancora più indifeso.
I dati che la ricerca ha messo in evidenza sono sconcertanti e obbligano a una riflessione di respiro ben più ampio, che superi il perimetro della regione.
Il principio di sussidiarietà consente di sollevare i problemi in modo costruttivo e a fronteggiarli capillarmente, ma non può essere un trucco per eludere istanze non più procrastinabili.
Un altro elemento che ha spinto l’amministrazione regionale a compiere un gesto così radicale è la stabilità politica di cui la Toscana gode: "Ci sono cose che si fanno perché sono giuste, non perché suscitano applausi o consensi, e fin quando nel nostro paese avremo governi deboli o ricattabili attraverso i voti di un paio di senatori, sarà molto difficile compiere atti significativi", afferma in merito Fragai.
Dal 2004, la Toscana ha inoltre incluso nel suo Statuto la menzione sul "diritto all’orientamento sessuale", una dicitura riscontrabile solo in questa fonte normativa e nella Costituzione sudafricana. La stabilità e la confidenza che fortificano l’iniziativa toscana dovrebbero essere d’esempio.
Forse, se l’attenzione al problema fosse così alta su tutto il territorio nazionale, non ci sarebbe nemmeno la necessità di stupire con frasi ad effetto, che sono gravemente esposte a stravolgimenti e a interpretazioni errate. Giustissima l’osservazione di Delia Vaccarello, che a questo proposito precisa:
"Dobbiamo stare attenti, in quanto operatori della comunicazione, alle parole che impieghiamo. Quando molti colleghi utilizzano diciture come ’omicidio consumato negli ambienti omosessuali’, essi ammiccano al lettore con un corredo di morbosità che va assolutamente non sollecitato. Occorre riflettere sull’uso dei termini, poiché quelli che usiamo comunemente spesso condensano atteggiamenti di grande pregiudizio".