Omogenitorialità. Nella chiesa Valdese cosa vuol dire essere genitori?
Lettera di Lucio Malan, risposta del pastore Paolo Ricca pubblicata sul settimanale evangelico Riforma del 2 luglio 2010
Il 23 maggio scorso, partecipando con mia moglie al culto di Pentecoste nel tempio valdese di via IV Novembre a Roma, abbiamo assistito al battesimo di due gemelli di otto mesi, richiesto – annunciava il pastore – «dai genitori dei bambini: Mario… e Francesco (*)
Ho poi appreso, per la cortesia dello stesso pastore, che i bambini sono nati in California da una donna che ha accettato l’impianto di un embrione originato dalle cellule riproduttive di un’altra donna e di uno dei due uomini indicati come genitori.
L’altro uomo è il compagno del padre biologico, il quale – per accordi, consentiti dalla legge di quello Stato, con la madre biologica e con colei che ha portato avanti la gravidanza (presente al battesimo) – è l’unico a essere riconosciuto come genitore. Aggiungo che la California proibisce i matrimoni fra persone dello stesso sesso, consente le adozioni, ma la legge federale prevede che gli adottanti siano cittadini americani. Visto che il pastore di quel battesimo è lo stesso che conduce questa bella rubrica, pongo alcune domande.
Un atto del genere comporta il riconoscimento, nell’ambito della amministrazione di un sacramento, non solo di una coppia di fatto, non solo di una coppia gay, ma del concetto che essere genitori sia cosa cui si può rinunciare, mi riferisco alle due donne coinvolte, o acquisire lì per lì.
Questo è forse andare oltre le nozze gay, perché neppure il matrimonio fa diventare per sé genitore del figlio del coniuge e perché battesimo è un sacramento e il matrimonio no. Se ricordo bene, l’ordinamento valdese menziona due volte «i genitori»: una volta per dire che la procreazione, non la libera scelta – fatta salva l’adozione – determina la condizione dei genitori.
Se tutto questo si può fare per decisione di un pastore, e magari di una chiesa locale, a che serve il Sinodo? A che servono le norme in vigore da secoli? A una coppia di uomo e donne sarebbe stato concesso così facilmente di attribuire il titolo di genitore, quando genitore non è né di fatto né di diritto?
Condivido l’esigenza dell’accoglienza, rispetto gli omosessuali e i loro sentimenti. Ma con certe interpretazioni della Bibbia, non si fa proprio quello che siamo bravissimi a criticare nella Chiesa cattolica, quando mette «il magistero della chiesa» al di sopra della Scrittura, il cui contenuto è definito dalla nostra Confessione di Fede «eterna e indubitabile verità»? Non eravamo quelli del «sola Scriptura»?
Lucio Malan – Roma
La risposta…
Questa lettera solleva tre problemi e pone altrettante domande. La prima, quella centrale, appartiene alla dottrina morale e riguarda l’essere genitori: chi lo è realmente? Chi ha il diritto di essere considerato tale? Che cosa significa essere genitore? La seconda domanda appartiene al diritto ecclesiastico, e riguarda il potere decisionale di una chiesa locale in rapporto all’autorità superiore del Sinodo.
La terza domanda appartiene alla teologia e riguarda il sola Scriptura, cioè l’autorità suprema della Bibbia nella Chiesa e sulla Chiesa, uno dei cardini del protestantesimo: celebrando il battesimo di cui parla la lettera, il pastore ha forse fatto qualcosa che la Scrittura vieta, trasgredendo così, consapevolmente o no, il sola Scriptura, sovrapponendo cioè le sue idee a quelle della Bibbia? La risposta alla prima domanda occuperà tutto lo spazio disponibile, perciò alle altre due risponderò la prossima volta.
La prima domanda è apparentemente la più semplice, in realtà è la più complicata. Per poter rispondere, devo raccontare il fatto da cui è nata, in buona parte già riferito nella lettera qui sopra pubblicata. Le cose sono andate così.
Il pastore della Chiesa valdese di via IV Novembre, a Roma, sapendo che sarebbe stato assente tre mesi per un breve congedo di studio, mi chiese di presiedere il culto di Pentecoste, nel corso del quale era stato programmato il battesimo di due gemelli, presentati da una coppia omosessuale simpatizzante (due uomini, entrambi italiani), che aveva già avuto vari incontri con il pastore e aveva chiesto, per questi bambini, il battesimo nella nostra Chiesa.
Il Concistoro locale, debitamente informato, aveva discusso e accettato la richiesta. A mia volta ho incontrato la coppia sia per illustrare bene il senso del battesimo dei bambini nella nostra Chiesa, sia per essere informato meglio, direttamente da loro, sulla loro storia, in particolare in rapporto ai due gemelli. Dal colloquio ho appreso quanto segue:
(1) Avere dei figli è stata una decisione comune della coppia, proprio come oggi di solito accade nelle coppie eterosessuali. Nessuno dei due partner ha subito la decisione dell’altro, entrambi l’hanno presa di comune accordo, entrambi desideravano un figlio.
Questo è un fenomeno relativamente nuovo: cresce anche in Italia il numero delle coppie omosessuali (maschili e femminili) con figli. In passato non era così, è una tendenza recente, che la fecondazione artificiale rende possibile. Esiste in Italia una associazione (si chiama «Arcobaleno» che raggruppa appunto le coppie omosessuali con figli.
(2) I gemelli sono nati dal seme di uno dei due partner e da un ovulo femminile donato da una donna americana e, una volta fecondato, impiantato in una giovane donna di 26 anni, già madre di tre figli, che dalla lontana California, è venuta col marito a Roma, per assistere al battesimo. È lei che ha ospitato nel suo seno i due gemelli che non erano suoi, ma che lei ha accolto come se lo fossero.
Nel linguaggio corrente si parla, nel nostro paese, di «utero in affitto» – una bruttissima espressione che, lo confesso, adoperavo anch’io non conoscendone una migliore, che però esiste, me l’ha insegnata questa coppia: si dice «maternità per altri».
È proprio questo che la giovane donna californiana ha fatto: è stata madre per coloro che, senza di lei, non avrebbero potuto essere padri; non madre biologica (perché l’ovulo non era suo), ma madre nel senso più profondo del termine: lo spazio vitale nel quale l’embrione umano, nutrito dalla donna, può svilupparsi, formarsi e fiorire fino al momento in cui, dopo nove mesi, può venire alla luce del sole e iniziare la sua avventura terrena.
(3) Perché la California? Perché lì sono possibili e legali queste cose che in Italia sono impossibili e illegali. Lì, dopo la nascita, un giudice dello Stato, con un atto ufficiale, ha riconosciuto la paternità biologica a uno dei due partner.
Per un accordo che in questa materia esiste tra il nostro paese e gli Stati Uniti, quel riconoscimento vale anche in Italia. Anche in Italia dunque i due gemelli hanno un padre riconosciuto come tale dalla legge nella persona di uno dei due partner.
(4) E l’altro? L’altro ovviamente non è padre in senso biologico, anche se pare che in California sarebbe stato anche lui riconosciuto come «secondo padre» in quanto compagno del padre biologico. È «padre» nel senso dell’adozione, cioè non nel senso della generazione fisica, ma nel senso della accoglienza affettiva.
Nel corso del nostro colloquio è emerso chiaramente che, al di là del vincolo biologico, decisivo per il concepimento, ma non per la crescita e tutto il resto, entrambi si sentono ugualmente «padri», cioè ugualmente responsabili dei due gemelli, sia per aver deciso insieme di averli, sia perché insieme si fanno carico della loro vita e del loro futuro.
(5) Alla luce di quanto precede, al termine del nostro incontro, abbiamo deciso di comune accordo che la formula con cui avrei introdotto la cerimonia del battesimo sarebbe stata questa: «I genitori Mario… e Francesco… [nomi di fantasia], con i padrini A e B e le madrine C e D, presentano questi loro figli perché siano battezzati nel nome di Dio».
Questa formula non è quella alla quale, prima del colloquio, avevo pensato, ma è quella che è nata dal nostro colloquio e che, alla lettera, ho pronunciato dal pulpito. Ora è proprio questa formula che il nostro lettore, e forse altri lettori con lui, mette in discussione, muovendo – con molto garbo – delle obiezioni. Si tratta di obiezioni comprensibili e anche, da un certo punto di vista, legittime, che meritano quindi di essere raccolte e discusse.
Qual è l’obiezione principale? È che io ho chiamato «genitori» entrambi i partner della coppia, mentre uno solo è genitore in senso biologico; ho quindi messo sullo stesso piano la genitorialità fisica e quella adottiva, attribuendo loro lo stesso valore.
Ho chiamato «genitore» sia chi, con l’aiuto determinante di una donna (in questo caso, di due!), mette al mondo un figlio, sia chi, senza averlo messo al mondo, lo adotta come figlio. Parallelamente ho parlato dei due gemelli come «loro figli», cioè figli di entrambi, anche se, fisicamente parlando, sono figli di uno solo.
Questo mi viene contestato, ma proprio questo è il problema: che cosa significa essere genitore? A me pare che significhi due cose: generare e adottare. Anche chi genera un figlio, lo deve poi adottare, nel senso che deve farsene carico.
Nella coppia di cui parliamo ci sono le due forme dell’esser genitori: la generazione (padre biologico) e l’adozione (padre adottivo). È importante generare, ma non è meno importante adottare, anzi lo è di più. È certamente più genitore chi adotta un figlio che non ha messo al mondo, piuttosto che chi lo ha messo al mondo, ma non lo ha adottato, cioè lo ha abbandonato al suo destino.
È più genitore chi dà una famiglia a chi non ce l’ha (così fa Dio che «dona al solitario una famiglia» Salmo 68, 7), piuttosto che chi non la dà al bambino che ha messo al mondo. Chi adotta un bambino diventa realmente suo padre o sua madre, nel senso più vero e profondo del termine.
Il partner del padre biologico dei due gemelli è an ch’egli loro padre perché li ha voluti, accolti e amati, cioè li ha adottati, e non perché è il compagno del padre biologico. Dovremmo valorizzare molto di più, nella chiesa e nella società, l’adozione proprio come forma di paternità e maternità.
Anche perché siamo tutti figli adottivi di Dio. Eppure lo chiamiamo a buon diritto «Padre nostro».
Paolo Ricca
(*) nomi di fantasia